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Il movimento è il direttore d’orchestra dei nostri sensi?

Intervista a Alice Tomassini, Post Doc del Centro di Neurofisiologia traslazionale del Linguaggio e della Comunicazione di IIT a Ferrara

Il Centro di Neurofisiologia traslazionale del Linguaggio e della Comunicazione, sede di Ferrara dell’Istituto Italiano di Tecnologia (CTNSC-IIT), ha principalmente due obiettivi: comprendere come il cervello costruisce rappresentazioni utili alla comunicazione verbale e non verbale e mettere a punto nuovi sistemi di interfaccia che sappiano leggere e decodificare tali rappresentazioni a partire dai segnali nervosi.

In questo contesto multiculturale e multidisciplinare nel quale ricercatori provenienti da tutto il mondo si incontrano e cercano di comprendere il funzionamento del cervello, si snoda il lavoro di ricerca di Alice Tomassini. Laureata in psicologia e neuroscienze cognitive, con un dottorato in Robotica, Cognizione e Tecnologie per l’Interazione conseguito nel 2013, Alice studia come il nostro sistema motorio coordina e integra le informazioni provenienti dai nostri sensi per poter un giorno utilizzare queste conoscenze per intervenire su malattie, legate al nostro sistema nervoso, ad oggi ancora senza una cura.

Alice qual è stato il percorso che ti ha portato fino ai laboratori del centro IIT di Ferrara?

Ho fatto il dottorato di ricerca all’IIT di Genova, sotto la supervisione di Maria Concetta Morrone, Giulio Sandini e Monica Gori. Credo siano state proprio la peculiarità di questo ambiente di ricerca e la stretta vicinanza con i “robotici”, a far crescere il mio interesse per lo studio della percezione, intesa non come un processo passivo – di registrazione delle informazioni provenienti dai nostri sensi – ma come un processo attivo in cui il movimento e l’azione hanno un ruolo fondamentale. Dopo il dottorato, ho avuto l’occasione di fare un post-doc di due anni al Donders Institute for Brain Cognition and Behavior (Nijmegen, Olanda) nel gruppo di Eric Maris, uno dei più importanti per lo sviluppo di metodi analitici e statistici per dati neurofisiologici.  Qui ho acquisito competenze di analisi dei segnali, in particolare di elettroencefalografia (EEG) e portato avanti lo studio dell’interazione tra azione e percezione. Il Centro di Neurofisiologia traslazionale IIT di Ferrara in cui lavoro ora mi sta dando la possibilità di sviluppare ulteriormente questa linea di ricerca con una prospettiva neurofisiologica studiando i meccanismi neurali alla base dell’integrazione sensorimotoria, da sempre uno dei temi centrali del centro.

Com’è composto il vostro team di ricerca?

Questa attività di ricerca viene portata avanti da me insieme ad un dottorando e si avvale anche della supervisione del prof. Alessandro D’Ausilio, dell’esperienza del prof. Luciano Fadiga, e della collaborazione con il prof. Eric Maris del Donders Institute di Nijmegen in Olanda. Queste attività si iscrivono poi in un contesto più ampio che, all’interno del CTNSC, coinvolge circa quindici persone, tra cui ricercatori, post-doc e dottorandi. Questo gruppo di ricerca possiede molte competenze diverse e complementari; io sono psicologa sperimentale di formazione e insieme ad altri psicologi, medici e ingegneri lavoriamo allo studio dell’interfaccia tra azione e percezione impiegando varie metodiche di neurofisiologia.

Quale è stato il momento più difficile della tua carriera da ricercatrice?

Finora non ci sono stati molti ostacoli sul mio percorso, mi ritengo fortunata. È sicuramente difficile il lavoro del ricercatore in generale, ci vuole molta pazienza e una certa attitudine a sopportare la frustrazione e la dilazione della gratificazione, ma in parte questo si allena con il tempo. C’è poi un ulteriore elemento di difficoltà che riguarda chi svolge principalmente ricerca di base come me. L’iper-specializzazione cui si è andati incontro ha prodotto infatti un allontanamento sempre maggiore dal lessico e dalla grammatica comunicativa dei non addetti ai lavori. Di fatto, è spesso difficile per noi trovare le parole giuste per descrivere quanto la ricerca di base sia indispensabile a far muovere il motore dell’innovazione, a volte in direzioni che non possono essere previste fin dall’inizio e che richiedono un orizzonte a lungo termine per concretizzarsi in vantaggi tangibili per la società. È fondamentale quindi, e non sempre facile, imparare a trovare il giusto equilibrio tra due esigenze in parte in contrasto tra loro, ovvero quella di non “snaturare” gli scopi dell’attività di ricerca di base e al tempo stesso non ignorare le legittime aspettative della società.

Recentemente hai pubblicato sulla rivista PLoS Biology un lavoro che ci spiega se e come il movimento può influenzare la nostra percezione, in particolare la vista. Di cosa si tratta?

