Intervista a Mario Caironi, coordinatore della linea di ricerca Printed and Molecular Electronics di IIT
Mario Caironi coordina il team di ricercatori del Printed and Molecular Electronics Laboratory nel centro IIT di Milano. Nei giorni scorsi la rivista Advanced Materials ha descritto lo studio del prototipo della prima batteria ricaricabile e commestibile al mondo realizzata da Caironi e dal suo gruppo di lavoro. La pubblicazione delle informazioni sul prototipo ha creato una diffusa attenzione mediatica in Italia e all’estero, confermando ancora una volta il valore degli studi realizzati dai ricercatori di IIT.
Mario, con il tuo team hai messo a punto la prima batteria ricaricabile e commestibile al mondo. Quali sono le componenti fondamentali di questo prototipo e che effetto fa realizzare qualcosa che ci fa dire “è il primo al mondo”?
Sicuramente è una grande soddisfazione perché siamo riusciti a dare risposta alla domanda “è possibile realizzare questo prototipo?”. Se avessimo raggiunto questo risultato era certo che saremmo stati i primi al mondo. Abbiamo centrato l’obiettivo, e oltre al primato siamo riusciti a concretizzare un’idea che inizialmente non sapevamo quale forma potesse assumere.
Questa batteria è un prototipo che fa parte di tutta una serie di nuovi prodotti del promettente campo della ricerca: l’elettronica commestibile. Di che cosa si tratta?
I sistemi elettronici commestibili saranno abilitanti del nostro futuro. L’idea è quella di abilitare una serie di dispositivi che possano essere ingeriti senza alcun effetto collaterale, perché processati dal nostro corpo così come si digerisce il cibo. Potremo dotare questi dispositivi di sensori, realizzati anch’essi con materiali commestibili, che possano rilevare dati importanti nel nostro corpo, dalla temperatura al livello del ph nello stomaco o nell’intestino e poi divenire anche dei segnalatori di eventuali patologie e controllare il nostro stato generale di salute. Inoltre, l’elettronica commestibile può essere utilizzata anche a contatto diretto con il cibo, e quindi sfruttata per valutarne le caratteristiche, una tra le tante lo stato di conservazione.
Dal punto di vista tecnologico questi dispositivi hanno bisogno di circuiti, sensori, strategie di comunicazione ed energia. La batteria è essenziale per alimentare questi sistemi. Stiamo lavorando sulla realizzazione di pillole che, alimentate dalla nostra batteria, possano inviare delle informazioni sul nostro stato di salute all’esterno. In particolare, stiamo mettendo a punto una piattaforma che ci permetterà di monitorare il rilascio dei farmaci che assumiamo, ricevendo informazioni sull’effettiva ingestione del farmaco, sul momento in cui una pillola raggiunge per esempio l’intestino e sulla tempistica di rilascio del principio attivo.
Credo che una batteria commestibile possa creare qualche problema al consumatore finale che ingerendola tema quantomeno “di prendere la scossa”. Sicuramente avete ovviato a questo problema, ma come?
Il voltaggio della batteria è talmente basso che non può creare nessun problema. Peraltro, è poco noto, ma il nostro corpo è percorso da segnali elettrici e quindi quello prodotto dalla batteria è assolutamente compatibile con le nostre normali funzioni.
Altra considerazione riguarda invece una reazione negativa che potrebbe avere una persona pensando che vogliamo che ingerisca un microchip nel suo corpo, cosa che, peraltro, avviene già con l’elettronica ingeribile. In quel caso il dispositivo viene rilasciato dal nostro corpo nello stesso stato con il quale è stato assunto, creando possibili problemi se il dispositivo rimane bloccato nel tratto digerente, o di smaltimento se finisce nelle acque nere.
