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Intervista al Prof. Antonio Navarra, presidente Fondazione CMCC

Clima tra tecnologia e natura

Nei vostri studi gli elementi che dovete considerare sono molteplici, dalla fisica dei fluidi, alla biologia, fino all’analisi delle azioni umane che influiscono direttamente sull’ambiente naturale. Si tratta, quindi, di sistemi complessi. Quali sono gli strumenti più avanzati che avete a disposizione per creare un modello di studio e di simulazione di questi sistemi?

L’unico modo che abbiamo di studiare il clima, è rappresentare mediante metodi numerici le componenti che lo compongono: il comportamento dell’atmosfera, dell’oceano, ed anche degli ecosistemi terrestri e marini che influenzano la composizione dell’atmosfera che a sua volta contribuisce in maniera fondamentale alla determinazione del clima. Sono processi complessi, ma abbiamo imparato a conoscere quegli oggetti matematici molto sofisticati che regolano questa complessità. Questi strumenti scambiano la complessità matematica di questi oggetti, che sono equazioni differenziali non lineari, con un grandissimo numero di operazioni elementari. In altre parole: dividiamo il pianeta in una serie di celle in modo tale che ciascuna di esse sia rappresentativa di quello che succede in una specifica area per poi calcolare su quella porzione tutti i parametri che ci interessano. Prendendo in considerazione un numero di celle dell’ordine di decine di milioni, riusciamo ad avere una rappresentazione numerica, cioè una sorta di pianeta virtuale che duplica il comportamento dell’atmosfera e dell’oceano e su cui possiamo fare gli esperimenti che altrimenti non sarebbe possibile fare con il pianeta reale. Dalla metà del Novecento, quando questi sistemi di calcolo hanno visto le prime luci, fino ad oggi la nostra capacità di simulare questi aspetti della Terra si è evoluta moltissimo almeno in due direzioni: il livello di dettaglio e la ricchezza dei fenomeni che siamo in grado di descrivere.

Da un lato, l’avanzamento tecnologico consente metodi di calcolo sempre più avanzati che aprono la strada a una rappresentazione geografica che può contare su celle dalle dimensioni sempre più piccole, aumentando così il livello di dettaglio con cui possiamo descrivere questi fenomeni. Dall’altro lato siamo oggi in grado di includere nelle simulazioni fenomeni che sappiamo partecipare alla definizione del clima. Ad esempio, i modelli più recenti prendono in considerazione anche la vegetazione, con descrizioni dettagliate dei flussi d’acqua alla superficie della Terra, e altri fenomeni che qualche anno fa non era possibile simulare. Molte cose non le sappiamo ancora e molto c’è ancora da scoprire, ma l’ammontare di conoscenza che abbiamo accumulato in un tempo relativamente breve è davvero straordinario ed è dimostrato dal grado di affidabilità che hanno le previsioni meteorologiche. Questi successi ci hanno spinto ad andare sempre oltre, tanto che oggi si parla di previsioni stagionali e decadali.

La fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) è una struttura di ricerca nata con l’obiettivo di approfondire le conoscenze sul clima e comprendere gli impatti dell’uomo sull’ambiente e viceversa. Gli strumenti che vengono utilizzati si basano su un centro di calcolo avanzato in grado di simulare gli scenari del clima del futuro, rappresentando un importante strumento di previsione dello stato di benessere del nostro Pianeta. Può spiegarci l’importanza di tali strumenti sia per l’impatto a livello scientifico internazionale sia per la loro utilità nel campo politico?

La storia della meteorologia e della climatologia è intrecciata con lo sviluppo dei calcolatori elettronici. Si pensi che la prima previsione meteorologica è stata realizzata per il suo valore intrinseco, ma anche per dimostrare le capacità dei calcolatori elettronici progettati e realizzati nei primi anni Cinquanta del Novecento a Princeton. Da allora queste previsioni sono sempre state le prime utili a testare le nuove generazioni di supercomputer.

