Cerca
Close this search box.

Alberto Mantovani: la ricerca scientifica è una cintura di sicurezza per l’umanità

Intervista* al Professor Alberto Mantovani, direttore scientifico di IRCCS Istituto Clinico Humanitas, Presidente di Fondazione Humanitas per la ricerca e professore emerito di Humanitas University

Professore, complimenti per il recente prestigioso riconoscimento “Lombardia è ricerca”. Nella motivazione si legge, tra l’altro, che i suoi studi hanno condotto all’accettazione condivisa dell’idea che l’infiammazione è un fattore determinante nello sviluppo dei tumori, un concetto dalle enormi implicazioni soprattutto dal punto di vista terapeutico.

Quali strade si sono aperte grazie al suo lavoro e a quello degli immunologi e cosa ci dobbiamo aspettare, su questo fronte, nel futuro più prossimo?

Siamo entranti in un continente nuovo ed è quello delle terapie immunologiche. Si tratta di un approccio affidabile, un nuovo dominio nell’armamentario terapeutico degli oncologi che si affianca agli strumenti tradizionali, dalla chirurgia, alla chemioterapia, alle chemioterapie mirate: le target therapy. Ora siamo entrati, come dicevo, in un continente che è appunto quello delle terapie immunologiche. Abbiamo ottenuto risultati per certi aspetti straordinari. Mi riferisco, per esempio, al melanoma un tumore che in stato avanzato era mortale per il cento per cento delle persone colpite ora si guarisce nel cinquanta per cento dei casi. Risultati positivi si osservano in altri tumori ma si deve sottolineare che abbiamo appena iniziato questo percorso e quindi non possiamo che essere soddisfatti.

Lei mi chiedeva poi cosa ci aspettiamo dai nostri studi. Le rispondo ricordando il primo risultato che potrebbe essere importante. Si tratta dell’individuazione dei freni del sistema immunitario che nel nostro gergo vengono definiti checkpoint. In questo momento siamo in grado di togliere due checkpoint e in una certa misura un terzo. Le cellule del sistema immunitario hanno molti freni, noi abbiamo stimato che ce ne siano tredici e molto recentemente abbiamo contribuito a descriverne un quattordicesimo. Dobbiamo verificare se togliendo altri freni otterremo un ulteriore supporto al nostro percorso. Stiamo letteralmente imparando a combinare le armi immunologiche con le terapie tradizionali. Per esempio, usare l’immunoterapia come adiuvante dopo la chirurgia oppure prima della chirurgia con un approccio che viene chiamato neoadiuvante. Un altro versante ricco di prospettive è costituito dalla speranza di utilizzare vaccini terapeutici. Abbiamo messo a punto tre vaccini preventivi contro il cancro e la nostra aspettativa è quella di usare vaccini terapeutici personalizzati, almeno in alcuni casi, contro il cancro. Inoltre, sono già una realtà le terapie cellulari. Esploriamo un orizzonte nuovo nel continente dell’immunoterapia perché utilizziamo farmaci viventi dei quali non ci siamo mai giovati. Anche in questo caso c’è la speranza di usare terapie cellulari con diverse cellule del sistema immunitario e di utilizzarle anche contro tumori solidi. In questo momento le impieghiamo nelle leucemie, nei linfomi e nei tumori cosiddetti liquidi.

Infine, cito una vecchia arma del sistema immunitario che sono gli anticorpi. La tecnologia in questo ambito dopo tanti anni di ricerca si è affinata e utilizziamo anticorpi per dirigere i farmaci, per dirigere sostanze radioterapiche e infine utilizziamo anticorpi ingegnerizzati bispecifici che fanno avvicinare la cellula del sistema immunitario alla cellula tumorale e fanno sì che la cellula del sistema immunitario sospinga quella tumorale in un braccio della morte. Vi è poi la possibilità di usare anticorpi più trispecifici e addirittura quadrispecifici. Come si vede siamo senza dubbio in un continente nuovo che in gran parte è ancora da esplorare.

La ricerca nel nostro paese non è stata sostenuta, anche nel recente passato, con un impegno deciso da parte delle istituzioni. Oggi,anche grazie al lavoro degli scienziati per debellare rapidamente il COVID, la ricerca scientifica gode, pure presso il grande pubblico, di maggior considerazione. Qualè la sua impressione?

