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Con DIEGO segniamo un gol a Covid-19

Un ventilatore polmonare a basso costo concepito per quei Paesi e comunità dove questo dispositivo è un miraggio

Intervista a Luciano Fadiga, professore ordinario di Fisiologia a Ferrara e direttore del Centro di Neurofisiologia traslazionale dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT)

Com’è nata l’idea di realizzare il ventilatore polmonare Diego?

Ci siamo semplicemente guardati in giro e abbiamo pensato a come potevamo dare una mano. Mettendo assieme competenze diverse, un medico/fisiologo, un bioingegnere/robotico, un progettista meccanico. Diego Torazza ha avuto l’idea del peso sollevato dalla camma. Guido Bonapace di Isemed ci ha dato un enorme aiuto dal punto di vista normativo, tutti in IIT hanno iniziato a contribuire con entusiasmo anche perché hanno capito che si voleva fare qualcosa di utile davvero. Con discrezione e pensato per i pazienti.

In produzione vi sono altri ventilatori simili a questo realizzato in collaborazione con l’Università di Ferrara, quali sono i plus del nostro?

Il nostro è stato pensato immaginando di essere in una città del terzo mondo. Pensando a qualcosa che poteva essere fabbricato da un discreto meccanico con un trapano e poco più a disposizione. E’ stato pensato per poter funzionare in maniera indipendente dall’alimentazione di rete e utilizzando componenti facilmente reperibili ovunque. Al tempo stesso, però, è stato progettato da un fisiologo per cui garantisce prestazioni e sicurezza più che ragionevoli. Inoltre, il fatto che la forza che agisce sia la gravità e che le regolazioni dei volumi e dei tempi respiratori siano meccaniche lo rende intrinsecamente sicuro. Niente a che vedere con tante cose che girano su internet. Alcuni, addirittura, ucciderebbero un paziente in tre minuti.

A che punto sono gli iter autorizzativi essenziali per l’utilizzo di questo tipo di tutto pensando al paziente?

Fin dall’inizio abbiamo fatto tutto pensando all’uso sul paziente umano. Per cui, dopo avere verificato la sicurezza elettrica e la compatibilità elettromagnetica del dispositivo (cose abbastanza semplici, visto che funziona a 12 volt e che l’unico componente elettronico è un regolatore di velocità del motore che si trova su internet per pochi euro), abbiamo sottoposto il progetto al Comitato Etico di Area Vasta della Regione Emilia Romagna Centro che in pochi giorni ha approvato lo studio clinico. Grazie alla collaborazione di tanti colleghi medici (fra tutti il prof. Volta, anestesista tra i più esperti in Europa in ventilazione polmonare) abbiamo provato il dispositivo in sala operatoria, su pazienti volontari addormentati e intubati. Le prestazioni cliniche di Diego sono state sovrapponibili a quelle del ventilatore della sala (il cui costo è di decine di migliaia di euro).

Con questo non voglio dire che DIEGO rimpiazzerà i ventilatori tradizionali. Tutto sommato la sua sicurezza deriva anche dalla semplicità e dal basso numero di parametri regolabili. Però, per un uso compassionevole, o per interventi chirurgici in zone dove avere un ventilatore è un sogno, va benissimo.

Si tratta di un prodotto a basso costo facilmente utilizzabile e trasportabile. Quali sono le comunità mondiali che potrebbero ottenerlo e come?

Innanzitutto chiunque può fabbricarselo seguendo le istruzioni e i disegni che abbiamo pubblicato su Zenodo. E’ un progetto completamente Open Source e tutti quelli che hanno contribuito lo hanno fatto gratuitamente. Però siamo molto ottimisti perché ci sono ditte italiane disponibili a fabbricarne centinaia gratis. Il costo dei componenti di Diego è irrisorio, tra i 200 e i 400 euro a seconda del motore che si sceglie. Il problema da risolvere è, come spesso succede, burocratico. Identificazione del fabbricante, gestione dell’esportazione, assicurazioni. Ma sono sicuro che andremo in fondo. Anche perché abbiamo già richieste per tanti Dieghi.

Dal punto di vista produttivo vi sono partners industriali disponibili a lavorare con noi in questo importante progetto umanitario oltre SCM Group di Rimini che ha realizzato una pre-serie?

SCM è una multinazionale che fattura 700 milioni di Euro all’anno. Per cui il suo coinvolgimento sta dando un’impronta di efficienza e prestigio al progetto. Ma ci sono anche altri disponibili a dare una mano. Sarà una bella gara.

Qual è stato il ruolo dell’Università di Ferrara in questo progetto?

Sicuramente, tutta la parte clinica è stata resa possibile solo grazie al coinvolgimento di Ferrara. Inoltre, l’avere a disposizione nel nostro Istituto di Fisiologia della strumentazione necessaria alla caratterizzazione fisiologica di Diego, è stato un fattore che ha fatto la differenza. Il pezzo più bello è lo spirometro che abbiamo usato. Un pezzo di artigianato meraviglioso che risale alla scuola del Prof. Agostoni di Milano, illustre fisiologo e accademico dei Lincei. Lui è stato Professore a Ferrara molto prima di me. Chi lo avrebbe detto che quel cimelio che avevo lucidato e messo nel nostro piccolo museo sarebbe tornato così utile…

Perché il nome “DIEGO”?

Diego è un acronimo di “Device for Inspiration and Expiration, Gravity Operated”, ma in realtà è anche il nome di Diego Torazza, che ha avuto l’idea del peso e della camma. L’idea di chiamarlo così l’ha avuta Giulio Sandini ed è piaciuta subito a tutti. Se poi piacesse anche a Diego Della Valle, magari di Dieghi ne potrebbero davvero nascere migliaia…

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