La fiducia al centro della scienza

Dialogo con Katalin Karikó, Premio Nobel per la Medicina 2023

Lo scorso 27 ottobre, Katalin Karikó, Premio Nobel per la Medicina nel 2023, è salita sul palco del Festival della Scienza di Genova per ripercorrere, con una lectio magistralis, la propria storia e il lungo cammino di ricerca che ha portato allo sviluppo delle terapie a RNA messaggero, alla base dei vaccini contro il virus SARS-CoV-2.

Poco prima dell’incontro pubblico, in una sala riservata dove si erano raccolti giornalisti di testate televisive, radiofoniche e della stampa, abbiamo avuto la possibilità di conoscere da vicino la scienziata ungherese. Ne è emersa una conversazione intensa, dedicata non solo alle biotecnologie e all’innovazione, ma anche al tema della fiducia: in sé stessi, nella ricerca e nella capacità della scienza di dialogare con la società.

Dal primo saluto colpiscono la naturalezza e la confidenza di chi ha voglia di condividere un racconto. Prima che l’intervista inizi, Karikó estrae dalla borsa la replica della Medaglia del Nobel per la Medicina: dorata, lucida, sorprendentemente pesante. La appoggia sul tavolo per farcela osservare, con lo stesso entusiasmo di una giovane studentessa appena premiata. È un gesto semplice ma eloquente: dietro un profilo di eccellenza c’è, prima di tutto, una persona.

Parlando della propria carriera, Karikó racconta una vita segnata da sfide e ostacoli: la formazione in Ungheria, gli anni di ricerca negli Stati Uniti (quando i suoi studi sull’RNA erano considerati marginali e poco promettenti) fino all’arrivo in Germania per lavorare alla BioNTech RNA Pharmaceuticals. È proprio negli Stati Uniti che matura una riflessione su quello che nel 2022 venne definito il “Karikó problem”: la difficoltà, nei sistemi di finanziamento della scienza, di riconoscere e sostenere le idee davvero innovative quando sono ancora agli inizi. Per anni i suoi progetti sull’RNA messaggero furono giudicati marginali e poco applicabili, e poterono andare avanti solo grazie alla sua determinazione.

“Se non credi in te stesso,” dice, “abbassi l’asticella ancora prima di provarci. Credici, e ispira gli altri a fare il salto. Perché, se non lo farai tu, di certo lo farà qualcun altro.” Una convinzione che ha guidato il suo intero percorso e che si è rivelata decisiva per lo sviluppo dei vaccini a mRNA contro il COVID-19. Per questo, oggi insiste sull’importanza di sostenere la ricerca meno convenzionale e agli albori: un investimento nel futuro della scienza, che spesso avanza grazie alla fiducia che ricercatrici e ricercatori ripongono nelle proprie intuizioni, ma che ha bisogno anche della fiducia della società per esistere davvero.

Guardando al presente, Karikó offre uno sguardo sul futuro dell’RNA messaggero (o mRNA, la molecola chiave per la sintesi delle proteine a partire dalle istruzioni contenute nel DNA), oggi considerato una delle frontiere più promettenti della biomedicina. “A livello globale sono oltre 150 i trial clinici in corso per la prevenzione o il trattamento di patologie basati sull’mRNA”, spiega. Le applicazioni spaziano dalle malattie infettive (HIV, virus di Epstein-Barr, tubercolosi, malaria), ai tumori, con vaccini terapeutici mirati per melanoma e tumore pancreatico, fino alle malattie cardiovascolari, genetiche come la fibrosi cistica, e autoimmuni come il lupus.

Mentre parla, Karikó alterna con naturalezza dati tecnici a osservazioni personali. È qui che affiora un tema per lei fondamentale: la vita delle persone che fanno scienza. Insiste sull’importanza dell’equilibrio psicofisico, della possibilità per i ricercatori di avere una vita sana e sostenibile. Sottolinea il bisogno di politiche sociali più solide per sostenere le donne nella ricerca, affinché nessun talento debba scegliere tra la carriera e la vita familiare. Anche questo, ricorda, fa parte dell’ecosistema necessario a far crescere la scienza.

Il discorso scivola poi sulla comunicazione, un tema diventato centrale dopo la pandemia. Nonostante il successo dei vaccini a RNA, la fiducia nella scienza ha vissuto un paradossale regresso. In diversi Paesi, tra cui gli Stati Uniti, i dibattiti pubblici hanno influenzato perfino le politiche sugli obblighi vaccinali, segno di un rapporto fragile tra conoscenza scientifica e opinione pubblica.

Per Karikó, è la prova che i ricercatori non possono restare ai margini del discorso pubblico. “Penso a ciò che avrei potuto fare, o che avremmo dovuto fare,” riflette, “e penso che, se oggi ci troviamo in questa situazione, è perché noi scienziati non abbiamo svolto pienamente il nostro compito. Non abbiamo parlato alle persone comuni e spesso la gente vede gli scienziati come un’élite distante. È per questo che riconosco la responsabilità (mia, come scienziata, e vostra, come giornalisti) di informare ed educare il pubblico, traducendo concetti complessi in un linguaggio semplice, affinché possano davvero comprenderli; perché, se non capisci qualcosa, inevitabilmente ne avrai paura.”

Dopo la pandemia, osserva, la scienza è diventata più visibile, ma anche più vulnerabile alle semplificazioni, alle distorsioni e alla disinformazione. Recuperare la fiducia del pubblico, dai più giovani ai cittadini di ogni età, significa coltivare trasparenza, empatia e la capacità di restituire alla società una narrazione chiara, capace di far emergere ciò che è all’origine di ogni scoperta: la curiosità.

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