Intervista a Luciano Fadiga coordinatore del Centro Translational Neurophysiology IIT di Ferrara
Luciano, un giorno l’IIT fa capolino tra le rosse torri di Ferrara….
In realtà già prima dell’inizio del lavoro in questo Centro avevamo in corso un’attività scientifica con il dipartimento di robotica di scienza del cervello di IIT diretto da Giulio Sandini al quale mi lega una lunga amicizia. Questa collaborazione ha dato vita all’attuale centro dedicato alla neurofisiologia traslazionale dove si evidenzia la missione di IIT: lavorare alla ricerca anche di base ma con la ferma attenzione all’applicazione. Pensiamo quindi, in termini generali, all’uomo con possibili applicazioni anche nel trattamento delle sue patologie. Lavoriamo su due fronti. Nel primo studiamo come i cervelli comunicano tra di loro in condizioni normali e in condizioni patologiche partendo anche dalla scoperta dei neuroni a specchio esito dei miei studi all’Università di Parma. Il secondo fronte riguarda il versante tecnologico per mettere a punto delle interfacce moderne con tecnologie innovative come l’elettronica organica, attività seguita da Fabio Biscarini. Con queste tecnologie si registrano, attualmente, le reazioni del paziente neurochirurgico. In futuro questi studi potranno anche permettere di impiantare dei sistemi di registrazione in pianta stabile. L’obiettivo di questo impegno è la “lettura del cervello”.
I rapporti tra IIT e Università sono, come in altri casi, improntati alla massima collaborazione. Hai anche tu questa evidenza?
Sì, confermo questa affermazione anche perché io sono un professore universitario, seppur a tempo definito per poter collaborare con IIT. A Ferrara siamo completamente integrati con l’università. Nel nostro centro vi sono delle aree operative e di studio organizzate dall’università, altre gestite da IIT e altre ancora in comune. L’università ci ospita nei suoi locali e ci offre le attività amministrative e con quest’ultima abbiamo messo a punto un corso di dottorato di neuroscienze traslazionali e neuro tecnologie a cui afferiscono tutte le componenti “neuro” dell’ateneo, non solo quindi i neurofisiologi ma anche i neurologi, gli psichiatri, i riabilitatori e i filosofi della scienza, uniti alle cosiddette “scienze dure”: matematica e informatica. Per questo corso IIT offre tre borse di studio, così come l’Università di Ferrara.
Qual è il progetto che ti sta più a cuore?
La risposta nasce da una riflessione. Sono diffusi gli interventi ad ogni livello sul tema dell’interfaccia cervello-macchina. Se continuiamo a parlarne senza poi dare risultati importanti è perché forse dedichiamo pensieri e risorse a soluzioni poco utili. Pensiamo ad una persona immobilizzata in un letto. Siamo certi che avere un braccio robotico che gli offre una bibita sia un’esigenza fondamentale? Credo che sarebbe molto più pratico se questa persona potesse comunicare chiedendo a qualcuno di farsi portare una bibita piuttosto di un’altra. Noi abbiamo bisogno di esprimerci in quanto esseri umani il che significa passioni, affetto, creatività. Se questa persona con gravi infermità motorie volesse scrivere una poesia, una lettera il braccio robotico non sarebbe in grado di aiutarlo. Noi quindi stiamo studiando soluzioni per poter riuscire, un giorno, ad installare dei sensori sul cervello di pazienti impossibilitati al movimento, per esempio coloro che sono colpiti dalla locked-in syndrom, persone perfettamente coscienti ma che non muovono nemmeno un muscolo. Il nostro studio è mirato alla comprensione dei messaggi che giungono dal cervello di queste persone. Il nostro lavoro, svolto anche in collaborazione con la neurochirurgia dell’ospedale di Udine, sta offrendo degli spunti interessanti. Abbiamo recentemente pubblicato un lavoro attraverso il quale dimostriamo quando un umano inizia a comunicare con le parole. Attualmente lavoriamo su aspetti fonologici. Non pensiamo di codificare le parole ma lavoriamo sulle sillabe.
L’incomprensione spesso in malafede di questi lavori viene spesso segnalata come il tentativo di mettere l’uomo in totale balia delle macchine. Qual è il tuo pensiero?
Credo che siano queste delle idee oscurantiste e fuori dal tempo. Dobbiamo invece continuare a studiare l’uomo e le sue reazioni per cercare di mettere a punto delle opzioni che migliorino la qualità della vita o che permettano a chi ha gravi problemi di convivere con il male in modo dignitoso. Con il supporto economico del nostro Direttore Scientifico abbiamo bandito una posizione di post doc per reclutare un giovane che attraverso tecniche moderne, machine learning, ecc., riesca a definire come un’artista può evocare una rappresentazione cerebrale in chi guarda un’opera d’arte. Il quesito è: perché un fiore dipinto da Monet è più evocativo della fotografia di un fiore? Perché qualcuno, inconsapevolmente nella maggior parte dei casi, riesce a toccare le corde giuste nel cervello e creare delle reazioni. Questa ricerca ha implicazioni enormi per quanto riguarda poi le applicazioni. Gli studi in questo ambito sono pochi e noi in passato abbiamo già lavorato in qualcosa di simile in ambito musicale. Con il Maestro Muti abbiamo studiato come si scambiano le rappresentazioni tra il direttore e la sua orchestra.
Il tuo lavoro e quello dei tuoi ricercatori si sviluppa su terreni inesplorati che potranno produrre grandi benefici per il genere umano. A fronte di tutto ciò come spieghi l’avversione verso la scienza che si è palesata con la campagna di vaccinazione anticovid?
Si tratta di un fenomeno che abbiamo già conosciuto. Nel dopoguerra Reich scrisse “Psicologia di massa del fascismo”. Lo studioso si chiedeva come i noti dittatori dell’epoca fossero riusciti a condizionare tante persone per poi dare la stura a crimini efferati. Ecco, oggi, aldilà di posizioni ascientifiche e negazionistiche mi spaventa la violenza che queste reazioni manifestano. Mi sembra che oltre il tema del sì o no alle vaccinazioni vi sia la volontà di cavalcare il malcontento per manovrare gruppi di persone con fini che non sono certo quelli oggi dichiarati.
Tornando alla tua attività scientifica con IIT cosa può essere migliorabile in questo rapporto?
Chiederei meno burocrazia che frena anche l’inserimento di ricercatori nel nostro organico. Pur capendo alcune motivazioni che impongono certe regole serve elasticità nelle interpretazioni. Dobbiamo trovare una modalità che concili da una parte la saturazione che si sta verificando in IIT con la possibilità di trattenere i migliori ricercatori favorendo un percorso di crescita. Uno dei principi fondanti di IIT fu “chi lavora bene rimane” dobbiamo mantenerlo.
Dopo la sei giorni scientifica organizzata a Morego cosa ti è rimasto?
Ho avuto la percezione di far parte di un ambiente straordinario. Nel nostro Paese non esiste niente di simile. Far raccontare da tutti i ricercatori i loro progetti ascoltati da tutti i colleghi è stata un’ottima idea di Giorgio. Ci siamo resi conto di essere una grande famiglia con figli straordinari. Dobbiamo, a mio modo di vedere, sostenere lo spirito di comunità e lavorare un modo trasversale per fare in modo che le diverse componenti scientifiche collaborino ancora di più tra loro.