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Essere scienziato ai tempi del Coronavirus

Intervista a Arianna Traviglia, Direttrice del CCHT – Centre for Cultural Heritage Technology, il centro IIT di Venezia

Sono giorni frenetici, ma allo stesso tempo di attesa. Giorni passati a lavorare davanti allo schermo di un pc in completa solitudine o costretti a farlo in un’improbabile convivenza con tutti i membri della famiglia. Dal 12 di marzo le disposizioni ministeriali sono quelle di chiudere tutte le attività lavorative non necessarie o non strettamente connesse con l’emergenza Coronavirus. Ma come si traduce questo per chi fa ricerca? Abbiamo raggiunto la Direttrice del CCHT – Centre for Cultural Heritage Technology, il centro IIT di Venezia, Arianna Traviglia che ci risponde dalla sua abitazione-ufficio, come per molti in questo periodo.

Traviglia, Venezia era una delle città che facevano parte della “zona rossa” ancora prima che venisse estesa a tutta l’Italia. Come ha reagito quando ha appreso per la prima volta quello che stava accadendo? Quali sono stati i provvedimenti presi nell’immediato nei confronti dei ricercatori del centro?

Devo dire che ho condiviso quei giorni di emergenza con Guglielmo Lanzani, Direttore del CNST di Milano, che si trovava nelle mie stesse condizioni e con la Dirigenza IIT. Il CCHT dista qualche decina di chilometri dai comuni limitrofi a Vò Euganeo, piccolo paese ormai noto a tutta Italia, e come coordinatrice del centro di ricerca sentivo di avere delle responsabilità nei confronti dei ricercatori. L’allerta regionale era forte e d’accordo con la sede centrale e nel pieno rispetto delle norme vigenti, ho invitato i ricercatori a portarsi a casa i propri PC e quanto potesse essere utile per lavorare. Abbiamo iniziato l’autoisolamento volontario circa due settimane prima del resto d’Italia. Temevo per la salute dei miei ricercatori perché la maggior parte di loro si reca al lavoro con i mezzi pubblici. Abbiamo poi proceduto a far sanificare la sede.

Voi siete reduci dall’acqua alta del mese di novembre, avevate già sperimentato l’obbligo di non uscire di casa. Crede che siate arrivati più organizzati a questa nuova emergenza o più provati?

Un bel mix di entrambe le sensazioni, chi però ne sta pagando decisamente le conseguenze è la città di Venezia e i suoi abitanti: negozianti, ristoratori, albergatori.

Al CCHT sviluppate tecnologie per i beni culturali. Cosa fanno i ricercatori in questi giorni?

Per la natura delle ricerche che conduciamo al CCHT non abbiamo la necessità di essere in laboratorio in questi giorni per poter portare avanti il nostro lavoro, per esempio non abbiamo a che fare con colture cellulari e per questo possiamo restare tutti a casa. Sto cercando di mantenere anche in queste condizini alcune abitudini che avevamo al centro come la riunione settimanale che ora facciamo su Teams. Penso che sia importante per i ricercatori del CCHT, ma anche per tutti i cittadini in questo momento, sentirsi parte di uno sforzo comune per andare avanti nonostante tutto. Anche perché molti dei ricercatori del CCHT sono fuori sede, Homa Davoudi  viene dall’Iran, Marina Ljubenovic, serba, si era appena trasferita dal Portogallo,  e quindi si trovano ad affrontare questa emergenza lontano dalle famiglie.

Quali sono le maggiori difficoltà che sta incontrando?

Lavorare in remoto e gestire persone che lavorano in remoto, dilata i tempi delle cose più semplici. Tutto quello che si poteva risolvere di persona, entrando nei laboratori, ora diventa un appuntamento su Teams e si finisce per lavorare di più e ad orari diversi, perché al di là dei meeting programmati, in quarantena la gestione personale del tempo di tutti noi è differente.

In questo periodo si sta cercando di analizzare quali saranno le conseguenze dell’emergenza Covid19 nei diversi ambiti di lavoro. Secondo lei il settore della ricerca ne risentirà?

Qui mi sento di dover fare un distinguo. Ci sono ambiti della ricerca come il mio,  o quello dei computazionali per esempio, che non necessitano strettamente della presenza fisica in laboratorio. Noi per la parte di machine learning possiamo lanciare gli esperimenti dal pc di casa al computer del centro. Ci sono settori della ricerca che non vedono risultati se non rientrano in laboratorio. Per quanto riguarda l’ambito dei beni culturali prevedo da questo momento in poi dei cambiamenti nell’organizzazione e gestione delle conferenze. Dopo l’ultima che ho fatto a Lione, le conferenze a cui dovevo partecipare sono state tutte spostate online e probabilmente rimarrà così perché portano ad un netto risparmio. Ma io non ne sono contenta.

Come sta reagendo la comunità scientifica internazionale? Per esempio, in caso di sottomissioni di paper in questo periodo, i reviewer di altri Paesi stanno considerando la situazione difficoltosa dell’Italia e dell’Europa?

Per quanto ci riguarda non c’è stato nessun tipo di cambiamento nelle fasi di sottomissione dei paper, tanto più che ora l’emergenza riguarda tutto il Mondo. Nelle fasi iniziali dell’allarme abbiamo sottomesso due progetti Horizon facendo tutto su Skype.

Cos’è cambiato maggiormente?

Sento la mancanza dei rapporti umani, le idee migliori nascevano nelle pause caffè. È vero per scrivere è un tocca sana questa situazione, ma così manca la scintilla.

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