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“Per soli uomini. Il maschilismo dei dati dalla ricerca scientifica al design”

Intervista agli autori Emanuela Griglié e Guido Romeo

Il soffitto di cristallo della discriminazione di genere scricchiola, ma dietro se ne cela uno ancora più insidioso, quello dei dati. È il tema al centro di “Per soli uomini. Il maschilismo dei dati dalla ricerca scientifica al design”, 145 pagine sull’utilizzo di dati al maschile, pubblicato da Codice Edizioni. Gli autori, Emanuela Griglié e Guido Romeo, affrontano la questione della disparità di genere che nuoce alla scienza, dalla medicina all’astronomia; al design, all’industria e alla società tutta, donne e uomini compresi.

Nel libro si racconta la cosiddetta “taglia unica” emblema di una società ancora per gran parte improntata su data set al maschile e quindi sbilanciata a favore del “maschio standard”, colui che appartiene ad una determinata classe sociale, di una certa altezza, di una certa etnia che non rappresenta di certo le donne, ma nemmeno tutti gli uomini.

Gli esempi delle conseguenze di questo trend sociale sono tantissimi e toccano i più svariati ambiti: dalla ricerca farmacologica con la storia di farmaci che hanno causato danni ingenti come la Talidomide, all’assenza di tute spaziali adatte alle caratteristiche dei corpi delle astronaute, ai crash test effettuati su manichini “standard”, alla temperatura degli spazi pubblici settata sulla media corporea degli uomini, a cellulari troppo grossi per le dimensioni medie delle mani delle donne, fino ad arrivare alle nuove tecnologie che sembrano perpetuare lo stesso gender gap.

Ma se nel mondo analogico è evidente che scelte e vincoli commerciali hanno guidato e alimentato la discriminazione uomo – donna, nel saggio ci si chiede come mai oggi, all’epoca del digitale, non riusciamo a svincolarci dal passato e segnare il cambio di passo.

Abbiamo intervistato gli autori Emanuela Griglié, collaboratrice de “La Stampa” e “Repubblica Salute”, scrive di innovazione, cultura digitale e scienza e Guido Romeo, collaboratore de “Il Sole 24 Ore” dove tratta temi di economia e innovazione.

Com’è nata l’idea di scrivere un libro insieme?

EG: Guido ed io lavoravamo da tempo insieme e ci siamo trovati spesso a riflettere su queste tematiche. Un giorno abbiamo condiviso tutto il materiale che quasi senza accorgercene avevamo già messo da parte: appunti presi su tovagliolini dei bar, ritagli di giornali, excel di dati.

GR: E così, complice anche il lockdown dell’anno scorso, ci siamo messi a scrivere.

Esistono già testi usciti di recente su questa tematica, il vostro che caratteristica diversa ha?

EG: La principale differenza è che il nostro libro è scritto per tutt*, non solo per le donne. All’insegna dell’inclusione e del guadagnarci tutt*, perché l’uguaglianza di diritti è una condizione che si può ottenere solo se combattiamo la stessa battaglia insieme. Inoltre, raccontiamo le disparità tra l’uomo “standard” e gli altri citando dati e senza alcun tipo di vittimismo.

GR: Ripensare gli oggetti e la stessa società in modo che rispondano ad esigenze specifiche, fa bene a tutt* e non solo alle donne, che per altro sono il 51% della popolazione. Crediamo fortemente che la disparità di genere sia un tema di giustizia sociale e che i diritti non siano a somma zero. A questo proposito, nel libro affrontiamo le differenze salariali tra uomini e donne, ma anche le disparità a livello di congedo parentale. Alzare gli stipendi medi delle donne, non significa diminuire quelli degli uomini. E lo stesso vale per i giorni di congedo parentale: assegnare più giorni ai neopapà, non significa diminuire quelli delle mamme.

Nel libro fate notare che se nel mondo analogico certe asimmetrie erano dettate anche dalla necessità di semplificare, adesso, nell’epoca dei big data e della customizzazione, è del tutto anacronistico avere tecnologie cosiddette “taglia unica”. Perché e come mai non riusciamo a livellare la disparità di genere?

EG: Non è che non si riesca a pareggiare il gap, l’impressione è piuttosto che non si voglia. Nei dati che abbiamo analizzato ci troviamo davanti ad uno scenario fatto di picchi e vallate. Qualche casa automobilistica per esempio, si è data molto da fare in questo senso, lanciando veicoli adatti e sicuri per le fisicità di tutt*.  La questione è come mai se n’è occupata solo qualche casa automobilistica e non tutte.

GR: Il nostro libro vuole proprio denunciare questa situazione paradossale. Nell’epoca dei big data, dell’AI, della prototipizzazione rapida e stampa 3D, abbiamo molti più gradi di libertà e adattabilità, quindi non è più giustificabile in alcun modo quello che noi definiamo “taglia unica”.

Quanto interesse commerciale c’è tra chi va nella direzione della casa automobilistica citata?

EG: Sicuramente ce n’è, ma ben venga, perché anche così si rompono gli schemi culturali. In questo momento servono grosse azioni, anche provocatorie per cambiare la realtà delle cose.

GR: Un’azione provocatoria di grande impatto è stato il movimento del “#MeToo” che ha interessato anche il mondo della ricerca.  Nel mondo scientifico, il “#MeToo” ha innescato una domanda crescente di più trasparenza sui finanziamenti dati alle ricercatrici e ai ricercatori, sostenendo la tesi che i ricercatori uomini ottenessero in media grant più ricchi. I finanziatori chiamati in causa non potevano non ottemperare alla richiesta di mostrare le somme stanziate e il risultato è stato importantissimo, perché ora si agisce in totale trasparenza.

