Intervista al Direttore scientifico IIT, Giorgio Metta, membro del gruppo di esperti selezionati dal MiSE per la stesura di una strategia nazionale per l’IA
A circa due mesi dalla pubblicazione del Ministero dello Sviluppo Economico delle proposte per la “Strategia italiana per l’Intelligenza Artificiale”, Giorgio Metta – Direttore Scientifico IIT e membro del pool di esperti selezionati dal MiSE per la stesura del documento – ne racconta i fondamenti, il contesto e le finalità. La strategia, disponibile sul sito del Ministero, rappresenta uno dei punti al centro dell’azione portata avanti dal Ministro Patuanelli per favorire l’innovazione e la competitività delle imprese, valorizzando l’Italia nel campo della trasformazione digitale con particolare attenzione agli aspetti occupazionali, sociali e ambientali.
Perché l’esigenza di una strategia per l’AI in Italia?
L’Intelligenza artificiale o AI – nella versione inglese artificial intelligence – e le tecnologie a questa associate, hanno già cambiato il nostro modo di vivere. Nel mondo stanno guidando lo sviluppo in questo settore principalmente Stati Uniti e Cina, nonostante in Europa (e in Italia) ci siano grandi competenze in questo campo sia a livello di ricerca pubblica che nel settore privato. La strategia che abbiamo preparato con un pool di esperti è indispensabile, soprattutto se successivamente darà alla luce un piano di investimenti concreto come abbiamo ipotizzato, per preparaci ai cambiamenti socio-economici che verranno. È necessario sollecitare l’ecosistema tecnologico e formativo, sia pubblico che privato, e preparare un appropriato quadro etico e normativo in modo da essere parte attiva di questa rivoluzione in atto e poter competere con gli altri player a livello europeo e globale. L’Italia, nel suo contesto europeo, può portare una visione nuova dell’approccio alle tecnologie, che coniughi le necessità dell’uomo con quelle dell’economia.
Nella strategia si parla di AI “for good”, di cosa si tratta esattamente?
Tra i concetti sviluppati nella strategia, che è sicuramente volta a rendere il nostro Paese più competitivo, credo sia importante ricordare che l’AI può avere un ruolo importantissimo nel migliorare il benessere di tutti minimizzando i rischi per le persone e per la coesione sociale. L’AI for good è una visione antropocentrica di questa tecnologia , che pone l’uomo e le sue esigenze al centro. In IIT abbiamo sempre condiviso questo approccio alle nuove tecnologie sviluppate sulle necessità degli individui e volte a migliorare lo stile di vita riducendo al minimo gli effetti sulla società e l’ambiente.
Quali sono le fondamenta di questa strategia?
La strategia si basa su tre pilastri fondamentali: l’AI per l’essere umano, che definisce i rapporti tra l’uomo e la macchina, l’AI per un ecosistema digitale affidabile, produttivo e sostenibile, che affronta le politiche industriali e l’ecosistema di tecnologie associate all’AI e l’AI per lo sviluppo sostenibile, che comprende le azioni volte al raggiungimento dei SDGs delle Nazioni Unite. Questi elementi insieme formano la visione di quella che abbiamo chiamato RenAIssenance, il rinascimento tramite l’Intelligenza Artificiale. Le implicazioni risuonano sul piano normativo, ma richiedono anche una riflessione sull’etica e un cambio di paradigma nelle politiche pubbliche del Governo. È un’occasione unica per il nostro Paese e per il continente tutto in un periodo storico molto particolare e potenzialmente difficile da decifrare.
Cosa può fare l’AI per la sostenibilità?
L’AI può aiutare concretamente il Paese a perseguire gli obiettivi di sostenibilità previsti dall’agenda 2030. Può creare valore senza lasciare indietro nessuno e impattando positivamente sulla società. Si pensi ad esempio a processi industriali ottimizzati per risparmiare risorse e venire incontro alla crescente domanda di cibo, ma anche all’ottimizzazione delle tecnologie di raccolta, stoccaggio e gestione dell’energia; con l’AI sarebbe possibile ad esempio migliorare l’efficienza delle reti intelligenti – le smart grid – mediante la gestione dei sensori e l’elaborazione dei relativi dati acquisiti. Inoltre, l’ecosistema tecnologico intorno all’AI può velocizzare lo sviluppo e l’ottimizzazione di tecnologie abilitanti per migliorare la qualità della vita di persone con disabilità.
