Viaggio al termine della nostra specie
Cosa siamo dunque? E cosa stiamo diventando?
Nell’arco di pochi decenni, all’alba del nuovo millennio, “qualcosa di definitivo è successo, o sta per accadere”. Qualcosa che potrebbe condurre alla fine di Homo Sapiens.
La portata e la velocità del cambiamento sono maggiori di quanto abbiamo immaginato. Il progresso tecnologico sta modificando la realtà in cui viviamo, di fronte a noi si prospettano nuovi assetti sociali e modi diversi di agire nelle relazioni e nella quotidianità. Abbiamo la certezza che il cambiamento in corso ci coinvolgerà profondamente, ma ancora non sappiamo in che direzione cambierà la nostra esistenza e, forse, la nostra stessa natura umana.
Suonano sempre più attuali le parole di Primo Levi: “Saremo in grado di fermarci a tempo nella nostra corsa col turbocompressore verso le Colonne d’Ercole?”. Sapremo controllare la tecnologia in modo che non si corra il rischio di snaturare la nostra specie?
Un interrogativo, tanto cruciale quanto urgente, che costituisce il tema di fondo del nuovo libro di Gianfranco Pacchioni, chimico italiano di fama, “L’ultimo Sapiens. Viaggio al termine della nostra specie”. Un saggio, originale nel suo genere, che intende delineare la natura dell’ecosistema uomo-macchina del futuro, il mondo dove i nostri discendenti vivranno.
In modo provocatorio, il titolo del libro sintetizza la suggestione di una transizione della specie umana da una condizione biologica e antropologica mutata lentamente e in sostanza stabile per millenni a qualcosa di profondamente nuovo e imprevedibile. Un percorso inaspettato che l’autore, con un elegante richiamo all’opera di Céline, definisce “un viaggio al termine della nostra specie”.
Nel suo insieme, il saggio di Pacchioni si propone al lettore con uno stile espositivo scorrevole e brillante, in grado di individuare punti di equilibrio sempre inediti tra l’accuratezza delle informazione e la vivacità di esposizione. Un tono che alterna sapientemente la fascinazione di visioni lungimiranti tratte dai racconti di Primo Levi e l’analisi dell’autore, sempre stringente nel coniugare le grandi aspettative generate dalle tecnologie con i loro lati più problematici e, a volte, inquietanti.
Un elemento di originalità del saggio è la scelta di proporre brevi estratti dei racconti d’invenzione di Primo Levi per sviluppare un parallelo, sempre acuto e a tratti ironico, tra le lucide e sorprendenti anticipazioni dello scrittore e la disamina delle innovazioni che la ricerca e lo sviluppo tecnologico hanno introdotto negli ultimi decenni.
Un omaggio al grande scrittore torinese – di cui ricorre il centenario della nascita – che proprio nei racconti citati nel saggio mostra una lungimiranza straordinaria. Tra i vari brani, tratti dalle raccolte “Storie naturali” del 1966 e “Vizio di forma” del 1971, emerge innanzitutto il racconto “A fin di bene” dove Levi descrive una rete telefonica divenuta sufficientemente estesa e complessa da iniziare a prendere decisioni in autonomia, rivelandosi capace di non solo di comprendere il pensiero umano ma anche di coglierne la prevedibilità. Un’anticipazione dell’attuale connubio tra reti di connessione e intelligenza artificiale che appare sorprendente. Parallelismi simili nei brani di Levi che descrivono dispositivi tecnologici all’epoca pensabili solo nella fantascienza, come il mimete, vero e proprio duplicatore tridimensionale o il torec, un total recorder in grado di far rivivere in prima persona esperienze altrui. Dispositivi che rievocano tecnologie oggi emergenti, come la stampa 3D e la realtà virtuale.
Il viaggio avvincente lungo i racconti di Primo Levi scorre in parallelo alla riflessione critica di Pacchioni sulle tecnologie abilitanti della quarta rivoluzione industriale. Una panoramica esauriente e puntuale dei chiaroscuri che l’uomo dovrà fronteggiare nei prossimi decenni. I capitoli centrali del saggio sono dedicati alla descrizione di un ampio ventaglio di tecnologie: intelligenza artificiale, stampanti e biostampanti 3D, genomica umana, nanotecnologie 2.0, neuroimmagini, interazione cervello-macchina. Per ciascuna di esse vengono individuate le aspettative che suscitano e le principali potenzialità applicative, per la cura delle patologia, nel trattamento delle disabilità e più generale nello sviluppo economico e sociale della comunità umana. Accanto alle grandi speranze, Pacchioni non rinuncia però a proporre un’analisi stringente dei rischi e delle criticità, mettendo in evidenza i lati oscuri di soluzioni applicative oggi sempre più pervasive, dai Big Data alle reti neurali, dall’iperconnessione alla virtualità, fino agli aspetti più problematici di tecnologie, emergenti ma potenzialmente dirompenti, come la clonazione, la manipolazione genetica, la bionica, i computer quantistici e la convergenza tra biotecnologie e nanotecnologie.
Un’analisi critica che conduce inevitabilmente al tema controverso della singolarità, al rischio di dare vita a macchine in grado di autoapprendere fino a sviluppare un’intelligenza superiore a quella umana. Scenario che la potenza di calcolo dei computer quantistici potrebbe rendere più realistico di quanto oggi siamo disposti ad ammettere. La possibilità che la tecnologia possa sfuggire di mano e perseguire scopi diversi da quelli dell’uomo che l’ha progettata appare quindi tutt’altro che remota. Come ricorda l’autore, se siamo divenuti i dominatori del pianeta è solo perché siamo più intelligenti, di fronte a un’intelligenza superiore alla nostra, le prospettive dell’umanità potrebbe cambiare profondamente.
