L’opinione dei ricercatori IIT
Elon Musk, il visionario imprenditore che ha fatto a lungo parlare di sè per le sue scelte di marketing e comunicazione, non ultimo il lancio di una Tesla nello Spazio, è tornato alla ribalta commentando i primi risultati e i progetti futuri di Neuralink la start up da 100 milioni di dollari fondata nel 2016. Neuralink mira a sviluppare elettrodi flessibili minimamente invasivi impiantabili nel cervello umano per creare un’interfaccia cervello-macchina in grado in un futuro prossimo di “restituira la vista, l’udito e la parola ai pazienti che hanno avuto casi di ictus, e potenziarne anche le facoltà intellettive”. A lanciare la notizia per primo sui giornali è stato The New York Times ripreso in Italia da numerose testate. Ma gli imprenditori come Musk, come vengono visti dal mondo della ricerca e che effetto hanno? L’abbiamo chiesto a Luca Berdondini, coordinatore del laboratorio NETs3 di IIT e Michela Chiappalone, coordinatrice del team di Neuroingegneria del laboratorio congiunto Rehab Technologies IIT – INAIL.
Conoscete la start up Neuralink fondata da Elon Musk?
LB: Sì, è da quando è stata fondata che si parla di Neuralink sui media e sui social ma anche nel mondo della ricerca. Personalmente mi sono state segnalate più volte posizioni di lavoro disponibli presso loro e qualche mese fa, a seguito dei nostri recenti risultati, siamo stati invitati a visitarli. Con l’occasione, io e Giannicola Angotzi, membro del mio team, abbiamo tenuto un seminario sulla nostra tecnologia neuroelettronica sviluppata qui in IIT. L’azienda è esattamente come la si può immaginare: un bell’ambiente in puro stile start-up californiana, con personale giovane, motivato e brillante. Credo sia molto positivo che abbiano alzato il sipario su Neuralink.
MC: Sì impossibile non conoscerla! Ricordo che nel novembre 2017 mi trovavo all’Ambasciata d’Italia a Washington DC per parlare del progetto bilaterale ITALY-US finanziato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale a cui collaboro con Randolph Nudo, Univesity of Kansas, e in quella occasione Randy mi raccontò di aver ricevuto qualche mese prima una telefonata da qualcuno dell’enturage di Elon Musk per acquistare il nome Neuralink che Randy e il suo team avevano dato alla tecnologia neuroprotesica descritta in un loro lavoro scientifico del 2013. Poco dopo quella telefonata uscì la start up che oggi conosciamo tutti.
L’obiettivo dichiarato da Elon Musk e la sua società è creare dispositivi non invasivi impiantabili nel cervello. Anche il mondo della ricerca accademico è attivo su questo argomento, tra cui voi. Neuralink rappresenta lo stato dell’arte in campo del “transumano”?
LB: Stiamo vivendo un momento di forte fervore nel settore delle neurotecnologie. Sicuramente un forte stimolo viene dalla Brain Initiative che negli US sta dando origine a moltepici realtà che associano neurotecnologie e AI. Inoltre, queste tecnologie stanno uscendo dal loro settore d’origine delle applicazioni biomediche, e il campo delle “direct-to-consumer neurotechnologies” sta crescendo notevolmente, con applicazioni che vanno dall’automotive al gaming. Nel privato Neuralink è sicuramente una delle realtà che ad oggi meglio converge i settori necessari allo sviluppo delle interfaccie uomo-macchina. Nel settore accademico internazionale, tuttavia, ci sono realtà che convergono da anni eccellenza nei settori della robotica, micro-/nano-tech, microelettronica, computazione e neuroscienze. Una tra queste è sicuramante IIT. A mio avviso, la differenza principale sta negli obbiettivi: in un’azienda come Neuralink l’obbiettivo principale è il mercato; in istituzioni di ricerca pubblica/accademica come IIT è in primis l’acquisizione di nuova conoscenza e poi il trasferimento tecnologico.
MC: Il transumano è un filone di ricerca attivo anche in ambiti di ricerca universitaria e nei centri di ricerca pubblici. In Europa rispetto all’America di Musk questo campo di ricerca è visto ancora come un argomento sul quale essere piuttosto conservativi, tanto più che in Europa ci si occupa primariamente di Brain Computer Interfaces (basate su registrazioni non invasive dell’attività cerebrale), mentre le Brain Machine Interfaces (BMI, che impiegano elettrodi che penetrano il tessuto cerebrale, eseguendo registrazioni invasive) hanno baricentro di studio negli USA. Io nello specifico non mi occupo del dispositivo fisico che registra l’attività del sistema nervoso, ma studio quello che accade dopo, cioè l’interpretazione del segnale nervoso e l’impiego del segnale stesso come ponte per un’altra azione, come la stimolazione elettrica di un’area cerebrale o il dialogo con un dispositivo robotico per fare riabilitazione. Neuralink rappresenta un buon avanzamaneto dello stato dell’arte ma non dimentichiamoci che ci sono 20 anni di studi scientifici alle spalle di questi due anni di vita della start-up.Di certo l’approccio del suo fondatore e le tecniche di comunicazione usate aiutano a far credere che siano ad un passo dal raggiungere grandi risultati per applicazioni su uomo e in poco tempo, quando invece gli addetti ai lavori sanno che per ricevere l’approvazione da parte del Food and Drug Administratio – FDA per fare esperimenti sull’uomo sono necessari tempi molto lunghi e investimenti ingenti, anche se questo per un investitore come Musk di certo non rappresenta un problema.
