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Ecco come cervelli e corpi si muovono al ritmo della musica

La neuroscienza di quando si balla

Ballare con qualcuno può dare una magica sensazione di connessione profonda. La musica con il suo variare di ritmi e melodie sorprende il nostro e ci induce a muoverci, spesso insieme ad altre persone. Usiamo tutti i nostri sensi, vista, udito e persino tatto, per comunicare con la persona con cui balliamo e raggiungere la massima sincronizzazione. Tuttavia, le persone con problemi di salute mentale potrebbero far fatica a interpretare correttamente questi complessi segnali sociali. Ciò può rendere esperienze come il ballo, in cui la lettura dei segnali sociali è essenziale, più impegnative. Quattro ricercatori dell’IIT, con sede a Genova e Roma, spiegano cosa succede nel nostro corpo e nel nostro cervello quando balliamo con qualcuno e cosa significa ricevere informazioni sociali contrastanti. Vuoi sperimentarlo di persona? Visita la loro mostra interattiva, Ballando al ritmo di qualcun altro, al Festival della Scienza di Genova dal 24 ottobre al 3 novembre. Questa mostra ti farà comprendere che ballare con qualcuno è più che muoversi a ritmo di musica, si tratta di una complessa connessione sensoriale e sociale tra persone.

Balli a ritmo di musica e a ritmo del tuo partner

I movimenti sincronizzati, come il ballo di gruppo, rafforzano i legami e incoraggiano la cooperazione, ingredienti chiave per i legami sociali. Ma questa sincronizzazione avviene solo grazie alla musica o i nostri passi di danza sono influenzati anche dalle persone che ci circondano? Félix Bigand (ricercatore post-doc presso il Laboratorio Neuroscience of Perception and Action dell’IIT di Roma) si è proposto di esplorare la questione. Nel suo recente articolo, ha creato un esperimento di silent disco o “discoteca silenziosa”, in cui le persone ballavano insieme indossando cuffie per sentire la musica. Con un ingegnoso espediente, a volte i due ballerini ascoltavano musica a un ritmo differente, a volte erano impossibilitati a vedersi. “Eravamo interessati a capire che cosa succede quando vedi un’altra persona ballare con te, ma senti un ritmo diverso. Balli con il tuo ritmo o ti sincronizzi con il suo? Abbiamo scoperto che non bisogna scegliere! Alcuni movimenti si sincronizzano con la musica, mentre altri seguono il ritmo dell’altra persona in modo totalmente indipendente”, ha spiegato Félix. L’esperimento ha mostrato che la sincronia dei movimenti della testa, come l’annuire, è tipicamente guidata dalla musica. Sorprendentemente, altri movimenti, come l’ondeggiare lateralmente o l’agitare le mani, sono più spesso sincronizzati con quelli del proprio partner di ballo. Ciò suggerisce che ci sono effettivamente movimenti che hanno una funzione sociale. Una terza categoria, il rimbalzo (muoversi su e giù), sembra essere influenzata sia dalla musica che dal partner. “Il rimbalzo potrebbe servire come spunto centrale per la sincronizzazione”, ha suggerito Félix. “Sento un ritmo, voglio che ci sincronizziamo, quindi ti imito, ma se mi porti a un altro ritmo, si crea una tensione e voglio che i nostri ritmi siano sincronizzati”.

Per approfondire ciò che stava accadendo nel cervello, Félix sta anche utilizzando l’EEG (elettroencefalografia), una tecnica per misurare l’attività elettrica cerebrale utilizzando una sorta di cuffia da nuoto con elettrodi che poi si attaccano al cuoio capelluto. Questa ricerca è ancora in corso ma, cosa interessante, sembra già che il rimbalzo generi una risposta neuronale particolarmente forte. “Questo potrebbe significare che prestiamo particolare attenzione al rimbalzo”, ha aggiunto Félix. Questo ruolo centrale del rimbalzo nella nostra coordinazione ritmica potrebbe avere origine fin dall’inizio della vita. “Il rimbalzo è anche ciò che un bambino sperimenta quando la madre cammina, quindi è una delle nostre prime esperienze di movimento ritmico”.

Il cervello musicale è pieno di sorprese

Prima di iniziare a far rimbalzare la testa, la musica deve passare dalla fonte del suono (la radio, uno strumnero ecc.), attraverso le orecchie fino al cervello. Che cosa ci fa amare certe canzoni? Roberta Bianco(Marie Skłodowska-Curie fellow presso il laboratorio Neuroscience of Perception and Action dell’IIT di Roma) è affascinata da come il cervello reagisce quando ascoltiamo musica che ci piace. “La musica è composta da ritmo e melodia. Quando ascolti una canzone, il tuo cervello indovina automaticamente quale nota viene dopo e come dovrebbe continuare il ritmo”, spiega. La musica gioca con queste aspettative. Spesso segue ciò che il tuo cervello ha previsto, ma può anche sorprendere. Quando la musica è troppo regolare, è noiosa. Tuttavia, se è troppo casuale, il nostro cervello non riesce a seguirla. C’è un punto giusto nel mezzo che ci fa provare il massimo piacere e un forte desiderio di ballare. “Questo potrebbe spiegare il potere del groove“, secondo Roberta. In questo genere musicale, infatti, c’è un po’ di cambiamento nel ritmo chiamato sincope. La sincope avviene quando un accento inaspettato è inserito tra i battiti regolari. È come battere le mani un pochino fuori tempo, rendendo la musica più interessante ed emozionante.

