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Creiamo la tecnologia che non c’è per i beni culturali

Intervista ad Arianna Traviglia, Coordinatrice del Centre for Cultural Heritage Technology (CCHT) di IIT a Venezia

Arianna dal gennaio 2019, data dell’inizio dell’attività del centro, ad oggi cos’è avvenuto?

Siamo partiti con una dotazione minimale, sedie e scrivanie, ed oggi possiamo contare sul lavoro di un laboratorio di chimica, un laboratorio di robotica e grandi uffici dove ricercatori specializzati in discipline diverse applicano il principio della multidisciplinarietà. Nell’inverno del Diciannove eravamo in tre ora saremo presto in trenta e abbiamo diverse posizioni aperte che contiamo di coprire a breve. Per quanto concerne le strategie operative, abbiamo meglio delineato le linee di ricerca comprendendo quali potevano essere le funzioni di questo centro. Siamo partiti da un’analisi accurata dei gap di ricerca esistenti nel mondo dei beni culturali, valutando le opportunità e cercando di inserirci in tutti quegli spazi che offrono grandi possibilità di studio e intervento. Abbiamo osservato il grande divario tra il lavoro di analisi e studio e il trasferimento tecnologico: un deserto da attraversare. Il nostro centro si è quindi collocato in questo spazio, molto ampio, che segna la distanza tra ricerca e mondo reale e lo abbiamo fatto sviluppando sinergie con altri enti e ottenendo finanziamenti europei sostanziosi, utilizzati in collaborazione con grandi player internazionali. Potremo così potuto proporre al mercato innovativi strumenti operativi.

Quali sono questi nuovi strumenti?

La pianificazione territoriale è estremamente problematica nel nostro paese perché i territori nascondono nel sottosuolo vestigia archeologiche delle quali non conosciamo né esistenza né collocazione. La costruzione di grandi infrastrutture subisce dei blocchi quando incontra, improvvisamente, siti archeologici. Per evitare ciò stiamo lavorando in positiva sinergia con l’Agenzia Spaziale Europea e l’Agenzia Spaziale Italiana per mettere a punto strumenti creati dall’intelligenza artificiale che riescano ad identificare automaticamente, con le immagini satellitari, la presenza di siti archeologici nel sottosuolo. Questo progetto incontra il grande interesse degli enti che si occupano di pianificazione territoriale e anche dei grandi gruppi industriali che hanno bisogno di conoscere nella fase progettuale la situazione del sottosuolo prima di pianificare una nuova infrastruttura o ampliarne una esistente.

Questo sistema di monitoraggio ti ha permesso di avere un’idea della diversa concentrazione di queste aree archeologiche lungo la nostra penisola?

Sì, e per comporre questo quadro ci siamo concentrati su alcune aree specifiche. Quella lagunare veneta, anche per motivi legati alla presenza del nostro centro a Venezia, e quella friulana, nella zona di Aquileia. Abbiamo poi individuato delle aree di studio nel centro e sud d’Italia. La differenziazione dei territori individuati per le nostre analisi ci permette poi, usando un termine da intelligenza artificiale, “di applicare a livello globale”. Lavoriamo anche all’estero dove alleniamo l’intelligenza artificiale in territori aridi. Abbiamo vinto il finanziamento per una missione archeologica italiana in Tunisia, prima missione archeologica ufficiale di IIT. Per questo intervento abbiamo ottenuto dal Ministero degli Affari Esteri il riconoscimento e supporto come Missione Italiana. Ciò sottolinea l’alto livello della ricerca che stiamo conducendo. Utilizzeremo il progetto Tunisia come case study.

Chi arriva prima nei siti archeologici, anche senza intelligenza artificiale, è il predone volgarmente individuato come tombarolo. Il monitoraggio satellitare è utile anche in questo caso?

Ci siamo aggiudicati un progetto con l’Agenzia Spaziale Europea e lavoriamo su di un altro progetto europeo entrambi dedicati al tema della scurezza. Analizziamo le immagini satellitari sfruttando l’intelligenza artificiale per individuare scavi clandestini in aree archeologiche. Siamo leader assoluti nel nostro paese per quanto riguarda gli studi e l’applicazione di sistemi dedicati alla prevenzione e alla sicurezza dei siti archeologici. Si è appena concluso il nostro progetto Netcher, finanziato dalla UE, ed è iniziato il progetto Rithms, con un finanziamento della Comunità Europea di 5 milioni totali, di cui oltre un milione di euro solo per IIT, in questo caso siamo coordinatori di venti partner e tra questi i rappresentanti di forze dell’ordine europee ed extraeuropee oltre naturalmente i nostri Carabinieri. Con questi professionisti lavoriamo per la messa a punto, attraverso l’intelligenza artificiale, di strumenti di supporto per le loro attività d’investigazione. Identifichiamo usando informazioni online gli attori del traffico di beni culturali e i collegamenti che li legano ai grandi gruppi di trafficanti e ai ricettatori. Contiamo, a progetto concluso, di fornire agli investigatori di tanti stati uno strumento informatico molto efficace per stroncare il traffico di reperti archeologici. Naturalmente, questi strumenti possono essere applicati al contrasto di altre attività criminose.