Lo studio appena pubblicato esplora la natura ed i meccanismi di comunicazione tra sistema motorio e visivo. Sebbene sia evidente la necessità di una loro coordinazione per lo svolgimento delle nostre attività quotidiane, ciò che manca è una descrizione del “come” ciò avvenga. Qui abbiamo chiesto a partecipanti sani di impugnare una sorta di joystick e applicare una forza costante, mentre su uno schermo davanti a loro veniva presentato in un momento imprevedibile e per un tempo brevissimo un piccolo flash luminoso di intensità tenue, appena percepibile. Tutti questi accorgimenti erano ovviamente volti a rendere il compito particolarmente difficile, tanto che i partecipanti riportavano di aver visto lo stimolo solo nel 50% dei casi. Durante l’esperimento registravamo la forza e l’attività muscolare così come l’attività elettroencefalografica per stimare la comunicazione continua che vi è tra cervello e muscoli. I risultati ci dicono che questi segnali neurali non sono solo funzionali all’esecuzione del compito motorio. Le fluttuazioni spontanee nell’efficienza della comunicazione tra aree cerebrali motorie e muscoli consentono infatti di prevedere la capacità dei partecipanti di percepire o meno gli stimoli presentati sullo schermo. In sintesi, questo è il primo studio che dimostra come i meccanismi intrinseci di produzione e controllo del movimento modifichino il modo in cui i sensi estraggono informazione dall’ambiente.

Oltre a rappresentare un avanzamento importante per la ricerca di base, questo lavoro ha un’ulteriore implicazione tecnologica. Infatti, i nostri risultati confermano come, diversamente dai sensori artificiali, i nostri sensi lavorano per così dire in modo intermittente alternando periodi di maggior sensibilità a periodi di minor efficienza. Queste fluttuazioni non sono solo condizionate ad esempio al nostro stato di vigilanza o di attenzione; qui dimostriamo che il sistema motorio, un po’ come un direttore d’orchestra, detta il ritmo con il quale leggiamo ed elaboriamo le informazioni visive.

Chi potrà beneficiare delle scoperte derivate dal tuo ultimo lavoro?

Il fatto che la percezione sia al servizio ed allo stesso tempo sia alterata dalle attività motorie concorrenti è da sempre un aspetto centrale per la robotica cognitiva. Ogni oggetto costruito dall’uomo che si comporti in modo efficace e flessibile deve infatti essere progettato in modo che la funzione motoria e quella percettiva siano coordinate tra loro. Comprendere “come” il nostro cervello risolve il medesimo problema potrebbe fornire una chiave per produrre implementazioni artificiali più efficienti. Molti studi recenti hanno già evidenziato la natura discontinua e ritmica della percezione. Aspetto di novità introdotto dal nostro lavoro è che tale ritmicità sia direttamente informata dai processi di controllo del movimento. Questo, se da un lato potrebbe suggerire strategie nuove e bio-ispirate per l’integrazione temporale di azione e percezione nella robotica cognitiva, dall’altro può rivelarsi utile anche per applicazioni tecnologiche rivolte direttamente all’uomo. Pensiamo infatti a tutte quelle situazioni che comportano l’utilizzo di strumenti ad alta precisione e che richiedono fini azioni di controllo da parte di operatori umani in risposta ad informazioni provenienti da più sorgenti, ad esempio sensori. La teleoperazione in ambito medico così come i piloti di aerei sono solo alcuni di questi casi. Poter “leggere” lo stato motorio degli operatori e fornire le informazioni necessarie al controllo o alla teleoperazione nel momento ottimale, “sincronizzato” con le fluttuazioni spontanee nei processi interni di controllo motorio, permetterebbe probabilmente di migliorare le prestazioni e l’usabilità degli strumenti, riducendo anche l’incidenza di errori umani in situazioni ad alto rischio quali un intervento chirurgico da remoto o un volo aereo.

La ricerca in questo ambito può aiutare in futuro a comprendere anche delle malattie?

Le funzioni sensorimotorie, ovvero quell’insieme di meccanismi che permettono al cervello di integrare le informazioni provenienti dai diversi sensi (primariamente la vista, il tatto e la propriocezione) per la pianificazione e l’esecuzione motoria, rappresentano un mattoncino di base sul quale si costruisce la possibilità stessa di eseguire movimenti finalizzati e fluidi. Alterazioni specifiche di questi meccanismi potrebbero quindi avere un ruolo in patologie neurologiche del movimento, quali ad esempio il morbo di Parkinson.

Che cosa ti aspetti dalla tua carriera scientifica nei prossimi anni?

Il mio interesse primario è il funzionamento del cervello e questo mi dà la motivazione sufficiente per portare avanti le attività di ricerca di base. La mia intenzione è quindi di continuare nei prossimi anni a studiare le basi neurofisiologiche delle funzioni sensorimotorie. Sono ulteriormente spronata nel perseguire questo scopo dalla consapevolezza che la ricerca di base in questo ambito possa aprire nuove strade nel campo della diagnosi ed eventualmente del trattamento di disturbi neurologici quali il Parkinson. Spero quindi – e intendo impegnarmi in prima persona anche in questa direzione – che nei prossimi anni della mia carriera io possa vedere alcune delle attività di ricerca che conduco concretizzarsi in applicazioni che abbiano delle ricadute cliniche per queste patologie.


Link al paper, “Visual detection is locked to the internal dynamics of cortico-motor controlhttps://journals.plos.org/plosbiology/article/authors?id=10.1371/journal.pbio.3000898

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