Dedicate il libro ai vostri rispettivi figli:

EG: Sono super ottimista sulle nuove generazioni. Sono toste, hanno metriche diverse dalle nostre e sono innovativi nel porsi tra generi. Per loro è quasi automatico avere delle attenzioni che per noi sono ancora forzate per esempio nel linguaggio e nella scrittura.

Le regole grammaticali ignorate quando ci si riferisce ad una donna con ruolo lavorativo declinato al maschile, così come i dati che avete studiato, sono prove inconfutabili dell’entità del gender gap nella nostra società?

EG: Certo! Nel caso del linguaggio, i tentativi di cambiare e le polemiche che ne derivano danno la misura del gender gap. Abituarsi ad un certo tipo di linguaggio provoca cambiamenti enormi, fondamentali. Non si tratta di vezzi.

GR: Per quanto riguarda i dati, nel loro insieme tendono a nascondere, ma se li isoli e li interpreti sono i mattoncini su cui si basa la nostra società e si sono rivelati fondamentali per comprendere il fenomeno a cui siamo difronte.

Qual è l’ambito che vi ha stupito di più in cui le discriminazioni di genere sono radicate?

GR: Senz’altro il mondo delle nuove tecnologie e del digitale che forse è il più inaspettato perché nasce sulla retorica dell’egualitarismo a partire da “move fast and break things” ed invece è estremamente maschilista e non solo perché ad oggi la maggior parte degli sviluppatori, e quindi delle menti che stanno dietro alle tecnologie, sono maschi ma anche perché lo è la maggior parte dei venture capitalist. Gli investitori rappresentano a pieno “il maschio standard” portandosi dietro tutti gli scheletri nell’armadio del caso e dunque investendo di più in un tipo di innovazione e tecnologia che fa capo a uomini.

Nel libro parlate anche del mondo dell’informazione e lo definite “maschio centrico”. Scrivete “8 notizie su 10 parlano di uomini” e continuate dicendo che il problema non è solo di spazi, ma anche di ruoli e di linguaggio. Nell’ambito dell’editoria portate un esempio che mette in luce cosa può fare la volontà di cambiare unita alle potenzialità della tecnologia.

EG: Sì, abbiamo parlato del software di analisi semantica “She said-He said” adottato dal Financial Times e sviluppato da Virginia Stagni. Si tratta di un’applicazione molto semplice, ma altrettanto efficace, che invia degli alert in base a quanti pronomi maschili e femminili e quanti nomi di donna o di uomo vengono inseriti in un articolo per dare feedback immediato all’editor dello stato bilanciamento del pezzo. Questa è una prova della differenza che fanno le menti che stanno dietro alle nuove tecnologie.

Verso nuove metriche di genere”, chiudete il libro con questo capitolo, in cui citate tra le altre Linda Laura Sabbadini, Direttrice Centrale dell’ISTAT e pioniera delle statistiche di genere in Italia. Volevate chiudere con uno slancio di positività?

EG: In questo capitolo vogliamo riassumere quanto di positivo si stia facendo nell’ambito della raccolta dei dati e non solo. È incoraggiante sapere che qualcosa si sta muovendo. Dal censimento decennale, per esempio, siamo passati al censimento permanente che consente di avere informazioni molto più dettagliate anche sui temi di genere e nel 2020 nel regolamento della Camera dei Deputati è stata inserita la valutazione di impatto di genere, il GIA, Gender Impact Assessment, grazie alla vicepresidente Maria Edera Spadoni.  

GR: Siamo in grado di entrare in possesso di una grande mole di dati, ora dobbiamo dimostrare di saperli interpretare e di prendere provvedimenti di conseguenza per alleviare le disparità di genere.

Il Vostro libro è uscito in un momento che possiamo definire di fermento culturale e sociale. Di recente Maria Chiara Carrozza è stata nominata Presidente del CNR, Centro Nazionale delle Ricerche e Alessandra Galloni Direttrice di Reuters, l’agenzia di stampa internazionale. In entrambi i casi si tratta della prima donna a ricoprire quel ruolo in quell’istituzione. Tuttavia nel Vostro libro si legge che “al ritmo attuale ci vorranno 280 anni per raggiungere la parità di genere nella computer science e 258 nella fisica”. Secondo le statistiche che avete analizzato, la trasformazione è già in atto o siamo solo agli inizi del cambio di passo?

EG: Gli episodi che hai citato sono risultati importanti, così come è vero che il fermento sociale è palpabile tanto da entrare a gamba tesa in un contesto tradizionale e conservativo per eccellenza come è il Festival di San Remo, in cui è passato tutt’altro che inosservata la richiesta della Direttrice d’Orchestra di farsi chiamare Direttore. Tuttavia, proprio il fatto che percepiamo la straordinarietà dei fatti citati, indica che sia solo l’inizio del cambiamento.

GR: La disparità di genere è una malattia multifattoriale. C’è da essere ottimisti sperando che i progressi siano lineari ed esponenziali per superarla, ma il gap di svantaggio da cui partiamo è talmente ampio che servono dei forti scatti culturali da parte di uomini e donne, un correttivo forzoso, perché la trasformazione acceleri fino a diventare vero cambiamento.

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