Cerca
Close this search box.

EMERGENCY: la ricerca traslazionale per supportare i più deboli

Intervista a Carlo Maisano, Coordinatore della divisione tecnica di EMERGENCY, sul rapporto dell’organizzazione con ricerca e innovazione

EMERGENCY è un’associazione umanitaria senza scopo di lucro, fondata nel 1994, che si occupa di offrire cure mediche e chirurgiche gratuite e di alta qualità alle vittime della guerra e della povertà, ed è ormai una realtà consolidata a livello internazionale. Abbiamo raggiunto Carlo Maisano, Coordinatore della divisione tecnica di EMERGENCY, per capire quali sono i collegamenti di questa importante organizzazione con la ricerca, le nuove tecnologie e l’innovazione.

 

Qual è il rapporto di una realtà come EMERGENCY con il mondo della ricerca?

Il nostro rapporto con la ricerca sicuramente nasce con la nascita dell’organizzazione nel 1994. EMERGENCY si occupa da sempre di applicare sul campo quello che viene studiato nei laboratori, sia a livello medico sia a livello tecnologico. Portiamo queste innovazioni nei posti dove lavoriamo, e valutiamo punti di forza e debolezza di quello che è stato studiato a distanza di migliaia di chilometri. Il nostro modello è quello della ricerca traslazionale, cerchiamo di traslare le tecnologie dall’ambiente di laboratorio al mondo reale, che nel nostro caso è spesso un paese in via di sviluppo con situazioni socio-politiche e sanitarie complesse. Ogni tecnologia deve essere poi rivista e adattata ai posti dove lavoriamo: ad esempio non è detto che ciò che funziona in paesi avanzati possa trovare un’immediata applicazione in Africa o in altri contesti particolari, bisogna considerare con attenzione la sostenibilità della tecnologia sia dal punto di vista economico e sociale che ambientale.

 

Lo sviluppo delle tecnologie lo eseguite voi internamente o applicate e testate sul campo tecnologie che provengono dalla vostra rete di collaborazioni?

Ci siamo mossi direi in tutte le direzioni menzionate. Abbiamo collaborazioni con aziende, università e centri di ricerca che ci forniscono spunti tecnologici o sperimentiamo noi soluzioni innovative. Quello che facciamo esclusivamente internamente è l’applicazione sul campo delle tecnologie, raccogliendo dati utili alla loro validazione. Visto i contesti difficili in cui operiamo i dati ottenuti sono praticamente unici e preziosi anche per lo svolgimento di progetti di ricerca. Capita anche di “ospitare”, infatti, laureandi in diverse discipline che ci affiancano in queste sperimentazioni, in situazioni a volte estreme. Quando iniziamo un nuovo progetto, però, prima di tutto cerchiamo di comprendere se il paese in cui ci troviamo sarà in grado di sostenere la tecnologia che pensiamo possa essere utile introdurre, e per far ciò ci connettiamo al sistema sociale, sanitario e di formazione locale. Non possiamo introdurre una tecnologia avanzata nel campo del fotovoltaico in un paese dove non esistono neanche gli elettricisti, ad esempio. Per questo una delle nostra attività principali è proprio la formazione del personale locale.

 

Quali sono alcune delle tecnologie che avete sperimentato sul campo con successo?

Sicuramente qualche anno fa è stato un motivo di grande orgoglio per noi la realizzazione di una centrale di cogenerazione in Panshir, in Afghanistan, a servizio dell’ospedale dove abbiamo realizzato ex novo un reparto di maternità per rispondere alla necessità di oltre 7 mila parti l’anno, stando molto attenti alla parte tecnologica. Un altro caso di applicazione di successo di nuove tecnologie è stato l’impianto di Solar Cooling, realizzato al Centro Salam di cardiochirurgia a Khartoum, in Sudan. Tale tecnologia, non molto conosciuta, sfrutta il calore per generare freddo senza consumare risorse, un aspetto fondamentale per un paese continente come l’Africa. La più recente innovazione che abbiamo portato avanti nei nostri progetti all’estero è il muro in terra cruda che abbiamo utilizzato per costruire l’ospedale pediatrico di Entebbe, in Uganda, collaborando con il Renzo Piano Building Workshop e alcune aziende italiane. Questo muro viene realizzato con la terra di scavo e poche altre materie prime, donando inerzia termica e resistenza strutturale all’edificio, consentendo la costruzione di un secondo piano dell’ospedale e l’installazione di una copertura fotovoltaica. Per questo progetto abbiamo impiegato materiale e personale locale e siamo riusciti ad industrializzare un processo per la costruzione di questi muri, tenendo anche uno sguardo sull’aspetto estetico e sull’impatto ambientale. Qualcosa di davvero unico in Uganda, ma anche a livello mondiale.

 

Parlando di ospedali come avete fronteggiato la pandemia globale recente di SARS-CoV-2 e cosa state facendo adesso a livello nazionale ed internazionale?

Per noi l’epidemia è iniziata all’estero ed è continuata in Italia. Quello che abbiamo fatto è stato mettere a frutto le esperienze che abbiamo maturato con Ebola in Sierra Leone e utilizzarle per questa nuova pandemia. In Italia siamo intervenuti all’ospedale di Bergamo Papa Giovanni XXIII, dove abbiamo contribuito alla gestione della terapia intensiva, ma siamo anche intervenuti sulla gestione degli spazi e la progettazione delle norme sanitarie da applicare all’interno dell’ospedale, nel quale, in caso di epidemia, diventa fondamentale anche il comportamento della singola persona. Ci sono stati, e sono ancora in corso, anche tanti progetti paralleli di supporto alle persone per fornire beni di prima necessità, ad esempio con il progetto “Nessuno escluso”, e stiamo continuando a studiare quali possono essere le innovazioni sia a livello tecnico sia comportamentale per tutte quelle realtà, come le RSA, particolarmente a rischio, in Italia o all’estero.

 

Come EMERGENCY, non soltanto portate innovazione tecnologia e assistenza sanitaria gratuita a paesi che sono in difficoltà, ma state anche attenti alle comunità che si sviluppano intorno alle vostre strutture?

Esatto, e questa attenzione c’è anche da un punto di vista di sicurezza sul lavoro, aspetto per nulla scontato nei paesi dove operiamo. Svolgiamo molta attività di formazione, sia per le competenze specifiche ma anche per la sicurezza: a partire dalle norme igieniche da applicare nelle cucine, fino alle precauzioni per lo svolgimento dei lavori in quota, o semplicemente riguardo alle misure di sicurezza base; in questi posti non è scontato avere le scarpe antinfortunistiche o ricevere una formazione antincendio ed essere preparati a mantenere sempre in sicurezza il lavoro di tutto il personale e l’operatività della struttura ospedaliera 24 ore su 24.

 

Sono molti i punti in comune tra IIT e EMERGENCY riguardo alle tecnologie all’innovazione e la ricerca, speriamo di poter in futuro avviare qualche iniziativa congiunto in collaborazione


 

Condividi