I sistemi di interfaccia cervello – macchina secondo Elon Musk oltre a restituira la vista, l’udito e la parola in pazienti che hanno avuto casi di ictus, potranno potenziare le facoltà intellettive. Si tratta di una prospettiva ipotetica per cui vale la pena scomodare questioni etiche o una provocazione dell’eccentrico imprenditore?
LB: Credo che recuperare le funzionalità cerebrali sarebbe già un passo da gigante. Andare oltre, lo ritengo molto difficile. Rendiamoci conto che oltre agli aspetti tecnologici, un enorme sfida che Neuralink si prefigge è colmare lacune nell’attuale comprensione dell’implementazione biologica di queste funzioni nel cervello, di come decodificarle e codificarle. Quella di Elon Musk è a mio avviso una provocazione, ma anche una sfida reale alla scienza che va al di là delle conoscenze attuali. In ogni caso credo sia sempre sano mantenere alta l’attenzione sugli aspetti etici e sulle potenziali implicazioni positive e negative che ogni tecnologia sviluppata dall’uomo possa avere.
MC: Musk non sta dicendo niente di più e niente di meno di quello che è stato proposto venti anni fa, però il suo modo di esprimersi attraverso slogan, senza un approccio scientifico critico, non fa ben pensare e pone enormi problemi dal punto di vista etico. Detto questo credo che la possibilità di fare augmentation delle capacità cognitive soprattutto sulla popolazione anziana, che è in continua crescita, non sia una prospettiva negativa, diverso è giocare a creare il super uomo come promette Elon Musk. Ma probabilmente si tratta solo di marketing…
Ingenti investimenti da parte di privati visionari (si dice che Elon Musk abbia stanziato 100 milioni di dollari per Neuralink), che effetti hanno sulla ricerca pubblica e/o accademica?
LB: Estremamente positivi e credo si sia innescato un circolo virtuoso. Oggi la ricerca pubblica/accademica deve migliorare la sua capacità di essere vicina all’industria per riuscire a creare innovazione competitiva. Allo stesso tempo, gli sviluppi di Neuralink di fatto emergono dai risultati della ricerca fatta in precedenza e avranno bisogno di crescere con essa. Questo include anche la ricerca di base in settori quali le neuroscienze e nei quali la sinergia tra ricercatori con competenze in campi diversi sarà sempre più importante.
MC: Investimenti come quelli di Musk, ma anche tutta la macchina comunicativa che sta attorno alla start up, hanno come primissimo effetto quello di focalizzare l’attenzione dei media e di una certa massa critica attorno ad un ambito della ricerca che come dicevo prima non sempre viene affrontato perché potenzialmente spinoso, perciò credo che il mondo accademico che lavora in questo settore ne veda le opportunità e ne possa trarre vantaggio. Anche se sembra paradossale, inoltre, proprio il fatto che Musk e altri investitori non siano scienziati ma imprenditori, li autorizza ad utilizzare l’approccio che serve in questo momento nelle BMI per raggiungere il livello degli studi clinici e fare test sull’uomo. Lo sviluppo di nuove tecnologie che vanno incontro a necessità reali, facendo qualcosa di davvero utilizzabile dall’uomo e non che resti chiuso in un laboratorio sul modello animale, è una cosa da cui tutto il mondo scientifico può trarre vantaggio. Inoltre la start up di Musk ha all’attivo numerose offerte di lavoro che rappresentano nuove e interessanti possibilità di lavoro anche per i ricercatori degli atenei storici e consolidati come Harvard.
E come mai?
LB: L’impatto comunicativo di un imprenditore visionario come Musk è notevole e faciliterà la comprensione al pubblico, ad enti che finanziano la ricerca e a potenziali investitori privati ciò di cui noi neurotecnologi ci occupiamo. Inoltre Neuralink dimostra al mondo un interesse economico nel settore delle neurotecnologie e, di consequenza, si prospetta un grosso potenziale di ricadute economiche. Questo può essere un forte stimolo per gli enti di finanziamento e magari anche per motivare imprenditori visionari anche nel nostro Paese. Infine, realtà come Neuralink rappresentano opportunità di lavoro per i nostri studenti in ambiti estremamente innovativi.
MC: Per una company il focus è raggiungere gli obiettivi nel minor tempo possibile e questo principio è agli antipodi di chi lavora nel mondo della ricerca curiosity driven dove ogni strada deve essere vagliata, percorsa e testata, allungando di molto il tempo per avvicinarsi all’obiettivo. Questo rende la realtà di Musk e di altre start up molto stimolanti e attrattive per il mondo accademico. Il primo articolo sulle BMI è stato pubblicato nel 1999 però dal punto di vista clinico non si è mai riusciti ad arrivare a risultati importanti in tutti questi anni. La start up di Musk strategicamente si colloca in un periodo storico favorevole per questo argomento, complici anche le nuove tecnologie come deep learning, big data, AI che possono essere impiegate per superare il limite che fino ad oggi sembrava invalicabile.
Luca Berdondini è a capo del laboratorio NETs3 di IIT, nel dipartimento di Neuroscienze e Brain Technologie. La sua attuale ricerca si concentra sulla tecnologia e le applicazioni delle piattaforme neuroelettroniche ad alta risoluzione basate sulla tecnologia CMOS per la ricerca di elettrofisiologia e neuroscienze. Luca Berdondini è anche co-fondatore di 3Brain AG, la prima azienda che commercializza sistemi di sistemi di elettrodi ad alta risoluzione.
Michela Chiappalone fa parte del laboratorio congiunto Rehab Technologies IIT-INAIL in cui guida un gruppo di ricerca mirato a interfacciare dispositivi robotici con il sistema nervoso con applicazioni nel campo delle neuroprotesi e della neuroriabilitazione.