Io non ho dei dati per rispondere alla sua domanda. Quando vedo però esitazione vaccinale, leggo di casi di pertosse neonatale, nel Regno Unito ad esempio, accompagnati da un calo di copertura vaccinale sono preoccupato. Ho l’impressione che almeno in alcune fasce della popolazione abbiano avuto presa dei sentimenti antiscientifici. Se questo è il lato oscuro della luna, vi è poi un lato chiaro, positivo, dove si può osservare che ci sia la percezione dell’importanza della ricerca scientifica intesa come una cintura di sicurezza per l’umanità. Questa mia impressione positiva è avvalorata dal fatto che le charities che ricevono donazioni per sostenere la ricerca scientifica continuano a contare sulla generosità di un gran numero di persone.

Professore, lei dedica grande impegno anche alla divulgazione scientifica che mai come in quest’epoca, anche grazie ai media digitali, ottiene forte attenzione dal largo pubblico. In che modo lo scienziato può riuscire ad informare i non addetti?

La sua domanda permette una risposta su diversi livelli, ma vorrei prima fare una premessa citando il pensiero di un filosofo della scienza Karl Popper. Egli sosteneva che chi ha avuto la fortuna di fare questo mestiere ha il dovere d’informare nel modo più semplice chiaro, comprensibile e umile. Il primo livello riguarda la metodologia nella quale ho cercato di attenermi alle mie tre R che sono: il rispetto dei dati, il rispetto delle competenze, il senso di responsabilità sociale. Dobbiamo sempre chiederci che impatto hanno sul pubblico le cose che diciamo. Poi dobbiamo comprendere come rapportarsi al grande pubblico. Io credo che vi sia un grande valore nell’interazione diretta con le persone. Dedico molto tempo ad incontri con i ragazzi delle scuole medie superiori e anche con il pubblico in generale in Italia e all’estero per parlare di quello che so. Io non credo che questa attività possa essere sostituita da qualche altro media. Un mese e mezzo fa ero in una scuola di Verona che era collegata con altri istituti in tutta Italia. Ho potuto parlare così con un enorme numero di ragazzi e credo che questa mia testimonianza abbia valore proprio perché la propongo personalmente. Penso d’incontrare almeno mille studenti ogni anno, mi piace vedere queste occasioni come vaccini contro la disinformazione.

Le ricerche che vengono pubblicate sono sempre più complesse. Il giornalismo scientifico è in grado di tradurre per i lettori queste informazioni o,forse,è necessario aumentare la collaborazione con fini formativi tra scienziati e giornalisti?

Alla base di questo rapporto vi deve essere il dialogo che permette un reciproco arricchimento. Può essere un dialogo non facile perché alcuni temi sono certamente più ostici di altri ma anche lo scienziato deve fare in modo di essere compreso esattamente come quando si impegna in una lezione universitaria o, come sottolineavo prima, parla di scienza ai ragazzi delle scuole superiori. In ogni caso il dialogo con i rappresentanti dei media è imprescindibile ed è essenziale che sia a due vie. Nella mia esperienza ho incontrato giornalisti di grande qualità.

Viviamo le forti contraddizioni del nostro tempo, da una parte la vita umana sembra non valere nulla a causa di guerre o semplicemente per la violenza che esplode all’angolo di una strada,dall’altra c’è chi come lei lavora per mantenerci in vita sani. Verso quale futuro l’homo sapiens si sta incamminando?

Io sono ottimista per indole e per dovere. Questa visione ci è stata tramandata da persone che vivevano tempi molto più difficili dei nostri. Nei duecentomila anni di storia della nostra specie nessuno ha mai potuto contare su aspettative di vita come le nostre. Nessuno è stato preservato dalla sofferenza fisica come noi. Rispetto a chi ci ha preceduto noi siamo dei privilegiati. Chi si ricorda più, per esempio, con terrore della poliomielite? Non dobbiamo farci travolgere da visioni negative. Il futuro è nelle nostre mani e in quelle dei nostri ragazzi e per quanto riguarda gli ambiti delle mie competenze mi auguro che continui la percezione positiva della ricerca scientifica, nel mio caso l’immunologia. La ricerca sui vaccini costituisce un’assicurazione sulla vita per l’umanità o se preferisce una cintura di sicurezza per citare un’altra immagine che utilizzo nei miei incontri. Non possiamo però pensare ad un futuro migliore se non abbiamo chiara un’idea di condivisione, se non ci ricordiamo degli ultimi se non siamo sensibili alle diseguaglianze che sono così presenti anche nel nostro Paese. Nei paesi poveri del mondo serve un forte impegno da parte di chi lo può fare. Io sono molto vicino all’organizzazione Medici con l’Africa (CUAMM)e penso che il futuro potrà essere ancora migliore se crescerà con forza il senso di condivisione.


*l’intervista è anche uscita sul portale dell’UNAMSI – Unione Nazionale Medico Scientifica di Informazione.

Condividi