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Finanziare e comunicare la ricerca di base per il futuro dell’Europa

Intervista alla Professoressa Maria Leptin, Presidente dell’European Research Council

Siamo una cinquantina di professionisti arrivati a Bruxelles da diversi paesi dell’Unione Europea; tra gli italiani, oltre a me, ci sono i colleghi dell’Università di Venezia e dell’Università Bocconi, e una collega del Politecnico di Torino, tutti istituti che ospitano ricercatori finanziati dall’European Research Council (ERC). La sede dell’ente europeo si trova in piazza Charles Rogier, poco distante dalla stazione nord di Bruxelles. Il motivo del nostro incontro è un workshop per discutere le sfide della comunicazione della scienza, delle difficoltà riscontrate nel nostro lavoro e di come si possano unire le forze per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza degli investimenti nella ricerca scientifica. Trascorreremo l’intero pomeriggio del 26 aprile al 25-esimo piano di Covent Garden, l’edificio in vetro e acciaio che guarda sui tetti della città, a discuterne.

Verso l’ora di pranzo, accompagnata dalla sua press advisor, raggiungo nel suo ufficio, ad un piano più sotto, la Professoressa Maria Leptin, Presidente dell’ERC da novembre 2021. L’ufficio ha un’ampia vetrata e una scrivania ricoperta di documenti. Leptin mi accoglie con un sorriso sincero, e gli occhi di chi ha lavorato intensamente fino a qualche minuto prima. Nei suoi movimenti si percepisce l’energia di una persona pratica, abituata a giostrarsi tra le interruzioni. Più tardi si unirà al workshop e al brindisi di chiusura, con simpatia e calore, senza mai rifiutare una richiesta di selfie.

Professoressa, durante un recente evento in Italia di cui è stata ospite, il Wired Health a Milano, ha esemplificato l’importanza della ricerca di base citando i vaccini contro la COVID19. Secondo lei, quali sono gli ingredienti affinché una ricerca di base possa portare a un’innovazione?

Prima di tutto credo che sia importante chiarire che la ricerca di base non è lì per portare innovazione, la ricerca di base è lì perché le persone che la fanno sono curiose, vogliono scoprire qualcosa. Questo è il motivo per cui molte persone si dedicano alla ricerca di base. Alcune altre la conducono perché vogliono comprendere determinati fatti utili all’innovazione. In generale non si sa dove la ricerca di base potrebbe portare – è un andare verso l’inatteso. Per rispondere alla domanda, credo che gli elementi necessari per fare una buona ricerca di base li possiamo trovare nelle risposte che hanno dato i migliori venti giovani ricercatori selezionati quest’anno nel mio campo di ricerca, le scienze della vita, i quali hanno partecipato a un mio sondaggio in merito. Le risposte sono state: finanziamenti, indipendenza – completamente indipendenti su cosa fare, quando e come; e un buon ambiente intellettuale intorno a loro.

Potrebbe spiegarmi meglio?

Quello che i giovani ricercatori hanno sottolineato è che i finanziamenti dovrebbero essere a lungo termine e non a breve, così da non dovere dedicare il proprio tempo a formulare proposte, rivederle e scrivere report, anziché fare ricerca. Un finanziamento di almeno cinque anni, al contrario, risponde in modo più adeguato agli sforzi intellettuali di uno scienziato – che può scriverlo e vincerlo per via competitiva – utilizzando il finanziamento in modo autonomo. Ed è proprio quello che l’ERC garantisce. Per quanto riguarda l’ambiente di ricerca, quello che è stato evidenziato è l’importanza di un ambiente critico, dove i colleghi commentano il lavoro tra loro, danno suggerimenti su cosa sia giusto o sbagliato o più interessante da seguire. Desiderano un ambiente in cui si possa discutere delle proprie ricerche. Inoltre, è importante il supporto da parte dell’infrastruttura; ovvero, che siano appoggiati dall’istituto, che la strumentazione di laboratorio sia presente – e nel campo delle scienze della vita è ovviamente molto importante – e che anche lo staff di supporto, quali i tecnici e l’amministrazione, li aiutino.

Come lei ha detto l’ERC già permette l’accesso a questo tipo di finanziamenti a lungo termine e per i più giovani è previsto lo schema degli Starting grants. Però sono fondi altamente competitivi e non tutti ne possono avere accesso. Secondo lei l’Europa come potrebbe supportare la loro carriera?