La prospettiva del nostro lavoro si fonda invece su dispositivi derivati dal cibo e quindi può essere degradato dal nostro corpo. Il termine degradato può essere declinato in varie soluzioni: digerito, metabolizzato. In sintesi, non stiamo utilizzando l’elettronica per monitorare le nostre funzioni interne ma stiamo utilizzando le proprietà elettroniche ed elettriche del cibo per ricostruire, pezzo dopo pezzo, i componenti dell’elettronica. Infatti, gli elementi essenziali della batteria che permettono di creare il voltaggio sono due molecole commestibili, la riboflavina e la quercetina, che noi assumiamo già in grande quantità.
Ora il tuo lavoro si appresta a decollare verso il mercato. In quali comparti merceologici potremmo trovare la tua batteria?
La batteria è stata pensata con una finalità applicativa. Un ambito molto promettente è quello della pillola ingeribile per la quale è possibile una applicazione che vede un piano di trasferimento tecnologico verso il mercato. I tempi saranno, però, lunghi perché, oltre ad un ulteriore e importante sviluppo tecnico, trattandosi di un presidio medico chirurgico sono necessarie diverse autorizzazioni. Io credo molto in questa prospettiva anche perché vi è una forte richiesta dal mercato. Altra area di grande interesse è quella del monitoraggio del cibo che ingeriamo e del quale è estremamente importante conoscerne le caratteristiche dalle temperature, alla conservazione, ai tempi di digestione e assimilazione.
Il tuo lavoro può essere ascritto ad esempio di economia circolare?
Certamente sì, perché noi utilizziamo, per creare le nostre batterie, delle molecole che possiamo estrarre per esempio dagli scarti di cibo, come le verdure. Stiamo già attivando collaborazioni in questa direzione, che renderà la nostra elettronica ancora più sostenibile.
L’alimentazione a batteria delle auto, una delle modalità oggi tra le più diffuse per ridurre l’inquinamento, produce notevoli problemi di smaltimento e quindi di nuovo inquinamento. La tua batteria può avere uno sviluppo anche nel campo dell’automotive?
No, allo stato attuale una batteria commestibile non può avere capacità tali da far funzionare un’auto. La nostra batteria è stata concepita per alimentare sistemi micro. Abbiamo però mostrato come sia possibile realizzare una batteria con materiali a bassissimo impatto ambientale, e questi risultati pensiamo possano essere sfruttati e sviluppati in diverse direzioni da tutti coloro che stanno lavorando su ricerche per la realizzazione di batterie sostenibili.
Il tuo progetto ha ottenuto il supporto dell’European Research Council. Quanto il tema dei finanziamenti (scarsi) nel nostro Paese è ostacolo allo sviluppo di ricerche. È solo un problema economico o anche strutturale e organizzativo?
La risposta è complessa. In termini assoluti il nostro Paese si dovrebbe adeguare ai parametri dei finanziamenti che in altri Paesi sostengono la ricerca. Il punto di partenza per sviluppare questa analisi è stabilire la quantità totale di risorse che vengono messe a disposizione della ricerca. Noi abbiamo il vantaggio di far parte della Comunità Europea che ci permette di partecipare a bandi programmati. Ovviamente, non è scontato vincerli ma sappiamo, seguendo il loro calendario, quando verranno proposti e di conseguenza programmare la nostra attività. A livello nazionale i bandi non seguono un programma stabile e ciò non permette di organizzarsi per partecipare e ottenere dei finanziamenti.
Quali sono le motivazioni che un giovane oggi può avere per intraprendere il lavoro, la carriera, nel mondo della ricerca?
La scarsa disponibilità di risorse condiziona anche il reclutamento di giovani ricercatori. Oltre l’aspetto economico un giovane deve essere motivato dalla conoscenza delle ricerche che può sviluppare con noi. Credo sia molto positivo e gratificante condividere quello che inizialmente è un sogno e che giorno dopo giorno assume concretezza fino a giungere al risultato finale per poter essere protagonisti di quei mutamenti, in certi casi fortunati, che la scienza regala alla società. La nostra è una professione bellissima, esaltante e ricca di soddisfazioni. Ai giovani che hanno il privilegio di far parte del grande mondo della ricerca non può però mancare il sostegno economico che permetta loro di lavorare con serenità.