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Industria, finanza, ricerca. Tra storia e futuro, per un Paese che cambia

Intervista a Gabriele Galateri di Genola, Presidente dell’Istituto Italiano di Tecnologia

Dal quarantesimo piano della torre Generali a Milano si domina la città. Qui incontriamo Gabriele Galateri di Genola, il Presidente dell’Istituto Italiano di Tecnologia e Presidente della Fondazione Generali dopo essere stato per undici anni presidente del primo Gruppo Assicurativo del Paese e uno dei maggiori al mondo. Da quassù si ha una percezione concreta di cosa voglia dire cambiamento, che ha nell’avveniristica architettura di questa parte della città la testimonianza più evidente, ma che favorisce anche una riflessione più ampia. Stiamo osservando un Paese che cambia. Ed è questo l’argomento del quale parliamo, della linea che congiunge quest’idea di rinnovamento di evoluzione con Genova e con l’Istituto Italiano di Tecnologia.

Come sempre in questo periodo si lavora alla redazione del bilancio dell’anno precedente, i risultati di IIT nel 2022 sono molto positivi, e li commenteremo a breve, ma questo incontro con il dottor Galateri è anche l’occasione per tornare al suo passato nel mondo industriale e, in particolare, alla FIAT guidata dall’avvocato Agnelli del quale nei giorni scorsi si è ricordata la scomparsa avvenuta venti anni fa.

Presidente, quando inizia il suo rapporto professionale con la FIAT?

Dopo aver lavorato per qualche tempo al Banco di Roma divenni direttore finanziario di Saint Gobain, prima a Milano e poi a Parigi. Fu in quell’anno, eravamo nel 1977, che Cesare Romiti, amministratore delegato, e Francesco Paolo Mattioli, direttore finanziario della Fiat, mi offrirono di entrare nel Gruppo come responsabile finanziario dell’area nord, centro, sud America. Fu l’inizio della mia lunga collaborazione con il Gruppo, che mi porterà poi a ricoprire la carica prima di responsabile della finanza internazionale e poi di direttore finanziario della Fiat. Ho lasciato poi questa carica per occuparmi sempre di finanza in diverse società della FIAT e nelle holding di controllo IFI e IFIL. Quindi ho lavorato per venticinque anni nel Gruppo a stretto contatto con i maggiori azionisti, l’avvocato Agnelli e suo fratello Umberto.

Tornando al suo rapporto professionale con il Gruppo e quindi con l’avvocato Agnelli e Cesare Romiti, quali furono le indicazioni strategiche e operative che condivise con loro?

Furono anni molto importanti per la crescita del Gruppo e io ebbi l’opportunità di curare, dal punto di vista finanziario, come ricordavo, l’espansione internazionale che per i vertici del Gruppo era un obiettivo fondamentale. Il versante sul quale dovevo operare era il sud America, Argentina, Brasile, Colombia e Venezuela. Si decise di costruire uno stabilimento in Brasile dove non eravamo presenti. Ancora oggi quello stabilimento garantisce al Gruppo, ora Stellantis, una presenza commerciale di primissimo piano. È stata un’impresa ciclopica che vide importanti finanziamenti, oltre ad un impegno totalizzante per una decina d’anni. Poi sono arrivati i risultati.

Ma se all’estero i progetti si concretizzavano positivamente, in Italia attraversavamo un periodo tormentato.

Sì, difficile non ricordare quel periodo, stretti tra il pericolo del terrorismo e le tensioni interne che portavano spesso all’occupazione degli stabilimenti e degli uffici. Non era raro che si dovessero incontrare esponenti della finanza internazionale in un bar di corso Marconi a Torino Ancora oggi mi chiedo come abbia tenuto la credibilità della FIAT in quei momenti. La risposta sono certo si debba ricercare nella solidità del gruppo, e nella credibilità dei suoi azionisti, in primis l’Avvocato che godeva di un enorme prestigio internazionale ma anche di Umberto Agnelli e di tutti gli azionisti di quel tempo. Fu un periodo lungo, pericoloso e faticoso, dove fui sempre sostenuto dalla determinazione e dalla visione dell’Avvocato e di Cesare Romiti. Nonostante queste tensioni, il Gruppo continuava la sua espansione internazionale e diversificava le attività da quelle più vicine all’ambito automobilistico sino al settore del medicale, ferroviario e aeronautico.

In quegli anni ha potuto quindi apprezzare un aspetto poco ricordato della poliedrica personalità dell’Avvocato Agnelli: il suo impegno imprenditoriale, manageriale.

La complessità e il valore della personalità dell’Avvocato la si coglieva nella sintesi delle diverse caratteristiche, attitudini e competenze dei vertici della Fiat. L’avvocato Agnelli poteva godere di una credibilità internazionale e del rispetto da parte dei rappresentanti delle nostre istituzioni. Cesare Romiti, con una visione operativa precisa e concreta, garantiva il processo gestionale, Mattioli offriva soluzioni innovative per l’area finanziaria. Con loro i responsabili dei vari settori operativi garantivano solidità e prospettive al Gruppo. Il valore originale e inimitabile della gestione dell’Avvocato Agnelli fu la capacità di selezionare un gruppo di manager di grande valore e costoro furono i protagonisti di un periodo entusiasmante. Ma i tempi stavano cambiando. In Sudamerica, per esempio, una inflazione galoppante rischiava di mettere a repentaglio investimenti miliardari.

