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La scelta della solidarietà ai tempi del Coronavirus

Intervista ad Andrea Chiappori, responsabile della Comunità di Sant’Egidio Genova

Voci dalla Città

In un momento di forte apprensione per il nostro futuro siamo certi che, oltre nei centri decisionali centrali, anche in quelli locali si stia lavorando per uscire dal buio nel quale ci ha relegato la pandemia. Vogliamo raccontarvi, attraverso le testimonianze dei nostri concittadini, come stiamo reagendo e come Genova e tutti colori che ci vivono e lavorano vinceranno questa battaglia.


L’emergenza è arrivata dentro le case di tutti gli italiani e di tutto il mondo in poche settimane, sconvolgendo la vita di ognuno di noi con una violenza repentina. Una vita che nella maggior parte dei casi dispone comunque di un tetto, della possibilità di avere cibo a sufficienza e della tecnologia che scandisce le giornate quasi tutte uguali.

Abbiamo chiesto al responsabile della Comunità di Sant’Egidio Genova come la pandemia abbia colpito una parte di cittadini che molto spesso rimangono nell’ombra.

Com’è cambiata la vita di persone con più fragilità e meno possibilità? Quali sono state le difficoltà maggiori che la Comunità di Sant’Egidio ha dovuto affrontare a Genova?

Un microorganismo ci ha messi in ginocchio, ha reso evidenti i limiti della nostra esistenza che forse non volevamo notare. Ha sintetizzato mirabilmente Papa Francesco: “ci siamo illusi di essere sani in un mondo malato”. E questo inganno potrebbe continuare perché vivere l’isolamento sociale in una bella casa, grande, con tanti strumenti ultramoderni… è un disagio certo, ma sopportabile, e potrebbe contribuire a perpetrare la disattenzione, cioè l’individualismo, che ha caratterizzato la nostra società in questi ultimi anni. La lezione che traggo dalla vita all’interno della Comunità di Sant’Egidio ogni giorno mi aiuta a contrastare questa tendenza, che potremmo chiamare lo spirito del tempo, cioè vivere per sé stessi. Si legge nel Salmo 48: “l’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono”. Questo aiuta molto ad entrare nel senso profondo della domanda che mi è stata posta, non è uno svantaggio vivere la prosperità ma è necessario volgere il proprio sguardo al mondo attorno, alle persone che abbiamo accanto e nel mondo globalizzato anche a quelle che proprio vicine non sono. Questa apertura permette di non morire in sé stessi. Appunto di ribellarsi allo spirito del tempo. Forse questa è la difficoltà maggiore che ha dovuto affrontare la Comunità di Sant’Egidio, che non è un’entità ma è un insieme di uomini e donne che vivono le sensazioni e potremmo dire, con parola un poco desueta, le tentazioni di tutti. Questa libertà dallo spirito del tempo permette di non essere indifferenti verso chi vive condizioni diverse e di maggiore fragilità.

Da qui la scoperta che, oltre ai tanti che incontriamo e sosteniamo lungo tutto l’anno, in queste settimane la pandemia ha reso precaria la vita di tantissimi, un lungo e dolente elenco di gente che “se la cavavano” e in pochissimo tempo si sono trovate a non riuscire più a far fronte alle necessità del quotidiano: chi ha visto il lavoro ridursi o arrestarsi, gli anziani (siamo una città di anziani!) che riescono ancora a vivere a casa da soli ma non possono uscire per proteggersi e si trovano in seria difficoltà… un capitolo a parte andrebbe poi dedicato a chi una casa non ce l’ha… Allora ci siamo interrogati su come rispondere subito a questa emergenza, con la fretta di affrontare problemi che non possono essere rinviati o discussi a tavolino, e abbiamo creato una rete capillare di aiuti, di visite, di distribuzione di cibo, di ricerca di risorse per rispondere a tutti e non dimenticare nessuno.

Com’è stata gestita l’emergenza per i senza tetto per proteggerli dal contagio ma ottemperando alle norme attualmente vigenti approvate dal Governo in seguito all’emergenza sanitaria internazionale?

