Matteo Cerri, professore dell’Università di Bologna e ricercatore affiliato presso il Genetics and Epigenetics of Behavior Lab di IIT, racconta cos’è l’ibernazione e come potrà aiutarci a curare nuove malattie e a viaggiare oltre i confini del sistema solare
Negli ultimi anni l’esplorazione spaziale, anche grazie alla maggior accessibilità delle tecnologie, ha compiuto passi da gigante e sembra sempre più vicino il giorno in cui gli esseri umani esploreranno pianeti lontani per iniziare a costruire nuovi mondi possibili. Uno dei grandi problemi ancora da affrontare è il viaggio spaziale. Per scoprire quali potrebbero essere le soluzioni a questa irrisolta questione abbiamo intervistato Matteo Cerri, professore associato di fisiologia all’Università di Bologna, ricercatore associato all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), ricercatore affiliato presso il Genetics and Epigenetics of Behavior Lab di IIT. e autore di saggi di divulgazione scientifica.
Matteo, di che cosa ti occupi?
Io mi occupo di una cosa che di solito fa volare la fantasia, l’ibernazione. In particolare, studio i meccanismi che causano l’ibernazione – torpore, in termini tecnici. . La comprensione dei meccanismi alla base di tale processo potrebbe aprire molte strade per l’ideazione di nuovi trattamenti per malattie al momento ancora incurabili ma potrebbe anche permetterci, grazie all’induzione dell’ibernazione artificiale, di spingerci oltre i confini del nostro sistema solare viaggiando nello spazio.
Cosa ne pensi degli ultimi sviluppi nel campo dell’esplorazione spaziale?
Sono molto ottimista rispetto all’esplorazione spaziale. Negli ultimi anni sono diminuiti molto i costi d’accesso alle tecnologie che ci consentono di viaggiare nello spazio. Sono nate numerose società e agenzie spaziali anche in paesi relativamente piccoli in grado di contribuire attivamente allo sviluppo tecnologico in questo campo. L’esplorazione dello spazio è un po’ il naturale passo in avanti esplorativo dell’umanità. È giusto che si cerchi un altro posto dove poter andare, una ruota di scorta per il genere umano. La nostra specie ormai è diventata altamente invasiva; vista l’esplosione demografica e l’impatto dell’umanità sul nostro pianeta, non è sorprendente che si pensi di cercare opportunità altrove. L’impatto di questo è molto ampio sia a livello tecnologico sia sociale sia economico. Guardando l’ultimo ammartaggio riflettevo che è dal 1997 che la NASA è sul pianeta rosso, quindi sono ormai vent’anni che mandiamo robot su suolo marziano, ora non ci resta che trovare il modo di arrivarci anche come esseri umani.
Andremo su Marte dormendo?
Questa è una delle prospettive e, probabilmente, sarebbe anche il modo più facile per raggiungere il Pianeta rosso. Il viaggio però non richiederebbe necessariamente di andare in ibernazione perché la distanza è ancora tutto sommato ragionevole, sono circa nove mesi di viaggio e si potrebbe parlare di una missione della durata di due anni e mezzo. Il vero problema è rappresentato dalle radiazioni alle quali saremmo sottoposti durante il viaggio, tanto che, anche nel caso di un pianeta relativamente vicino come Marte, c’è chi ha suggerito che sarebbe addirittura meglio pensare a viaggi di sola andata, proprio per evitare una doppia dose di radiazioni nel viaggio di ritorno. Ad oggi non esistono ancora soluzioni tecnologiche accessibili o realizzabili per risolvere questo problema. L’ibernazione in questo caso potrebbe venirci in aiuto non solo per una questione di tempi ma anche perché garantisce un elevata resistenza biologica al danno causato dalle radiazioni; si potrebbero quindi sfruttare i meccanismi che proteggono le cellule da questi danni anche intervenendo in maniera farmacologica. L’unica altra vera alternativa è avere motori molto più veloci. Se riuscissimo ad andare su Marte in due settimane ovviamente il problema non si porrebbe, ma a quel punto potremmo anche spingerci molto più lontani!
Come funziona il meccanismo di ibernazione?
è ancora un mistero e non si sa quale sia il meccanismo tramite cui gli animali entrano in ibernazione. L’ibernazione non è un processo di congelamento, ma, per come la conosciamo noi, è uno “spegnimento” prolungato che permette ad animali come il ghiro, l’orso o lo scoiattolo di sopravvivere praticamente in assenza di cibo, acqua e consumando pochissimo ossigeno. Conosciamo questo stato con il termine più gergale di “letargo”. È una sorta di stand-by, come quello del televisore. Recentemente, grazie anche al lavoro svolto da me e il mio team, abbiamo iniziato a comprendere di più questo meccanismo e abbiamo capito che parte dal cervello, dove abbiamo identificato un gruppo di neuroni che potrebbero essere considerati come “l’interruttore” che innesca una serie di adattamenti fisiologici a cascata che fanno funzionare in modo diverso l’organismo che si iberna. Abbiamo inoltre visto che questo processo a cascata può essere iniziato da un piccolo gruppo di neuroni nel tronco dell’encefalo. Questo “switch” non dà il via a tutto il processo completo di ibernazione ma ad uno stato fisiologico molto simile – l’abbiamo chiamato “torpore sintetico” – che ci è sufficiente per eseguire ulteriori studi volti alla comprensione di questo processo naturale.
Quanto siamo lontani dal mandare un animale “ibernato” nello spazio?
È solo questione di volontà. Da tempo propongo alle Agenzie Spaziali di mandare nello spazio un animale che iberna spontaneamente, come lo scoiattolo, per comprendere se anche nello spazio, dopo il periodo di ibernazione, questi animali possano mantenere il tono muscolare al contrario di come succede agli esseri umani. Lo scoiattolo dopo mesi di quasi completa immobilità si sveglia e cammina. Sarebbe interessante vedere se a “vincere” fosse la microgravità o il processo di ibernazione
Cosa ne pensi della ricerca in Italia?
La ricerca italiana ha la più grossa materia prima che il mondo cerca: i ricercatori. Penso che l’Università italiana riesca a formare persone di grande livello che però hanno una grossa palla al piede: la burocrazia. In questo il modello IIT è un passo avanti anche semplicemente per l’integrazione che c’è fra i diversi ricercatori e i diversi laboratori. Il mondo accademico dovrebbe tendere verso questo modello: si riuscirebbero a gestire i (pochi) fondi disponibili in modo più efficace e si riuscirebbero ad ottenere più risultati. In tempi normali, senza una pandemia in corso, sarebbe interessante fare un esperimento: investire una grande quantità di fondi non competitivi per 10 anni: il decennio della ricerca; concedendo anche su quei fondi completa libertà di gestione. Ci potrebbero essere degli sprechi ma forse sbloccherebbe la situazione statica dell’accademia in Italia; un po’ come un defibrillatore consente al cuore di ripartire.
TEDx di Matteo Cerri: https://youtu.be/oqyf_fp9Uuk
Il sito di Matteo Cerri: https://cerriblog.com