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IIT nello Spazio

In occasione delle celebrazioni per la terza Giornata Nazionale dello Spazio

Sul finire degli anni ’50 del 1900 la fisica italiana ed europea iniziava a interessarsi e a strutturarsi intorno alla fisica dello spazio, istituendo organizzazioni come l’European Space Research Organisation (ESRO) in Europa e la Commissione per le ricerche spaziali (CRS) in Italia, che avrebbero dato vita negli anni successiva all’European Space Agency (ESA) e all’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). L’interesse sorgeva anche grazie all’esperienza maturata dai fisici particellari che, con i voli in alta quota, avevano fino ad allora rilevato e studiato i raggi cosmici. Il 15 dicembre del 1964 veniva spedito da una base in Virginia, in USA, in orbita il primo satellite S. Marco 1 totalmente realizzato in Italia. L’evento storico è stato scelto come emblematico della storia spaziale italiana dal Consiglio dei Ministri nel 2021, istituendo per il 15 dicembre la Giornata Nazionale dello Spazio.

La ricorrenza permette al nostro giornale di riassumere le ricerche che si stanno svolgendo all’Istituto Italiano di Tecnologia in ambito spaziale, mostrando come ormai gli ambiti di studio siano molto ampi rispetto ad un solo “andare in orbita”: robot per la manutenzione, robot per l’esplorazione di pianeti, ricerche sugli effetti ionizzanti dell’ambiente spaziale sul corpo umano, sviluppo di materiali antibatterici per le stazioni spaziali,  creazione di metamateriali ottici da montare sui landers come occhi più potenti, e infine l’osservazione della Terra dall’alto per scoprire nuovi siti archeologici tramite l’intelligenza artificiale.

L’esplorazione di altri pianeti, come per esempio Marte, da parte di robot con quattro o sei gambe è stato il focus del progetto ANT (“Autonomous Non-Wheeled All-Terrain Rover”), condotto dal Dynamic Legged Systems Lab coordinato da Claudio Semini, in collaborazione con un gruppo di ricerca tedesco al DFKI Robotics Innovation Center e finanziato da ESA. Il progetto ha avuto come obiettivo quello di sviluppare un nuovo sistema di navigazione che possa consentire ai robot con più gambe di camminare e operare su terreni difficili come crateri o grotte, nonché su pendii o scogliere, così da sostituire o affiancare in futuro i rover, le cui ruote limitano le loro capacità di esplorazione.

Non di gambe, ma di occhi più potenti per i rover e i lander, se ne sta occupando Antonio Ambrosio, responsabile del Vectorial Nano-imaging lab all’IIT a Milano. Ambrosio sta studiando come combinare le proprietà di manipolazione della luce delle metasuperfici con i microscopi, al fine di ottenere una sonda ottica in grado di analizzare in modo robusto ed alta risoluzione la composizione dei suoli dei pianeti non terresti, per identificare i minerali presenti e ricercare acqua e materiali organici. Il progetto è supportato da ESA.

La manutenzione delle stazioni spaziali è invece lo scopo del robot MARM, munito di tre arti che possono essere usati per camminare, muoversi, afferrare e trasportare moduli pesanti all’interno di infrastrutture spaziali in situazioni di microgravità. Il robot è stato realizzato con l’intento di assistere gli astronauti nell’assemblaggio e manutenzione delle infrastrutture spaziali, mentre sono in orbita o, nel futuro, anche su altri pianeti. Il prototipo sarà testato in scenari di simulazione, così da prepararlo ad una versione adeguata ad un’applicazione reale. MARM è stato costruito dallo Human and Humanoid Centered Mechatronics Lab dell’IIT a Genova, coordinato da Nikolaos Tsagarakis, in collaborazione con Leonardo S.p.A e GMV, nell’ambito del progetto MIRROR (Multi-arm Installation Robot for Readying ORUs and Reflectors), finanziato dall’ESA.