I senza dimora hanno rappresentato un problema grandissimo fin dal principio dell’emergenza. Va fatto un passo indietro per capire bene di cosa si parla: le persone che non hanno una dimora stabile a Genova sono un piccolo esercito, fortunatamente non tutte vivono sotto i ponti. Esistono centri di accoglienza molto ben organizzati, anche percorsi di reinserimento che aiutano, chi lo desidera, a cercare un’altra possibilità per la propria esistenza. Poi molti hanno accoglienza negli asili notturni che offrono un riparo per periodi più o meno lunghi, ed infine molti alloggi di fortuna, piccole ospitalità tra amici. Tutto questo comunque non basta e in tempi normali circa 150/200 persone vivono effettivamente nelle strade, soprattutto in centro città, presso le stazioni ferroviarie, sotto i portici, nelle vicinanze del teatro dell’opera ma anche in periferia. Con il sopraggiungere dell’emergenza il Comune di Genova ha compiuto uno sforzo importante ed ha aperto diverse strutture per dare ospitalità a queste presone affinché anch’essi potessero “restare a casa”. Purtroppo non tutti hanno accolto questa offerta e circa 100 persone tutt’oggi vivono e dormono negli angoli delle strade e sui marciapiedi. Persone a rischio per sé e per gli altri. In questo periodo di emergenza noi di Sant’Egidio abbiamo intensificato le visite notturne: laddove trovano riparo per la notte, durante il giorno li accogliamo con maggiore frequenza presso i nostri centri. Possiamo parlare di un monitoraggio continuativo: sono le persone che non hanno appigli di sorta, le strade deserte, i locali chiusi. Per loro, da un momento all’altro, c’è stato il vuoto totale in una condizione già di grave emarginazione! Dar loro cibo, vestiti, coperte, presidi per proteggersi dal virus è il tentativo quotidiano di far sentire a chi non ha casa che c’è una famiglia e così combattere il virus della solitudine e dell’abbandono che miete sempre vittime, molto spesso nell’indifferenza generale.

Che misure sono state prese in queste settimane dal Governo per aiutare le realtà che gestite e cosa vi aspettate potrà accadere nei mesi successivi in attesa che arrivi il vaccino?

L’attività del Governo e delle amministrazioni locali oggi è orientata principalmente a tutelare la salute della popolazione e giustamente si attendono supporti dalle organizzazioni come la nostra che, per scelta, affrontano da molti anni problemi sociali complessi. Non ci aspettiamo particolari sostegni in questa fase ma riscontriamo un forte spirito di coordinamento e collaborazione per trarre il meglio da ogni azione. Certo, questo nel breve periodo.  Nell’immediato futuro, invece, sarà necessario cambiare passo, ci attendiamo un sussulto di intelligenza, uno spirito audace che sappia intravedere il futuro e costruirlo remando tutti nella stessa direzione, come suggerisce papa Francesco. Organizzazioni come la nostra vanno certamente sostenute ma soprattutto ascoltate per fare tesoro del parere di chi, ogni giorno, è in mezzo alla gente, ne comprende l’umore e il bisogno che non va deluso. Un esempio tra tutti: la fase 2 di cui si sente tanto parlare in questi giorni, per noi è già iniziata. Non è quella in cui finalmente potremo iniziare ad uscire e a riprendere almeno in parte alcune attività quotidiane, ma piuttosto è la fase in cui molti hanno necessità di uscire perché non hanno più sostentamento, perché vivono in spazi troppo ristretti… Ogni giorno il telefono della nostra Comunità squilla sempre più frequentemente e le storie che ascoltiamo sono simili nella loro drammaticità. Ci sarà bisogno pertanto di risposte creative che raccolgano il contributo di tutti e siano l’inizio di un processo di cambiamento.

In che modo la tecnologia potrebbe aiutare la Comunità di Sant’Egidio, ma in generale tutte le organizzazioni che si preoccupano di persone più fragili e vulnerabili, anziani e senzatetto, a gestire queste settimane di emergenza? 

Difficile immaginare cosa sarebbe questo tempo di lockdown senza la tecnologia che ci aiuta, ci tiene legati, ci permette non solo di essere informati ma anche di informare gli altri sulla nostra condizione, di continuare a lavorare, partecipare a riunioni… L’aiuto che riceviamo dalla tecnologia nello specifico del nostro lavoro a sostegno dei più deboli è qualcosa di grandioso. Prendiamo ad esempio le Scuole delle Pace, sono un’esperienza attiva in molti quartieri della città, animate da studenti liceali e universitari che raccolgono centinaia di ragazzi della scuola dell’obbligo. In questo tempo di emergenza Covid-19 le Scuole della Pace non hanno interrotto la loro attività grazie alla tecnologia. Ogni giorno gruppi whatsapp di ragazzi, accompagnati da questi amici più grandi, hanno continuato a vedersi, a studiare, a giocare. È anche risultato evidente che la tecnologia dei ragazzi dei quartieri più periferici non è sempre all’altezza e anche le connessioni non sono all’altezza della necessità in alcune zone della città piuttosto che in altre.

