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Fishskin, pelle di pesce sostenibile contro gli sprechi

Intervista alla designer e ricercatrice Elisa Palomino-Perez che traduce le antiche tradizioni per l’industria della moda

Nel mondo ogni anno lo scarto dell’industria della pesca supera le 20 milioni di tonnellate che corrispondono a circa il 25% del pescato totale. Si stima che oltre il 50% del pesce lavorato a scopo alimentare diventi scarto (FAO, 2018). Queste risorse sprecate hanno bisogno di una appropriata filiera produttiva in un’ottica di economia circolare che ne consenta il riutilizzo e la rivalorizzazione anche perché al momento i residui di lavorazione del pesce – che sono composti principalmente da teste, code, interiora e pelle – provenienti dall’industria alimentare, in molti casi, vengono smaltiti direttamente in mare causando gravi scompensi all’ambiente marino.

In questo contesto si inserisce il lavoro di Elisa Palomino-Perez che abbiamo intervistato in occasione della nona Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare e che ci ha raccontato una delle possibili soluzioni al problema.

Elisa Palomino-Perez è una designer, ricercatrice ed educatrice che ha lavorato per oltre 25 anni con i grandi brand dell’alta moda come John Galliano, Christian Dior, Diana Von Frustenberg, Roberto Cavalli e Moschino per citarne alcuni, ma per provare a risolvere questo grave problema ambientale, è uscita dalla sua confort zone e si è confrontata con centri di ricerca scientifica e istituzioni internazionali tra i quali compaiono anche i ricercatori del team Smart Materials dell’Istituto Italiano di Tecnologia. Proprio da un’idea della designer e ricercatrice, infatti, è nato il progetto europeo Fishskin che si propone di implementare le tecniche tradizionali sostenibili per la produzione di prodotti in pelle di derivazione ittica in una filiera produttiva che parte dall’acquacoltura e arriva fino al prodotto finito cercando di minimizzare gli scarti della produzione alimentare trasformandoli in materia prima seconda ad alto valore commerciale.

La storia raccontata da Palomino-Perez inizia con lo studio delle tradizioni delle popolazioni artiche, oggetto del suo dottorato di ricerca, dove la pelle proveniente dall’attività di pesca rappresentava una risorsa preziosa e arriva fino ai grandi brand della moda e al tentativo di far diventare un prodotto di nicchia come la pelle di derivazione ittica in una risorsa in grado di mitigare l’impatto ambientale dell’industria alimentare e i suoi sprechi.

Tradizionalmente nelle popolazioni artiche – racconta Palomino-Perez – la pelle scartata dopo il consumo del pesce veniva avviata alla lavorazione e alla tintura con sostanze di origine vegetale e, trasformata in materia prima. Questa pelle veniva usata per realizzare indumenti, contenitori e accessori per la vita di tutti i giorni e specifici per l’attività di pesca anche grazie alle sue proprietà, come la traspirabilità, la resistenza al vento e il potere isolante, che la rendevano adatta alle temperature rigide e al lavoro intensivo”.

Quello che Palomino-Perez sta cercando di fare grazie alle sue competenze e al consorzio multidisciplinare del progetto è da un lato conservare la tradizione insegnandola alle nuove generazioni in modo tale che non si perda un tale patrimonio culturale di inestimabile valore e dall’altro sensibilizzare i grandi brand della moda all’utilizzo di questo prodotto che potrebbe sostituire, ad esempio, la pelle di serpente, un prodotto non sostenibile e non derivante da scarti come nel caso della pelle ittica.

Per arrivare ad un mercato più ampio è necessario ottimizzare i processi di produzione e renderli il più eco-compatibili possibile e per raggiungere questo obiettivo, come consorzio, stiamo collaborando con il principale produttore di questo tipo di pelle sul mercato. Dal punto di vista del design invece sto lavorando molto sulle tecniche sostenibili di tintura e l’utilizzo della pelle di origine ittica in processi di stampa digitale o nella creazione di indumenti diversi come calzature, borse o pantaloni” racconta la designer e ricercatrice.

Questo tipo di pelle ottenuta principalmente da merluzzi, salmoni o pesci lupo è ancora un prodotto estremamente di nicchia ma in una società che fortunatamente è sempre più attenta alla sostenibilità potrebbe rappresentare una occasione per trasformare gli scarti del pesce che molti di noi mangiano ogni settimana in una borsa, un paio di scarpe o addirittura in paio di pantaloni.


Per approfondimenti:

https://www.fishskinhorizon.org/

http://www.fishskinlab.com/

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