Monica Gori, una protagonista del percorso formativo per favorire carriere STEM per docenti e studenti della scuola primaria e secondaria
STEM è un acronimo utilizzato per definire quattro diverse discipline: Science, Technology, Engineering, Mathematics. Fondazione Bracco, DScuola e 100esperte hanno organizzato una serie di webinar gratuiti per sensibilizzare le future generazioni sui temi delle nuove tecnologie. Al seminario, tenuto qualche giorno fa, ha partecipato Monica Gori che ha raccontato al folto gruppo di insegnanti collegati il suo percorso professionale nello studio delle neuroscienze nel campo multisensoriale del bambino con e senza disabilità, rappresenta un’esperienza di grande valore scientifico.
Monica, il webinar ha visto un gran numero di adesioni. La scienza sta diventando glamour?
Forse l’interesse risiede, oltre che nei contenuti dei diversi interventi, nella possibilità dei partecipanti di interloquire con i relatori attraverso delle domande. Nel mio panel presentava le sue esperienze professionali anche Simonetta Di Pippo, professoressa di Economia dello Spazio dell’Università Bocconi. Abbiamo raccontato la nostra storia professionale non nascondendo le nostre difficoltà, passaggio importante per formare una solida esperienza da utilizzare per i percorsi formativi che abbiamo cercato di indentificare.
Questo webinar è un’iniziativa che far parte del progetto 100esperte, ce ne puoi parlare?
Il progetto 100esperte vede coinvolte 100 scienziate contro gli stereotipi. Si tratta di un gruppo di ricercatrici del quale faccio parte che ha iniziato questo lavoro qualche anno fa e vuole promuovere le donne nelle professioni. Nell’incontro, anche per contrastare l’idea stereotipata della donna nella scienza, ho illustrato l’evoluzione del mio percorso professionale caratterizzato dalla multidisciplinarietà. Studio arte alle scuole superiori poi mi dedico alla psicologia e successivamente alla robotica, compio il dottorato in tecnologie umanoidi all’università di Genova e inizio a collaborare con IIT.
Le domande dei partecipanti al webinar su quali aspetti hanno insistito?
Gli interrogativi posti da un pubblico formato i gran parte da insegnanti si sono concentrati su alcuni grandi temi, in particolare su come la tecnologia potrà influire su tutte le nostre attività e come tutto ciò si riverbererà sui contenuti formativi che gli insegnanti dovranno proporre. E poi le domande classiche su come sia possibile conciliare un’attività di ricerca di grande valore scientifico con la semplice vita familiare.
Le risposte a questi quesiti le si possono trovare proprio nel binomio donne e scienza, qual è la situazione ad oggi?
Siamo sulla buona strada, ci vuole tempo dobbiamo lavorare affinché il potenziamento quali-quantitativo di questa presenza continui. Se si dovesse tentare di proporre una valutazione siamo al 35% dell’obiettivo, non è male e bisogna continuare nell’attività di sensibilizzazione dei giovani e promozione dei nostri risultati e sostenere iniziative come InspirinGirls, un progetto internazionale del quale faccio parte che ha l’obiettivo di creare nelle ragazze la consapevolezza del proprio talento, liberandole dagli stereotipi di genere che frenano la loro ambizione. Io sono testimonial del progetto e incontro nelle scuole ragazze e ragazzi a cui racconto la mia storia di ricercatrice. Questi interventi sono molto interessanti perché ai giovani viene sottoposto un questionario e dalle loro risposte emergono gli stereotipi che aleggiano attorno alla mia professione. Per esempio, sembra ovvio che abbia frequentato il liceo scientifico che non abbia famiglia e figli. La mia storia smonta questi preconcetti, ho tre figli, ho studiato al liceo artistico e sono giunta all’attività di ricerca passando da diverse esperienze. Tutto questo mi permette di dimostrare a ragazze e ragazzi quanto si possa ottenere partendo da posizioni culturali, sociali diverse. Le particolarità che noi esprimiamo sono il nostro grande vantaggio competitivo. La nostra storia è parte di noi in qualsiasi ambito ma in particolare in quello professionale. Quando nel mio gruppo accolgo un dottorando, prima di parlare del suo progetto mi faccio raccontare la sua storia perché così intuisco i suoi interessi le sue originalità. È questo il percorso che devono costruire anche le donne investendo sulla loro esperienza senza cancellare il loro passato, le loro difficoltà ma utilizzando questo bagaglio per costruire il loro successo.
Un argomento di drammatica attualità riguarda il disagio dei bambini che nasconde, spesso, storie di violenza
Noi lavoriamo tanto sull’apprendimento. È necessario che la scuola si impegni non solo sull’apprendimento cognitivo ma anche su quello emotivo. Gli adolescenti e non solo devono imparare a gestire le loro emozioni. In questo periodo di brutale cambiamento dovuto al COVID, il 40% di bambini tra i nove e i quindici anni anno chiesto aiuto e hanno avuto bisogno di cure psicologiche. La scuola a mio parere dovrebbe essere anche supporto per il bambino, per aiutarlo a guidare le emozioni nella gestione delle relazioni. Si deve fare in modo che il bambino comprenda meglio il suo stato emotivo invitandolo ad esplicitare il disagio che potrebbe avere in famiglia.
Con quali strumenti si possono aiutare questi bambini?
Credo sia necessario un lavoro interdisciplinare che coinvolga professionalità e strutture diverse. Non è questo un impegno che si può condurre in solitaria.
Come procede Il tuo lavoro con i bambini ipo o non vedenti?
Molto bene, continuiamo a ricevere attestati positivi dai genitori dei bambini che seguiamo, dagli insegnanti, dagli ospedali. Ciò è dovuto, ovviamente, al forte coinvolgimento di bambini e genitori in progetti quale Myspace, finanziato da ERC (European Research Council). In questo caso, coinvolgiamo bambini con e senza disabilità visiva a partire dai primi mesi di età in uno studio per conoscere la loro capacità percettiva. Con il progetto iReach Poc ERC, anche questo finanziato dalla Comunità Europea per favorire lo sviluppo commerciale delle idee innovative, useremo per la prima volta un approccio riabilitativo innovativo per l’intervento precoce attraverso la realizzazione di un sistema multisensoriale che aiuti i neonati ipovedenti ad allenare le loro capacità senso-motorie fin dai primi mesi di vita.
Grazie a questi ed altri progetti sono molto soddisfatta, anche perché vedo che si sta formando con me un gruppo di nuovi ricercatori che saranno presto indipendenti e ciò mi fa molto piacere. Sta nascendo da questa esperienza una “scuola” ed è per me motivo di grande orgoglio.