Intervista a Massimo De Vittorio, coordinatore del Center for Biomolecular Nanotechnologies di IIT a Lecce
Ad Arnesano, in provincia di Lecce, dal 2009, ha iniziato la propria attività di ricerca il centro di Nanotecnologie Biomolecolari. Lo dirige Massimo De Vittorio. Nel corso della visita ai laboratori gli abbiamo chiesto di presentarci gli studi sui quali si concentrano le attività del Centro.
Gli umani, esordisce De Vittorio, hanno una grande capacità di comprensione di tutto ciò che sta intorno a loro ma hanno una scarsissima sensibilità nel decifrare i segnali che giungono dal proprio corpo. I recettori più attivi sono quelli che ci segnalano il dolore senza però offrirci dettagli che ci indichino il motivo di questa percezione. Per migliorare il nostro bagaglio informativo ed essere in grado di avere una fotografia dinamica sul nostro stato di salute abbiamo bisogno di conoscere sia il nostro patrimonio genetico, che ha dato il via a come il nostro organismo si è sviluppato, sia di riuscire a sensorizzare il corpo umano per monitorarne la fisiologia in tempo reale. Occorre cioè registrare tutto quanto accade nel corpo; dagli effetti dell’alimentazione, alla attività fisica all’uso e abuso di farmaci e così via. Questa attività di verifica e controllo può avvenire attraverso l’utilizzo di dispositivi non intrusivi come cerotti e tatuaggi elettronici che permettono una verifica continua dello stato di salute. Si cerca così di superare il gap culturale secondo il quale si consulta il medico solo se non si sta bene perché i dispositivi sul corpo rilevano sintomi che noi non siamo in grado di percepire. Peraltro quando ciò avviene non si è certi che la diagnosi sia corretta e che porti alla guarigione, anche perché i dati a disposizione del professionista sono frammentari e non sempre offrono una visione precisa e puntuale dello stato di salute del paziente. Se quest’ultimo viene invece monitorato in continuo attraverso dei sensori, che sono l’oggetto dei nostri studi, vengono segnalate in continuo le anomalie del suo stato di salute. Incrociando poi questi dati con migliaia di altri pazienti che segnalano lo stesso problema, è possibile, con l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, effettuare diagnosi precoci e proporre terapie con margine di errore molto limitato.
Quanto descrivi può ridurre, se non annullare, l’intervento del medico?
No, il medico è coadiuvato scientificamente nel lavoro di individuazione di una patologia e definizione della terapia. La tecnologia diviene un supporto che supera la mera esperienza e sensibilità professionale personale del medico offrendo a quest’ultimo un gran numero di dati sul paziente che migliorano in modo esponenziale la qualità del suo lavoro.
In pratica, su cosa studiano i tuoi ricercatori per sostanziare questo supporto al sistema sanitario?
Noi lavoriamo su tre classi di tecnologie. Sonde per il cervello, sviluppate in attività precliniche, realizzate in collaborazione con Harward e con altri gradi centri di ricerca mondiali. Sviluppiamo cerotti elettronici che vengono applicati sulla pelle, essi leggono, con l’utilizzo di materiali piezoelettrici super flessibili, le alterazioni dei tessuti dovute alle deformazioni delle arterie ed i suoni emessi dal nostro corpo. Inoltre, lavoriamo ad un progetto di elettronica ingeribile; per mettere in pratica la nostra idea abbiamo utilizzato il chitosano, un biopolimero che si ricava dalla chitina, uno scarto alimentare prodotto dai gusci dei gamberi e dei granchi, e l’abbiamo reso piezoelettrico. Su questi materiali abbiamo prodotto sensori totalmente sicuri e biodegradabili per monitorare il tratto intestinale e inglobare farmaci che possono essere rilasciati in un punto preciso del nostro corpo, laddove serve la cura, con posologia decisa dall’esterno. Lavoriamo anche su tecnologie per l’energia sfruttando i materiali piezoelettrici per la conversione di energia meccanica in energia elettrica; da qui il lavoro su sensori autoalimentati che dal vento recuperano energia o sensori impiantati nel corpo umano alimentati dal movimento dei nostri muscoli.
Citavi precedentemente le osservazioni del cervello con tecniche innovative: puoi fornirci qualche dettaglio su questo aspetto?