Da una parte, lavorando alle simulazioni del clima e delle sue interazioni con l’economia, la società e l’ambiente, i problemi predittivi e di proiezioni climatiche rappresentano un banco di prova molto sfidante per chi si occupa di calcolo avanzato. D’altra parte, la disponibilità di queste macchine è un requisito essenziale per la competitività nella ricerca e nello sviluppo. Per il CMCC è stata sempre prioritaria la disponibilità di una infrastruttura di calcolo che ci mettesse nelle condizioni di competere e di collaborare con gli altri centri di ricerca avanzata di livello internazionale. Un altro aspetto molto importante per noi è l’accesso dei ricercatori a risorse di calcolo che devono essere disponibili, facili da utilizzare e competitive rispetto agli standard più aggiornati. Il nostro centro di calcolo, che è posizionato tra le infrastrutture più avanzate a livello europeo e nazionale, è l’unico che è completamente dedicato alla ricerca sul clima e questo ci consente di mettere a disposizione una potenza di calcolo per ciascun ricercatore tale da rendere la nostra ricerca competitiva anche rispetto a infrastrutture assai più grandi di quella di cui disponiamo noi. I modelli climatici che sviluppiamo, ad esempio, sono parte di esperimenti, come i CMIP6, che coinvolgono la comunità di ricerca internazionale e i cui risultati sono a disposizione dell’IPCC e dei governi a supporto della definizione delle politiche climatiche.

Il riscaldamento globale ha portato la scienza del clima a diventare un argomento centrale nelle politiche di sviluppo dei Paesi del mondo, evidenziando l’esistenza di un rapporto stretto tra le attività umane e i mutamenti climatici. Studiare il clima, quindi, ha un’importante ricaduta nella società, poiché può indirizzare le nostre scelte. Ci può fare qualche esempio di quelle che secondo lei sono le ricadute più rilevanti?

Il passaggio cruciale si è innescato nel momento in cui ci siamo accorti che il clima è una variabile dipendente: non è una quinta di teatro, uno sfondo fisso, ma è un attore che è con noi sul palcoscenico. Nel momento in cui abbiamo capito che il clima cambia e che le società umane possono essere agenti del cambiamento, abbiamo anche capito che gli effetti di questo cambiamento sono dappertutto. È stato quindi chiaro, ad esempio, che alcune pratiche agricole non vanno più bene in un clima mutato, così come pratiche riguardanti la pesca o la gestione delle risorse idriche. Abbiamo capito che alcune opere di programmazione economica o attività sociali danno per scontato che il clima abbia caratteristiche che in realtà stanno cambiando. Ci siamo quindi accorti che il clima sottende a un’ampia quantità di attività umane che interessano i processi decisionali a più livelli, da quello internazionale che si cristallizza nei negoziati sul clima, fino alle scale decisionali più locali. Pur nell’incertezza che è insita nei risultati della ricerca e dei modelli climatici, sappiamo che le variazioni di indicatori climatici – quali ad esempio gli andamenti delle precipitazioni o la distribuzione nel corso di un anno di periodi molto caldi – pongono pressioni diverse in diverse aree geografiche, ma sempre producono un impatto su trasformazioni economiche e sociali che si riverbera sulla vita di ciascuno di noi.

Possiamo quindi dire che lo studio del clima è una continua interazione tra tecnologia e natura?

Se ci riflettiamo bene, se oggi vogliamo cercare con insistenza qualcosa di “naturale”, spesso possiamo ottenerlo solo con un uso elevato della tecnologia. Ad esempio, certi trattamenti agricoli a bassa intensità chimica richiedono previsioni meteo-climatiche molto accurate che non sarebbero possibili senza l’uso di satelliti, capacità e prestazioni di calcolo molto elevate, ed altre applicazioni tecnologiche raffinate. Mi pare che tra ciò che è naturale, artificiale e tecnologico ci sia un rapporto molto strettamente intrecciato. Forse il modo migliore per descriverlo è rendersi conto che anche la tecnologia è natura.

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