La pulizia degli ambienti interni della Stazione Spaziale Internazionale è il punto di attenzione delle ricerche congiunte tra IIT, in particolare Mirko Prato a Genova e Fabio Di Fonzo a Milano, e la Sezione di Fisica e Chimica dei Materiali dell’ESA. Un’indagine microbica sulle superfici all’interno dell’avamposto orbitale ha, infatti, rilevato dozzine di diverse specie di batteri e funghi, inclusi agenti patogeni dannosi come lo Staphylococcus aureus, noto per causare infezioni della pelle e delle vie respiratorie, nonché intossicazioni alimentari. Inoltre, queste popolazioni microbiche producono sostanze che a loro volta possono ossidare e corrodere metallo e vetro, nonché plastica e gomma della navicella. Il gruppo di ricerca sta studiando materiali antimicrobici a base di ossido di titanio che potrebbero essere aggiunti alle superfici interne della cabina.

La vita degli astronauti in orbita è complicata ulteriormente dalla presenza della microgravità e dalle radiazioni ionizzanti, che causano invecchiamento precoce e suscettibilità a diverse patologie. I ricercatori di IIT sono impegnati in due progetti distinti sul tema. Il primo è “AstRNAuts”, un progetto di ricerca di biomedicina spaziale congiunto tra ASI-IIT, che sarà svolto in collaborazione con Aeronautica Militare Italiana e Ospedale Bambino Gesù di Roma, nell’ambito della missione commerciale Ax-3 della società americana Axiom Space, il cui volo è previsto a inizio 2024. Ricercatore principale del progetto è Davide De Pietri Tonelli, a capo della linea di Ricerca di Neurobiology of miRNA dell’IIT a Genova. Piccole molecole di RNA, infatti, saranno studiate per capire se la loro presenza nei fluidi corporei degli astronauti possa essere spia di specifiche alterazioni fisiologiche. L’obiettivo, infatti, è quello di definire, attraverso strumenti di intelligenza artificiale, un modello di diagnosi predittiva della salute degli astronauti durante le lunghe missioni di esplorazione spaziale. Il secondo progetto è PROMETEO, coordinato dal ricercatore Gianni Ciofani a capo del laboratorio di Smart Bio-Interfaces di IIT a Pontedera. Focus del progetto è lo stress ossidativo causato dall’esposizione del corpo umano alla microgravità ed alle radiazioni cosmiche, e che sulla Terra è associato a condizioni patologiche quali il morbo di Parkinson ed altre patologie neurodegenerative. Il progetto PROMETEO propone l’uso di nanoparticelle basate su polidopamina (PDA) per fornire protezione antiossidante e prevenire, di conseguenza, il danneggiamento dei neuroni esposti a gravità alterata e radiazioni cosmiche. Tali nanoparticelle potrebbero rappresentare parte della dieta alimentare degli astronauti del futuro che dovranno rimanere a lungo nello Spazio.

Quello che dallo Spazio si può osservare della Terra grazie ai satelliti artificiali è oggetto di studio al Center forCultural Heritage Technology dell’IIT a Venezia, coordinato da Arianna Traviglia. I ricercatori del Centro hanno unito le tecnologie dello spazio con quelle dell’archeologia, della conservazione dei beni culturali e dell’intelligenza artificiale. Con ALCEO (Automatic Looting Classification from Earth Observation Activity), un progetto in collaborazione e co-finanziato da ESA, il gruppo di ricerca intende individuare, monitorare e contrastare le attività di saccheggio del patrimonio storico sfruttando i dati provenienti dall’osservazione satellitare della Terra. Ogni attività di saccheggio lascia infatti sul terreno segni ben riconoscibili, individuabili attraverso le immagini provenienti dai dati satellitari. ALCEO utilizza sistemi di intelligenza artificiale per l’analisi di tali dati, per individuare tempestivamente – anche in aree critiche, come zone di conflitto, confini nazionali, aree desertiche e regioni remote – i siti archeologici saccheggiati. Siti archeologici del tutto nuovi ma ancora nascosti, saranno svelati nell’ambito del progetto “Cultural Landscapes Scanner” (CLS), sempre con ESA. Le tecniche di analisi delle immagini tramite AI saranno applicate per aiutare gli archeologi a identificare particolari alterazioni del tessuto della superficie terrestre e rintracciare, così, strutture antiche che ancora giacciono sottoterra.

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