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L’ANA Avatar XPrize e la next generation mobility

Da Los Angeles

All’interno di un’elegante struttura in cemento e vetro vicino alla marina di Long Beach, in California, ricercatori e ricercatrici da 11 nazioni del mondo hanno smontato, aggiustato, perfezionato, verificato i sistemi di avatar robotici da loro ideati per circa una settimana, dall’1 al 5 novembre, risolvendo imprevisti dell’ultimo minuto, dormendo poche ore a notte e bevendo caffè americano. Per chi ha in mente i ricordi della DARPA Robotics Challenge del 2015, questa gara, l’ANA Avatar XPrize, è apparsa come una figlia minore verso cui si hanno avuto aspettative più concrete, meno incantate dal fascino della novità. Una competizione che per il pubblico ha avuto quasi il sapore dell’ordinario. “Qui a Los Angeles vediamo spesso Coco, il robot di consegne a domicilio; è un carrello automatizzato che è in grado di attraversare anche la strada”, mi racconta una conoscente italiana che vive lì. Mentre una famiglia statunitense, nell’avvicinarsi a uno dei garage IIT, emozionata esordisce “Questo è iCub, guardiamo tanti video di iCub su youtube, possiamo fargli una foto?”. Gli stessi team di ricerca presenti si conoscono tra loro, si apprezzano a vicenda, si confrontano quando hanno gli stessi problemi di connettività con la rete wireless che dovrà sostenerli nella gara. L’eccezionalità sta, però, in come questa gara è nata ed è stata formulata, ovvero ottenere degli avatar fisici efficienti utilizzabili da chiunque li voglia usare.

Organizzata dalla società non-profit statunitense XPrize, la competizione è stata finanziata dalla compagnia aerea giapponese All Nippon Airways (ANA). “ANA iniziò la sua storia come una piccola venture company nel 1952 con l’obiettivo di connettere il mondo”, ha raccontato Kevin Kajitani, co-fondatore e chief operating officer di Avatarin Inc., una startup di ANA Holdings Inc, durante il media briefing a Long Beach. “Consideriamo i sistemi avatar come la mobilità di nuova generazione, quando non si cercherà più un aeroplano per spostarsi, ma basterà saltare dentro all’avatar per trovarsi immediatamente dove si vuole andare. Crediamo che sia una forma di mobilità più istantanea, inclusiva e sostenibile”. I loro dati, infatti, mostrano che solo il 6% della popolazione mondiale possa oggi permettersi un viaggio di lunga portata, gli avatar darebbero una possibilità di spostamento in più ai cittadini del mondo. Nel 2018 ANA mette, così, a disposizione 10 milioni di dollari come premio per una gara che richiami l’attenzione dei migliori gruppi robotici al mondo.

Quattro anni fa alla competizione rispondono 99 squadre; solo 37 vengono selezionate per accedere nel 2021 alle semifinali, le quali, a causa delle restrizioni dovute alla pandemia, si svolgono in parte in modo fisico a Miami, in Florida, e in parte con i giudici di gara in viaggio nei restanti laboratori per testare e valutare direttamente le tecnologie. “Volevamo essere sicuri di avere il meglio del meglio dei sistemi esistenti”, ha dichiarato David Locke, Direttore del programma ANA Avatar XPrize. “Alcune squadre si sono unite per fare convergere le competenze, così da arrivare ad avere 17 team nella gara finale”.

Tra le 17 squadre che hanno gareggiato per aggiudicarsi i 3 primi posti milionari, troviamo le 2 squadre di IIT (iCub e AlterEgo), unici italiani e unici espressi dallo stesso istituto, e le squadre provenienti da Germania, Francia, Paesi Bassi e Regno Unito, le quali insieme fanno totalizzare al continente europeo il maggiore numero (6) di squadre presenti, seguite da Stati Uniti (5), Corea del Sud (2), Giappone (2), Singapore (1) e Messico (1). Ogni squadra ha mostrato un sistema avatar fisico completamente originale, la maggior parte dei quali movimentati su ruote, con poche eccezioni su gambe – il nostro iCub, il giapponese Janus, il sud coreano SNU che per l’occasione è stato montato su un carrello, e l’americano Hubo che è però munito anche di ruote. Pure i sistemi di controllo dell’avatar, che il regolamento di gara richiedeva essere il più possibile immersivi e in grado di fare sentire l’operatore “trasportato” nel robot, sono diversi: visori di realtà aumentata coniugati a tute sensorizzate (iCub) o a manipolatori con ritorno aptico (es. AlterEgo), o a braccia robotiche con esoscheletri per mani (es. NimbRo), o a strutture simili a esoscheletri per braccia riccamente cablati. Ciascuno ha rappresentato un’unica integrazione di robotica, intelligenza artificiale, sensoristica avanzata e tecnologia aptica. Per molti gruppi la gara è servita come test per sistemi robotici già in sviluppo, per altri è stata l’occasione per costruire sistemi specifici per la competizione e tentare la vittoria. Tanti team provengono da centri di ricerca, altri sono aziende start-up (es. i francesi Pollen Robotics).

Il concept del campo di gara è basato sull’idea che i robot avatar sono stati mandati su un pianeta X per recuperare alcune rocce, importanti fonti di energia da portare sulla Terra; gli avatar devono riferire a un capo missione e svolgere 10 compiti”, ha spiegato Locke, sottolineando come l’esplorazione spaziale potrebbe essere una possibile applicazione delle nuove tecnologie. Non a caso come password per il wifi l’organizzazione ha scelto la frase “anywhere is possible”. E proprio per rendere anche ogni cosa possibile, gli avatar, inoltre, devono essere guidati da un operatore che è stato istruito solo nell’ora precedente alla gara.

Il senso spiazzante di questa scelta lo ha riassunto molto bene il giornalista di IEEE Spectrum Evan Ackerman in un post: “le squadre in gara stanno lavorando sul loro sistema da anni. Hanno un’ora per insegnare a un completo sconosciuto come usarlo e poi sono costretti a guardarlo, senza poterlo aiutare, per 25 minuti, mentre vince o perde per loro milioni di dollari”.

L’operatore che ha guidato il robot AlterEgo nel primo giorno di test, quello che garantiva la qualifica alle sole prime 12 squadre, non è stato in grado di afferrare le batterie a forma di bottiglia (compito numero 6); l’operatore del giorno dopo, non solo ha afferrato le bottiglie in modo saldo, ma ha condotto il robot fino all’impugnare e accendere il trapano (compito 7), avanzamento che ha permesso al robot di posizionarsi all’ottavo posto della classifica finale. Per il robot iCub la storia è stata più sfortunata: l’operatore non è riuscito a calcolare le misure giuste per attraversare l’ampio arco che conduceva al percorso di 20 metri (compito 4), causando la caduta del robot e costringendolo al quattordicesimo posto, primo tra gli umanoidi con gambe. Anche per il team che ha vinto il primo premio, i tedeschi dell’Università di Bonn, con il performante robot NimbRo, il cambio di operatore ha fatto una leggera differenza: il primo giorno il tempo di esecuzione dei 10 compiti è stato di 8 minuti e 12 secondi, nel secondo di 5 minuti e 50 secondi – con l’aggiunta in conclusione di un balletto di gioia.

Alla fine la robotica europea ha incassato due primi premi – il primo al team tedesco (5 milioni), il secondo a quello francese (2 milioni) – mentre il terzo è andato alla Northeastern University di Boston (1 milione). Ora non ci resta che attendere e vedere dove nascerà la mobilità di ultima generazione che potremo usare tutti comodamente da casa.

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