Ogni paese dell’Unione può fare la propria piccola parte. Ci sono nazioni che finanziano la ricerca sempre meglio e danno ai loro ricercatori le stesse condizioni previste dall’ERC. L’ERC non è l’unico a prevedere questo tipo di finanziamenti. Ma è anche vero che se il singolo paese supporta bene la ricerca, è molto più probabile che i loro ricercatori conquistino anche un finanziamento ERC. È un circolo virtuoso. Questo è un messaggio che darei alle università, ai centri di ricerca e ai politici in Europa: maggiore è l’investimento a livello nazionale, maggiore è la probabilità di ricevere grant dall’ERC. Però, bisogna considerare anche un altro fattore rilevante, ovvero una buona strutturazione delle carriere per i giovani ricercatori e ricercatrici. Contratti ripetuti di tre anni alla volta, dove si deve dipendere da qualcun altro e il grande Professore è il “capo” non è una condizione che permette ai giovani di crescere. Questo è un altro punto che le università e gli istituti di ricerca dovrebbero risolvere.

Lei pensa che l’Europa potrebbe fare qualcosa per spingere tale istituzioni in questa direzione?

Credo che si tratti di qualcosa di molto locale. Le carriere universitarie sono definite da ciascun paese a livello nazionale. Gli istituti indipendenti possono fare qualcosa di diverso. Ma credo che l’Europa possa incoraggiare un cambiamento. Per esempio, la Commissione Europea ha richiesto che gli istituti che ricevono fondi europei abbiano un piano di uguaglianza di genere. Ma non sono molto sicura di quanto possa essere fatto anche in merito alle carriere.

A proposito di uguaglianza di genere, le vorrei chiedere, visto il suo ruolo di donna in posizione di leadership, se ha dei suggerimenti per le donne scienziato che stanno avendo difficoltà o per le nuove generazioni?

Io non ho suggerimenti, posso solo dire di fare quello che vi piace e di farlo bene. È vero che ci sono ancora, nel 2023, donne che non ci riescono, ma siamo anche di fronte a tanti esempi di role model. Di recente ho incontrato due donne in posizioni apicali, in Italia il Ministro della Ricerca, e anche in Francia il Ministro della ricerca; il più grande laboratorio internazionale di ricerca, il CERN, è guidato da una donna; l’ente di finanziamento per la ricerca anglosassone è gestito da una donna. La nostra Commissaria è una donna. Tutte queste donne che ho menzionato hanno figli. Non è semplice, ma è possibile. Penso che ormai sia chiaro che non ci siano più grandi barriere per le donne. Tutti possono trovarsi in difficoltà, anche i giovani uomini. Conosco molti di loro che trovano difficile fare tutto quello che è loro richiesto. Forse quindi dovremmo chiederci se non sia più difficile fare carriera scientifica in generale, quando sono aumentate le richieste da parte di tutti, dai politici per esempio, ed è aumentata anche la burocrazia. Le carriere scientifiche sono diventate meno attrattive di qualche anno fa.

La comunicazione della scienza sta diventando sempre più importante per l’ERC, testimoniata dalle iniziative “Public Engagement with research award”, e l’ultimo “ERC science Journalism Initiative”. Perché questa attenzione particolare?

Innanzitutto, non direi che una buona comunicazione della scienza sia rilevante per l’ERC, una buona comunicazione della ricerca scientifica è importante per tutti, per i cittadini, per l’intera comunità scientifica, per i politici. Le due iniziative dell’ERC che ha menzionato sono piccole ma importanti. La prima è molto bella perché è di ispirazione per gli scienziati che vogliono coinvolgere il pubblico nelle loro ricerche; sono molti i ricercatori che lo fanno in modo volontario e credo che sia una buona cosa supportarli, noi lo facciamo con questo piccolo premio. Noi tutti ci affidiamo alla comprensione della scienza da parte del pubblico, quindi dovremmo continuare a promuovere questo tipo di attività. Ma gli scienziati non possono raggiungere tutte le comunità e quindi, con la seconda iniziativa, ci rivolgiamo ai giornalisti, i quali hanno gli strumenti per arrivare a un numero maggiore di persone. Il nostro programma è un modo per supportare i giornalisti a comprendere come funziona il nostro mondo.

Quali saranno le prossime novità per l’European Research Council?

Abbiamo già annunciato che l’ERC sta modificando il modo con cui valuterà i ricercatori, e ciò si collega al supporto che vogliamo dare al mondo della ricerca. Abbiamo ascoltato le richieste dei ricercatori. Spero che le persone più giovani possano vedere come una cosa positiva che i criteri, molto specifici e ristretti che fino ad ora si sono usati per valutarli, non ci saranno più. Cambieremo le informazioni che verranno richieste per sottoporre un progetto da finanziare. E questo aiuterà i ricercatori più giovani – che di fatto sono la prossima generazione di scienziati – ma anche quelli più senior. È importante che il supporto alla ricerca avvenga durante tutta la carriera. Infine, quello che su cui dovremo lavorare è il prossimo programma quadro dell’Unione Europea per la Ricerca e l’Innovazione. Credo che l’Europa dovrà riconoscere che sarà necessario spendere maggiori soldi nella ricerca – raddoppiando il budget complessivo – per potere essere competitiva a livello internazionale.

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