Su questo tema vi è una vicenda che vorrei citare con una punta d’orgoglio. Nel 2013 giungono in Italia Bernardo Sabatini e Bob Datta, due professori di Harward invitati da John Assad allora direttore del dipartimento brain technologies di IIT. Incontro i due professori e il tema era una disciplina emergente in quel momento: l’optogenetica (insieme di tecniche che permettono di rendere una qualsiasi cellula nervosa in grado di rispondere agli stimoli luminosi, N.d.R.), noi iniziavamo i nostri studi sul cervello. I due ricercatori avevano un problema: stimolavano i neuroni con la luce e poi verificavano con gli elettrodi che si fossero attivati, ma la luce invadeva gli elettrodi e non solo i neuroni. Ciò generava il cosiddetto rumore fotoelettrico che creava difficoltà nella misurazione del segnale. Mi chiesero un parere e mi venne un’idea: conoscevo l’utilizzo di fibre ottiche affusolate nella microscopia. Esse perdono luce di lato ma se le si ingabbia in un involucro di metallo, il flusso luminoso può essere guidato nel cono. Pensai di aprire delle finestrelle laterali in modo che così si potesse guidare la luce verso i bersagli stabiliti e non finisse sui contatti elettrici.
Questa si è rivelata un’idea vincente che, concretizzata con l’apporto fondamentale di Ferruccio Pisanello, è stata brevettata e immediatamente dopo abbiamo ottenuto una pubblicazione su una rivista prestigiosa. L’utilizzo successivo di questa invenzione ne ha dimostrato la versatilità offrendo ai neuroscienziati la possibilità di testare zone diverse del cervello in modo dinamico, conducendo degli esperimenti che tendono a comprendere la funzione dei circuiti cerebrali, le cui zone d’ombra sono ancora tante, e per studiare importanti patologie. In questi giorni, con l’Università di Glasgow, nell’ambito di un progetto europeo che coordino, stiamo lavorando sulla malattia di Alzheimer, valutando attraverso l’ausilio della nostra fibra quali sia la progressione delle placche amiloidi, segnale patologico della malattia, in relazione alla somministrazione di un farmaco. Quella che ho raccontato è una vicenda paradigmatica che val la pena riassumere. Sull’input dei colleghi americani abbiamo avuto un’idea, ne abbiamo valutato la percorribilità e l’abbiamo brevettata, abbiamo pubblicato da allora tre articoli su Nature, Neuron e decine di altri articoli in altrettanto prestigiose riviste. È nata una start up con tre dipendenti e sei soci, tre lavorano ad Harvard e tre in IIT. Le vendite sono iniziate già da alcuni anni ed i fatturati sono in crescita. Ferruccio Pisanello ha seguito passo dopo passo questa iniziativa, utilizzando il suo finanziamento ERC per sviluppare gli studi su tecnologie per sonde cerebrali multifunzionali e minimamente invasive.
Qual è il rapporto tra il tuo centro e le istituzioni locali?
Ottimo, in particolare con l’università del Salento e con il Rettore Professor Fabio Pollice e con alcuni centri del CNR, in particolare CNR nanotech, attivi nelle tecnologie per la salute. Con queste istituzioni e Medtronic Italia abbiamo creato il Salento Biomedical District, un’iniziativa che ha l’ambizione e l’obiettivo di creare in Puglia un ecosistema dell’innovazione in ambito medtech. Vogliamo attrarre aziende che dal resto d’Italia inaugurino sedi nel nostro territorio. Offriamo una consolidata vocazione nel campo dell’alta formazione, delle tecnologie per la salute, dimostrata dalle diverse start up lanciate in questo importante comparto industriale. Abbiamo da poco inauguraton una località vicina a Lecce, Cavallino, un antico monastero totalmente ristrutturato, attrezzato ad uffici e centro congressi nel quale si potranno sviluppare progetti industriali di su tecnologie e prodotti medtech.
Quanti sono i tuoi collaboratori?
Nel centro CBN lavorano circa ottanta persone coordinate da tre P.I. Buona parte del nostro budget proviene da fondi esterni, fondi europei, progetti nazionali e internazionali. Possiamo contare anche su contratti commerciali con importanti multinazionali. Abbiamo lanciato tre start up già profittevoli e due sono in fase di definizione.