Perché tutto questo possa impattare davvero sulla nostra società è necessario sviluppare un piano governativo di investimenti finalizzato al raggiungimento degli obiettivi 2030. La ricerca IIT è molto attenta a questo aspetto, e le nostre attività sono strutturate in modo da orientare lo sviluppo di nuove tecnologie verso la sostenibilità, a partire dalla realizzazione di materiali rispettosi dell’ambiente, fino ad arrivare a robot dotati di AI che possano supportare persone con diversi tipi di disabilità, passando per nuove tecnologie green per la raccolta e lo stoccaggio di energia rinnovabile.
Si legge nel rapporto che l’AI è strettamente collegata alla componente umana e che sarà necessario che le competenze umane siano complementari a quelle dell’Intelligenza Artificiale. In che modo il sistema formativo del Paese si può adeguare per raggiungere questo obiettivo?
Il sistema formativo dovrà cambiare, e nella strategia sono molte le proposte per questo settore. Le attività didattiche, fin dalle scuole primarie, dovranno comprendere programmi specifici di coding, cosa che al momento avviene raramente ed è affidata alle sporadiche iniziative dei docenti. Abbiamo proposto inoltre una formazione per il corpo docente, e a livello universitario nei corsi di dottorato, fino ad arrivare al concetto di una formazione che non si esaurisce mai, ma agisce anche a livello dei lavoratori e di tutta la società, in modo da facilitare il re-skilling del personale e minimizzare i cambiamenti sociali e occupazionali che queste tecnologie porteranno con sé.
Quali sono i problemi relativi alla sensibilizzazione e la divulgazione dell’IA verso la società civile?
La comunicazione è uno dei temi chiave della nostra proposta. Spesso si parla di ciò che di negativo può portare questo tipo di tecnologia nella nostra società: perdita di posti di lavoro, fake news, decisioni errate e crimini di varia natura ai danni dei cittadini. Ovviamente l’AI, come ogni tecnologia, comporta dei potenziali rischi ma anche enormi vantaggi, e per poterla utilizzare al meglio, come società, dobbiamo conoscere l’argomento e avere una percezione dei rischi e dei benefici, un’informazione completa e quanto più vicina alla realtà dei fatti. Non dobbiamo diventare tutti dei tecnici dell’AI ma capirne le implicazioni per la nostra vita.
Nella strategia si suggeriscono diverse iniziative per raggiungere questo obiettivo, comunicando a tutti i livelli dal comparto industriale al policy maker, dal settore terziario alla società nel suo complesso. Una delle iniziative concrete proposte è l’istituzione di un “AI festival”, una manifestazione itinerante su scala nazionale dedicata a tutti, con lo scopo di informare i cittadini e creare in loro un desiderio di approfondimento sulle tematiche dell’ecosistema AI.
Come viene affrontato il tema del lavoro?
Nel documento proponiamo quattro azioni concrete per affrontare la questione lavoro: la progettazione di ecosistemi territoriali con attenzione all’infrastruttura, fondamentale per il funzionamento delle nuove tecnologie; la mappattura delle competenze nelle aziende con una conseguente formazione di alto livello personalizzata; la creazione di strategie nazionali o internazionali per fare sistema ed essere in grado di attrare finanziamenti ed essere presenti nelle discussioni europee e infine incentivare l’adozione di smart contract a condizioni eque e trasparenti per i lavoratori, una metodica di gestione del personale che potrebbe, con l’ausilio dell’AI, offrire più forme di garanzie contrattuali su diversi livelli.
Come si può stimolare questo ecosistema nazionale dell’AI?
L’ecosistema nazionale dell’AI è piuttosto esteso in Italia e comprende diversi centri di ricerca pubblici e privati, oltre ai competence center ad alta specializzazione recentemente finanziati, ai Digital Innovation Hub e ai tecnopoli. In questo ecosistema l’innovazione parte dai centri di ricerca e nel nostro documento raccomandiamo maggiori investimenti in questo settore, in modo che possano nascere le nuove competenze necessarie per il processo di innovazione del Paese. Un ruolo cardine lo avrà anche lo sviluppo dei rapporti pubblico-privati in modo che l’innovazione realizzata dalla ricerca possa concretizzarsi passando dai laboratori alle aziende. Tutto questo, però, sarà possibile solo diventando competitivi e attrattivi anche a livello internazionale, con investimenti mirati a massimizzare le risorse e creare o potenziare le infrastrutture, in modo da attrarre nel nostro Paese i migliori talenti, italiano o stranieri.