La pervasività delle nuove tecnologie ci avverte che una integrazione uomo-macchina sempre più spinta è all’orizzonte: i dispositivi intelligenti diventeranno sempre più miniaturizzati e biocompatibili con il corpo umano, prometteranno di migliorare le nostre prestazioni percettive, motorie e cognitive, favorendo una connessione, costante e crescente, con la nostra cerchia sociale e con le intelligenze artificiali. Un cambiamento che opera sempre più velocemente e in modo imprevedibile. Una vera e propria progressione esponenziale assai diversa dai cambiamenti lineari, di certo più congeniali alla nostra natura, che finora hanno guidato l’esperienza umana. Se la nostra vita è mutata negli ultimi duecento anni più di quanto accaduto nei precedenti diecimila, la rapidità del cambiamento non sembra oggi accennare a rallentare, come ben dimostra lo sviluppo e la diffusione di innovazioni disruptive negli ultimi decenni. A questi cambiamenti di stili di vita e di assetti sociali, un crescente numero di persone fa sempre più fatica ad adattarsi. L’azione convergente di tecnologie sempre più interdipendenti, la dinamica esponenziale del cambiamento e il crescente impatto dell’uomo sulla natura sono i lati più oscuri di un mutamento che rischia di alterare profondamente equilibri biologici, sociali ed etici.
Rischiamo di ritrovarci in un futuro divisivo – avverte l’autore – guidato da un ristretto numero di sapiens, dotati di supertecnologie e di intelligenza aumentata. Un mondo dove gli altri umani, i sapiens “desueti”, saranno confinati alla marginalità.
«Sicuramente si verificherà una fase di transizione in cui al mondo ci saranno da una parte sapiens supertecnologici, che popoleranno aree geografiche prosperose e avanzatissime, e che avranno accesso a tutte queste costosissime tecnologie; vivranno per tempi lunghissimi e controlleranno grazie alle loro intelligenze aumentate quello che viene nel resto del mondo. Questi saranno i Tecno-sapiens. Dall’altra parte avremo masse di persone ormai ‘inutili’, visto che i loro lavori saranno fatti con molta più efficienza da macchine sofisticate che non sbagliano un colpo. Queste masse vivranno in maggioranza in zone dove l’arretratezza tecnologica la fa da padrona, e non avranno accesso alle meraviglie tecnologiche pur essendone inesorabilmente attratte e desiderando fortemente di poterle un giorno possedere. Questi saranno i Vetero-sapiens».
La prospettiva temporale umana non aiuta a cogliere i mutamenti in atto. In fondo l’intera vicenda umana, se comprimessimo la storia della Terra in una settimana, riguarderebbe solo gli ultimi 180 secondi. E solo da 25 millisecondi abbiamo cominciato ad incidere in modo significativo sulle dinamiche del pianeta. Possiamo guardare al futuro dell’uomo, facendo affidamento su questa ristrettissima prospettiva temporale?
Tutti gli organismi viventi sopravvivono adattandosi all’ambiente, alcuni, compreso l’uomo, adottano anche la strategia di cambiare l’ambiente in cui vivono. L’impatto globale delle attività dell’uomo sul pianeta è però un fenomeno recente. E’ iniziato a partire soprattutto dal secolo scorso, ma si è evoluto in maniera così intensa al punto di prospettare l’inizio di una nuova era geologica, l’antropocene.
Da allora l’uomo ha cominciato a cambiare in modo significativo il mondo attorno a sé e promette di cambiare altrettanto profondamente se stesso. Un’accelerazione che rischia di dare vita a un essere umano molto diverso da quello che conosciamo.
Questo cambiamento porterà alla fine dell’Homo Sapiens? E se fossimo noi gli ultimi sapiens? Di certo gli esseri umani nel futuro avranno schemi mentali e comportamenti molto diversi dai nostri, forse i loro costumi sociali potrebbero apparire ai nostri occhi incomprensibili. Probabilmente il futuro che stiamo per affrontare non vedrà la fine dell’umanità, ma la nascita di qualcosa di diverso, oggi difficile da comprendere appieno. In ogni caso, comunque qualunque sia l’esito, siamo noi i fautori del nostro futuro. I rischi reali che corriamo sono dovuti alla mancanza di consapevolezza della portata di fenomeni che noi stessi abbiamo avviato. Siamo noi ad aver generato tecnologie destinate a cambiare il nostro modo di essere.
Ad oggi una superintelligenza artificiale non esiste, la linea di demarcazione tra intelligenza umana e artificiale non è stata ancora superata, ma esiste il rischio che la via sia stata tracciata, per questo occorre individuare codici etici e norme che guidino in modo consapevole e più rigoroso i cambiamenti in corso.
Possiamo scegliere di non essere gli ultimi sapiens, perché il futuro che vivremo è quello che costruiamo oggi e – ricorda Pacchioni – l’uomo resta artefice della propria sorte: homo faber fortunae suae.
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SCHEDA DEL LIBRO
Autore: Gianfranco Pacchioni
Titolo: L’ultimo Sapiens. Viaggio al termine della nostra specie.
Editore: Il Mulino
Data pubblicazione: 2018
Gianfranco Pacchioni è Prorettore alla ricerca nell’Università di Milano-Bicocca dove è stato direttore del Dipartimento di Scienza dei materiali. Per le sue ricerche ha ricevuto numerosi premi internazionali, fra cui l’Humboldt Award e la medaglia Pascal della European Academy of Sciences. Ha tra l’altro pubblicato «Idee per diventare scienziato dei materiali» (2006) e «Quanto è piccolo il mondo» (2008), entrambi con Zanichelli, e per il Mulino «Scienza, quo vadis?» (2017).