Un capitolo speciale riguarda gli anziani, soprattutto il loro futuro. Oggi registriamo una grave sconfitta in un percorso di longevità che rappresenta una grande conquista della nostra società. Fa male sentir dire che a morire per coronavirus sono soprattutto gli ultraottantenni, quasi per rassicurare. Sono certo che proprio nel futuro degli anziani, nella longevità, la tecnologia troverà uno dei campi di maggiore applicazione. Se sapremo trarre la lezione che ci sta dando la pandemia troveremo il modo per superare formule di assistenza che hanno mostrato tutti i loro limiti in modo tragico. Gli anziani devono vivere più inseriti nel contesto sociale, protetti e non isolati, in questo modo sarebbe molto più facile contrastare ogni emergenza e soprattutto alzare il grado di qualità della vita. È un capitolo veramente vasto che dovrà portarci a ripensare in maniera radicale la cura e soprattutto i luoghi di cura. E qui la tecnologia avrà molto da dire.

Si è spesso detto in queste settimane che la pandemia ci farà diventare persone migliori, o almeno così hanno detto gli ottimisti cronici. In che modo questo isolamento e solitudine possono cambiare l’umanità degli italiani? Si può davvero trasformare questa difficoltà improvvisa in opportunità o c’è il rischio che la pandemia divori l’umanità rendendoci tutti più egoisti?

“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” (Tomasi di Lampedusa). Cito questa frase per giustificarmi. Non è facile rispondere a questa domanda, i cambiamenti sono sempre pieni di insidie, hanno a che fare con la complessità del mondo e dell’animo umano. Molto dipenderà da come vivremo questi lunghi mesi che ci attendono, in cui concretamente saremo fuori dalla clausura ma non ancora liberi del tutto. Mesi in cui mantenere una certa distanza sociale, tornare al lavoro e poi a scuola, ma con regole da rispettare. Il vero dopo sarà quando potremo disporre di un vaccino, che anzitutto dovrà essere universale, una vera novità. Non è stato così con le cure per l’HIV, malattia forse più controllabile, almeno nel mondo ricco. Questo potrebbe essere un passo verso una globalizzazione più consapevole. Altro aspetto importante potrebbe essere una regolarizzazione degli immigrati presenti a vario titolo sul territorio nazionale. In Portogallo è già avvenuta. È richiesto da più parti sociali e anche da intellettuali avveduti. Non è una scelta ma piuttosto un’esigenza. Imposta da ragioni di necessità per il lavoro urgente che va svolto nei campi e l’imminente raccolto, per la cura degli anziani, le badanti, visto che andremo incontro a un forte senso di incertezza verso l’effettiva validità delle cure nei cosiddetti ricoveri. Comunque un passo decisivo anche per la lotta al lavoro nero, ne conseguirebbe una maggiore coesione sociale, cosa molto importante mentre ci apprestiamo a vivere uno sforzo di rinascita economica. Inoltre lo Stato potrebbe avere un introito erariale consistente. Altro aspetto sarà il ruolo che svolgeranno i media, in questa fase hanno assunto un compito importante, tanto merito dell’adesione significativa e decisiva alle regole imposte dall’epidemia è loro. Soprattutto televisioni e giornali. Anche la Chiesa dovrà svolgere un ruolo primario. In questi giorni le parole del Papa hanno accompagnato credenti e non, l’immagine più emblematica resta Francesco sotto la pioggia nella piazza San Pietro deserta. Ha toccato il cuore di tutti ed ha incoraggiato. Così si dovrà continuare, non solo il Pontefice ma preti e laici, uomini e donne: essere di esempio nell’aiutare e nel pensare il futuro. Testimoni di una gratuità, che deve essere alla base di una rivoluzione culturale che coinvolga anche la politica.

E, non ultima, la tecnologia. Dovremo imparare ad usarla di più, meglio e per tutti, farne la base di una società più capace di istruire, proteggere e curare. Ma non voglio sembrare poco ottimista e quindi concludo citando ancora una volta il Santo Padre proprio nel messaggio agli italiani: “abbiamo la speranza, che non è illusione e perciò non delude, che arrivi un tempo migliore in cui essere migliori noi per primi”.

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Andrea Chiappori  è responsabile della Comunità di Sant’Egidio Genova. La Comunità di Sant’Egidio inizia il suo cammino a Roma nel 1968, all’indomani del Concilio Vaticano II. Nella seconda metà degli anni Settanta comincia a radicarsi anche in diverse città italiane e dal 1976 è  presente anche a Genova.
Attivo anche a livello Diocesano ha ricoperto diversi ruoli nella Consulta dei Laici ed è membro del Consiglio Pastorale Diocesano. Attualmente è nominato dall’Arcivescovo Vice Direttore dell’Ufficio Pastorale della Terza Età.

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