Abbiamo bisogno di infrastruttura e talento. L’infrastruttura include le reti, ma anche la capacità di calcolo ad alte prestazioni, un centro di ricerca con sufficiente massa critica e laboratori adeguati ad attrarre talenti – non solo italiani – e, per finire, un investimento serio sulle persone. Fatto questo, l’Italia dovrebbe rafforzare il passaggio dallo sviluppo all’adozione dell’AI avvicinando le competenze eccezionali della ricerca alle aziende. Dobbiamo capire le necessità del tessuto produttivo e sviluppare l’AI – più in generale tutto quello che riguarda le tecnologie complementari – per i vari verticali: dalla manifattura alla pubblica amministrazione, i servizi come pure il settore dei beni culturali.
Nel rapporto si raccomanda la creazione di un Istituto Italiano per l’AI. Di cosa si tratta? Quali vantaggi porterebbe al Paese?
La fondazione dell’Istituto Italiano per l’AI (IIIA) è un tassello fondamentale di questa strategia. Deve però essere affiancato da altre iniziative come la fondazione di una cabina di regia interministeriale che possa sotto molti punti di vista, guidare la trasformazione digitale del Paese e la creazione di una governance nazionale per la scienza e la tecnologia in modo che le decisioni sulla tecnologia stessa, siano guidate da un approccio basato sui dati (c.d. evidence-based decision making) e da esperti provenienti dall’accademia e dall’industria. In questo contesto l’Istituto Italiano per l’AI sarebbe lo strumento per avere una massa critica sufficiente per poter competere nel panorama internazionale. Si propone la fondazione di un istituto che possa svolgere ricerca di alto livello e trasferire efficacemente i prodotti della ricerca sul mercato – similarmente a come già fa IIT secondo la sua missione statutaria – focalizzato esclusivamente sull’ecosistema tecnologico che ruota intorno all’AI. Potrebbe essere un polo attrattivo per tutto il mondo e collaborare, sul modello delle migliori realtà internazionali, con il network nazionale ed europeo di istituzioni e realtà pubbliche e private. L’idea è che questo nuovo istituto che potrebbe prevedere circa 1300 unità di personale, abbia circa un 30% del proprio budget coperto da finanziamenti esterni avendo una vocazione orientata alla ricerca applicata, e il restante coperto dallo Stato. Questa modalità, già adottata da IIT, permette alla ricerca di restare libera ma riuscire ad impattare sul sistema economico nazionale anche sul breve e medio termine. Per fornire un temine di paragone, un istituto di questa dimensione avrebbe la stessa capacità delle iniziative analoghe dei grandi player mondiali, come per esempio Google Deep Mind.
Riuscirà il nostro Paese a recepire le raccomandazioni di questo pool di esperti ed implementare la strategia?
Il successo dell’implementazione di questa strategia dipenderà da molti fattori. In primis, dobbiamo considerare che al momento la strategia è solo “sulla carta” e sarà necessario creare il programma di finanziamento adeguato. La decisione importante che auspichiamo possa venir presa dal Governo è quella effettivamente di dotare il Paese di piani di questo tipo, e poi implementarli con un coordinamento centrale in modo che non si disperdano le risorse in troppi filoni disgiunti. Ripeto, fare massa critica in tutto quello che riguarda l’AI è essenziale.
Se si riuscirà in questo intento e se si provvederà alla realizzazione delle nuove infrastrutture suggerite, credo che l’Italia potrebbe davvero diventare uno dei player nel campo dell’AI non solo a livello europeo, contesto nel quale i diversi stati si stanno coordinando, ma anche a livello globale. Come Direttore Scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia oltre ad aver fatto parte del pool di esperti, potrò contribuire con il know-how specifico dei nostri ricercatori e sul modello di sviluppo dell’AI contando su una visione internazionale e di largo respiro sull’argomento che IIT ha costruito negli anni, anche grazie alla creazione di progetti come per esempio iCub – ad oggi è la piattaforma più diffusa al mondo per lo studio dell’AI applicata alla robotica umanoide.