Utilizzando l’EEG per misurare l’attività cerebrale, Roberta studia il modo in cui il cervello risponde alla musica. Con questa tecnica può misurare quanto una nota sia sorprendente in termini di melodia e ritmo. Negli adulti, c’è un grande cambiamento nell’attività cerebrale quando una nota è sorprendente. L’attuale lavoro di Roberta dimostra che anche i bambini di due giorni seguono già il ritmo, ma il loro cervello non riconosce ancora la sorpresa melodica. “Il senso del ritmo sembra essere innato, ma la capacità di seguire una melodia potrebbe essere appresa attraverso lo sviluppo e l’esperienza”, osserva Roberta. “Questo potrebbe essere dovuto al fatto che, nell’utero, i bambini sono esposti ai ritmi biologici, come la camminata e il battito cardiaco della madre, ma i suoni, specialmente i più acuti vengono filtrati. Dopo la nascita, attraverso parole e canzoni dirette al neonato, il bambino inizierà a sentire le melodie”. La ricerca di Roberta, ora in corso, mira a capire come i bambini sviluppano la capacità di seguire le melodie durante il primo anno di vita. Roberta vuole scoprire come questa abilità venga modellata dal linguaggio e dall’esposizione alla musica.

Il tuo cervello usa tutti i tuoi sensi per ballare

Quando balliamo con qualcuno, non solo ascoltiamo la musica, ma vediamo anche i movimenti dell’altro e talvolta usiamo il tatto per trovare la sincronizzazione ottimale. Io, Josien Visser (Marie Skłodowska-Curie fellow presso l’Optical Approaches to Brain Function Lab presso l’IIT di Genova), studio come il cervello combina le informazioni provenienti da tutti i sensi e come ciò influisce sul comportamento. Questo fenomeno è chiamato integrazione multisensoriale. Semplici illusioni mostrano chiaramente che il tuo cervello combina effettivamente vista e udito per comprendere le altre persone. Ciò che vedi può persino ingannare ciò che senti! In un’illusione chiamata effetto McGurk (vedi il video) gli input uditivi e visivi vengono messi in conflitto: ciò che senti (ad esempio, “ba”) non corrisponde a ciò che vedi (movimenti delle labbra che mostrano “ga”). Il cervello, invece di utilizzare un solo senso, fonde gli input e crea una nuova percezione (“da”), dimostrando quanto siano profondamente connessi i nostri sensi. Nella nostra mostra Ballando al ritmo di qualcun altro che sarà presentata a Genova, sperimenterai come la combinazione di input uditivi e visivi aiuti a comprendere qualcun altro. Di solito, il ritmo della musica si allinea con i passi di danza delle persone intorno a te. Ma cosa succede quando il ritmo non corrisponde al tuo input visivo? Farai più affidamento sui tuoi occhi o sulle tue orecchie?

La salute mentale influisce su semplici interazioni come il ballo

Ballare con qualcuno può sembrare un’attività semplice e gioiosa. Ma per le persone con problemi di salute mentale, come la schizofrenia e l’autismo, queste interazioni possono essere molto impegnative. Secondo Christine Stubbendorf (Marie Skłodowska-Curie fellow presso il Genetics of Cognition Lab presso l’IIT di Genova), le interazioni sociali sono più difficili di quanto sembrino. Un volto felice e uno sorpreso possono sembrare molto simili. O cosa significa se qualcuno ti dice di essere felice, ma ha un’espressione triste? Questo crea un segnale misto che può essere difficile da interpretare. “Le persone con schizofrenia spesso hanno difficoltà a comprendere questi segnali, il che le rende insicure e socialmente evitanti”, riporta Christine. La sua ricerca si concentra sulla corteccia prefrontale mediale, un’area del cervello coinvolta nel processo decisionale. Interagire con le persone significa prendere decisioni in continuazione: ho già visto questa persona? È felice o triste? In che modo dovrei rispondere? È noto che in questa area cerebrale l’attività di base è più bassa nei pazienti schizofrenici. Christine studia come cambia l’attività cerebrale a seconda delle specifiche situazioni sociali. L’auspicio è che una migliore comprensione del funzionamento del cervello possa portare a trattamenti più specifici, rendendo le persone affette da schizofrenia meno evitanti e facendo in modo che possano essere in grado integrarsi nella società usando meno farmaci. “Nella nostra mostra Ballando al ritmo di qualcun altro per il Festival della Scienza puoi sperimentare cosa significa interagire socialmente con le persone quando non hai tutte le informazioni a cui sei abituato”. Questa esperienza può darti uno sguardo su come i disturbi di salute mentale possano influenzare la vita sociale delle persone.


*pict cover by Lucrezia Faraggi

**Josien Elizabeth Visser è Researcher dell’unità Optical Approaches to Brain Function di IIT

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