A proposito di grandi mutamenti, fece grande rumore in quegli anni, era il 1976, l’entrata nel capitale Fiat dello Stato libico attraverso il fondo LAFICO. Fu lei a gestire quell’operazione?

No, io partecipai alla gestione dell’uscita dei libici dal capitale del Gruppo. Ho ovviamente conosciuto i consiglieri libici che seguivano l’operazione e ricordo in particolare Abdullah Saudi, un manager molto brillante con il quale ebbi a che fare perché nel frattempo ero stato nominato amministratore delegato dell’IFIL, società che aveva partecipazioni oltre che in FIAT in Rinascente, in Toro e nei fondi Primegest. Queste partecipazioni dovevano essere vendute alla FIAT per fare cassa e ricomprare le azioni dei libici. Mi ritrovai quindi all’inizio di questa attività in IFIL in portafoglio azioni Fiat e poca cassa. Con il presidente Umberto Agnelli lavorai al rilancio della società, entrando in nuovi settori industriali che operavano nel settore alimentare come Galbani, Star, Peroni, nel settore alberghiero con Accor e nella grande distribuzione tornando ad investire in Rinascente insieme ad Auchan.

Il suo intervento in IFIL, definita la cassaforte della famiglia Agnelli, fu un passaggio molto importate dal punto di vista del risanamento finanziario del Gruppo e dimostrava la grande fiducia degli azionisti nei confronti della società.

È vero. Riuscimmo grazie alla diversificazione degli investimenti, a dare maggiore stabilità al conto economico e portare tranquillità agli azionisti del Gruppo Fiat e al mercato che era l’obiettivo di quell’operazione.

Poi lei divenne Presidente di Mediobanca.

Quando assunsi questo incarico l’istituto di credito usciva da una fase piuttosto travagliata di conflittualità tra azionisti e vertice aziendale, ma grazie all’impegno di due eccellenti manager, allora rispettivamente direttore generale e condirettore generale, Alberto Nagel e Renato Pagliaro, oggi rispettivamente amministratore delegato e presidente della banca, l’Istituto, mantenendo la sua caratteristica cura della clientela e allargando il raggio d’azione, continuò ad ottenere risultati rimarchevoli. Anche durante la mia presidenza in Mediobanca mi resi conto di quanto le relazioni, i contatti con esponenti internazionali del mondo della finanza e dell’industria dell’avvocato Agnelli e della Fiat erano utili per promuovere lo sviluppo della banca, in appoggio al sistema delle aziende italiane sia nel nostro paese sia in campo internazionale.

Cosa rimane oggi dal punto divista imprenditoriale e gestionale della storia della FIAT, dell’avvocato Agnelli e della influenza che ha avuto nella costruzione di un modello di governance e di relazioni?

È indubbio che l’Italia sia oggi, nonostante le difficoltà, un Paese profondamente cambiato rispetto solo a trent’anni fa. Ed è altrettanto evidente che ciò è dovuto al lavoro di diverse personalità che hanno sostenuto con credibilità, tenacia, visione, il percorso di una nazione moderna inserita a pieno titolo nel contesto internazionale. Oggi, se devo trovare una personalità che, come l’Avvocato, ha perseguito con determinazione questi obiettivi con uno stile di gestione e comunicazione adeguato al ruolo che ha avuto prima alla BCE e poi a capo del nostro Governo, penso a Mario Draghi. Al massimo livello istituzionale non si può poi non sottolineare la coerenza e l’impegno assoluto nel sostegno al nostro Paese in ogni contesto dei nostri Presidenti della Repubblica, Mattarella oggi e Napolitano prima di lui. Tornando alla FIAT e all’eredità dell’Avvocato Agnelli si deve considerare quanto la cultura industriale di quel gruppo abbia influenzato intere generazioni di imprenditori, sicuramente meno interessanti mediaticamente rispetto all’Avvocato ma altrettanto rilevanti per quanto riguarda l’apporto che da settori diversi hanno dato allo sviluppo del Paese, sia dal punto di vista produttivo e commerciale sia per il sostegno offerto agli innovatori, alla ricerca.

Ne ho la prova in IIT dove l’indispensabile attività del trasferimento tecnologico si regge sull’apporto delle imprese che condividono percorsi industriali che nascono dalla ricerca. Con la mia presidenza della Fondazione ho l’opportunità di contribuire ad assicurare una governance di ottimo livello, sviluppare un piano di relazioni nazionali e internazionali, ma anche continuare a coinvolgere gli esponenti del mondo industriale per garantire a IIT il futuro di crescita che si merita. Così, ancora oggi posso, oltre ogni ricordo, testimoniare con il mio impegno i valori della fondamentale esperienza che ho avuto il privilegio di sviluppare nel Gruppo Fiat, con l’Avvocato Agnelli e con tanti manager di valore.

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