Vi è poi l’impegno del tuo centro per i sistemi di trascrizione automatica dei test

Certo, è questa un’altra attività che suscita grande interesse. Abbiamo in prospettiva la realizzazione del trasferimento tecnologico in un prodotto digitale che trascriva l’enorme patrimonio di testi prodotti nel tempo. Quelli antichi ma anche la documentazione di imprese e industrie che spesso sono testimonianza di innovazione tecnologica che accompagna importanti processi socio-economici. Attualmente abbiamo a disposizione grandi archivi che sono di difficile consultazione. Con il nostro progetto di digitalizzazione potremo catalogare una enorme quantità di materiale, immediatamente e approfonditamente consultabile.

Con il tuo gruppo di ricercatori ti occupi anche di un aspetto dell’analisi di reperti antichi che ha un grande valore perché ci riconduce alle origini della scrittura: la comprensione del sistema cuneiforme

Con un gruppo di orientalisti dell’Università Ca’ Foscari stiamo lavorando alla trascrizione automatica della cuneiforme e alla comprensione di tutta una serie di informazioni che sono racchiuse nelle tavolette che ad oggi non sono state ancora decifrate dagli archeologi. Non si riesce infatti a comprendere cosa significhino alcuni segni epigrafici. Con l’utilizzo dell’intelligenza artificiale cerchiamo di dare una risposta a questi suggestivi quesiti. Questo tipo di algoritmi di decriptazione potrebbero poi avere dei risvolti in altre discipline e applicazioni.

Altro sito di grande fascino e interesse per gli archeologi e per il mondo intero è Pompei. Anche qui CCHT sta sviluppando un progetto

Sì, si tratta di un progetto di robotica condotto con i colleghi Mazzolai e Cannella che ha l’obiettivo di conservare le vestigia dell’antica città vesuviana. Ferdinando Cannella, con l’ausilio di un robot, sta creando strumenti per monitorare il sito. Con Barbara Mazzolai stiamo valutando se i suoi plantoidi possono inserirsi tra le mura delle case di Pompei dove si osservano ancora degli affreschi. I plantoidi potrebbero aiutare a definire lo stato della staticità dei manufatti e segnalare la possibilità di distacco dell’affresco, permettendo così d’intervenire prima che vi sia un cedimento che distruggerebbe l’opera. In futuro vorremmo utilizzare i plantoidi come vettori per inserire dei collanti negli interstizi sui quali poggiano gli affreschi. Inoltre, prosegue il progetto Repair, con i colleghi Bicchi, Tsagarakis, Del Bue e l’ausilio dei robot ricostruiremo un grande affresco pompeiano utilizzando i frammenti raccolti nel sito. Noi ci occupiamo della tecnologia iperspettrale che valuta attraverso dei sensori la presenza di pigmenti utilizzati all’origine e poi scomparsi. Queste informazioni supportano il sistema di intelligenza artificiale che si occupa poi di unire i frammenti nella originale posizione.

Infine, abbiamo lavorato molto nella branca chimica della nostra attività. Nei primi tre anni di lavoro ci siamo dedicati all’osservazione dei materiali che vogliamo preservare e abbiamo definito le nostre aree d’intervento che sono: affreschi ancora in sito, mosaici, carta, metalli e vetro. Stiamo lavorando quindi alla realizzazione di prodotti ecosostenibili nano-strutturati dedicati al consolidamento e alla conservazione. Particolare caratteristica di questi materiali è di essere ritrattabili, evitando così di intervenire con l’asporto totale dei prodotti che crea un inevitabile degrado del mosaico o di un’opera in genere. Su questo tema abbiamo vinto un progetto europeo. A brevissimo lanceremo il manifesto della chimica verde per i beni culturali, un’iniziativa unica e originale che consoliderà ulteriormente la presenza di IIT e CCHT nel contesto socioculturale del nostro paese.

Ci siamo anche concentrati sulle analisi dedicate all’individuazione delle cause del degrado del bene culturale. Stiamo per pubblicare uno studio sulla scoperta di un cristallo fotonico rilevato su un vetro di origine romana. Questa scoperta può dare spunti e idee con grandi ricadute per lo sviluppo, per esempio, di sistemi per la produzione di energia rinnovabile solare, grazie alle proprietà ottiche di questo tipo di cristallo. Passato e futuro si fondono in questo studio offrendo, anche in questo caso, un’ottima opportunità di trasferimento tecnologico.

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