Il 23 gennaio 2023, sull’emittente televisiva statunitense HBO, debuttava il primo episodio dell’acclamata serie TV “The Last of Us”
Ambientato in un mondo post-apocalittico devastato da una pandemia fungina, lo show ha catturato l’attenzione del pubblico non solo grazie alla sua trama avvincente, ma anche per le sue realistiche implicazioni scientifiche. A distanza di quattro anni dallo scoppio della pandemia da COVID-19, infatti, la dettagliata narrazione di questa minaccia ha sollevato molte preoccupazioni sulla plausibilità di un evento analogo nella nostra epoca, spingendo i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) americani a prendere una posizione sul vero rischio di una simile catastrofe. Pur elogiando la premessa scientifica della serie, secondo la quale il riscaldamento globale potrebbe spingere alcune specie di funghi ad adattarsi a temperature più elevate e cercare negli umani nuovi ospiti da infettare, l’organismo di controllo della sanità degli Stati Uniti ha dimostrato come un evento del genere richiederebbe decine di migliaia di anni per verificarsi, ponendo fine all’approssimativo dibattito.
Da ormai due secoli, sin da quando Mary Shelley esplorò in “Frankenstein” il tema della responsabilità umana nel manipolare la natura, molti scrittori e creativi hanno arricchito le proprie storie prendendo spunto dalle discipline scientifiche: tra queste, la genomica in particolare ha spesso rappresentato una fonte di ispirazione. A partire dagli anni ’90, con l’avvento dei pionieri della ricerca impegnati nel sequenziamento del genoma umano, termini come “gene”, “DNA” ed “editing” sono diventati sempre più presenti nel linguaggio comune, fenomeno che non è stato solamente alimentato dalle scoperte scientifiche e dall’informazione dei media tradizionali ma anche dalla narrazione offerta da opere divenute pietre miliari della pop culture, come “Jurassic Park” e “GATTACA”. Grazie a questo tipo di narrativa, la cultura popolare è diventata un mezzo di divulgazione scientifica: fumetti, film, videogiochi e serie TV rappresentano contesti in cui le scienze si mescolano al fantasy, alla fantascienza e alla realtà quotidiana, ambienti che favoriscono la crescita dei personaggi delle storie e trasmettono al pubblico nozioni scientifiche. Per questo la narrativa di massa svolge oggi un ruolo di tramite tra le persone e la scienza: appassiona le giovani generazioni, educa gli adulti, stimola la partecipazione al dibattito pubblico e consente riflessioni di carattere bioetico, anche anticipando questioni emergenti.
Spesso, i personaggi e gli eventi all’interno della narrativa di consumo riescono ad avvicinare i più giovani al mondo delle scienze, affascinando e allo stesso tempo veicolando concetti essenziali: il dottor Hammond, padrino dei dinosauri nel classico di Steven Spielberg “Jurassic Park”, insegna cos’è il DNA e qual è il suo ruolo nella vita degli organismi; il professor Xavier, leader degli X-Men, guida alla comprensione dei geni e della genetica, così come il ragno radioattivo che morde Peter Parker trasformandolo in Spiderman permette di capire cos’è un agente mutageno. Anche i videogiochi hanno il merito di accendere la curiosità nelle nuove generazioni, fornendo un primo approccio a nozioni che vengono approfondite durante il percorso di studio. Nell’acclamato franchise “BioShock” sviluppato dall’azienda “Irrational Games”, ad esempio, il giocatore può far compiere al protagonista azioni sovrumane, come scagliare saette e spostare oggetti senza toccarli, mediante degli strani elisir colorati chiamati “plasmidi”. È a scuola e in università che si impara che i plasmidi sono sequenze di materiale genetico circolari separate dal resto del genoma di un organismo, fondamentali nell’ingegneria genetica per la creazione di modelli animali transgenici e la produzione di farmaci e proteine ricombinanti.
La cultura popolare non solo rende la scienza accessibile, ma rappresenta anche una risorsa per contestualizzare le scoperte e per veicolare nozioni spesso complesse. Nel 1978, Gregory Peck e Laurence Olivier catalizzarono il pubblico in sala con “I ragazzi venuti dal Brasile”, thriller basato sul principio di clonazione uscito ben 18 anni prima dalla nascita della pecora Dolly. Sebbene all’epoca la clonazione umana fosse solo un’ipotesi, la manipolazione genetica era già realtà: risale al 1973 la messa a punto della tecnologia del DNA ricombinante, che grazie all’ausilio dei plasmidi permetteva di trasferire ai batteri geni di organismi differenti. Catturando lo spettatore, il lungometraggio riuscì a spiegare in maniera magistrale, seppur con alcune forzature, un concetto fondamentale della genetica: l’essere umano non è solamente il prodotto esatto di una lunga sequenza di nucleotidi, ma è anche il frutto delle esperienze di vita e dell’ambiente che lo circonda.
Nonostante una rappresentazione spesso semplificata delle informazioni scientifiche, le storie che ci circondano possono offrire spunti di riflessione su argomenti di grande attualità talvolta lontani dalla vita di tutti i giorni. Nel 1997 esordiva nelle sale dei cinema “GATTACA”, con il suo slogan “non esiste un gene per lo spirito umano”: ambientato in un futuro in cui il DNA influenza il destino di ogni individuo, il film affrontava le implicazioni sociali, etiche ed esistenziali dell’eugenetica. A 27 anni dalla sua uscita, la pellicola simboleggia oggi una pietra miliare del suo genere per la capacità di anticipare le preoccupazioni contemporanee sulla tutela del dato genomico, come evidenziato anche da esperti internazionali nei settori della biologia computazionale e della bioetica. Un’analisi pubblicata sulla rivista Nature Genetics dal titolo “GATTACA is still pertinent 25 years later” evidenzia come il film permetta allo spettatore di ragionare sui rischi di un utilizzo improprio del dato di sequenziamento, potenzialmente responsabile di discriminazioni sul posto di lavoro o dell’aumento dei costi delle assicurazioni sanitarie, riflettendo una paura espressa anche dai leader mondiali odierni quando rifiutano di essere testati per il COVID-19 in paesi stranieri giudicati poco affidabili. In questo caso, la narrazione cinematografica riesce a evidenziare la necessità di riflettere attentamente sulle conseguenze dell’avanzamento scientifico e tecnologico nella società contemporanea, spingendo a prendere parte al confronto pubblico.
Sebbene la rappresentazione della scienza nella cultura pop non segua sempre la realtà, “The Last of Us” è solo l’ultimo tassello di un puzzle che dimostra come la narrativa popolare riduca la distanza che esiste tra la gente e la comunità scientifica. Il suo ruolo informativo ed educativo è evidenziato proprio dalla capacità di creare un terreno comune sul quale società e scienza si incontrano, tenendo un dialogo costruttivo e stimolante. In un epoca in cui il genoma diventa trama delle nostre vite, film come GATTACA ci ricordano che la narrativa popolare non è solo uno strumento di intrattenimento ma può rappresentare, volontariamente o involontariamente, una chiamata a valutare le implicazioni etiche e sociali della genomica, perché ci dirigiamo verso un futuro in cui la linea tra realtà e finzione diventa sottile come un filamento di DNA.