Intervista ad Alberto Diaspro, Direttore di Nanofisica in IIT e professore Ordinario di Fisica dell’Università di Genova
La divulgazione scientifica è sempre più importante in una società che evolve rapidamente e si deve adattare ai grandi cambiamenti che stiamo vivendo e vivremo nell’ambito di questa generazione. Abbiamo incontrato Alberto Diaspro, Direttore di Nanofisica in IIT e Professore Ordinario di Fisica dell’Università di Genova che, oltre ad essere uno scienziato di rilevanza internazionale, è da sempre attivo nel campo della divulgazione scientifica e, in quest’ambito, presidente del consiglio scientifico del Festival della Scienza.
Qual è l’importanza della divulgazione scientifica nella vita di uno scienziato?La divulgazione scientifica è un elemento importante per chiunque faccia scienza o ricerca. Raccontare e portare ad altri quello che si sta facendo è fondamentale per due motivi: il primo è la sensibilizzazione dei non addetti ai lavori a quelle che sono le tematiche di ricerca più attuali e gli sviluppi delle tecnologie che verranno; il secondo è la possibilità che l’attività di divulgazione offre allo scienziato: una rilettura critica di ciò che fa.
Generalmente qual è il target delle tue attività di divulgazione?Io ho sempre scelto un livello molto popolare: persone che nella quotidianità non si occupano di scienza e non leggono articoli scientifici ma sono attratte dagli argomenti alla frontiera della conoscenza. Svolgo anche attività rivolte alle scuole e devo dire che i ragazzi delle scuole secondarie di secondo grado possono anche essere fonte di nuove idee, ma sono i bambini tra gli 8 e i 12 anni che pongono le domande più interessanti e con loro riesci davvero a capire se sei in grado di parlare in modo semplice ma rigoroso di quello che stai facendo.
Raccontaci qualcuna delle tue iniziative nel campo della divulgazione scientifica.Per quanto riguarda gli eventi, tra i percorsi un po’ più formalizzati di divulgazione scientifica, è interessante la recente iniziativa “Scienza condivisa” che si è svolta a Palazzo Ducale. Questa occasione è un momento durante il quale, invitando degli scienziati di livello internazionale ad una discussione aperta con il pubblico, si riesce a portare alle persone non solo la ricerca e i suoi ultimi sviluppi ma anche il pensiero e le sue evoluzioni in un società che evolve rapidamente. È importante infatti far arrivare il messaggio che la ricerca ha un forte risvolto sociale che influenza, e influenzerà sempre di più, la nostra società. Un’altra interessante iniziativa è “Pop Microscopy” la mostra che attualmente si trova al Museo di Storia Naturale A. Doria a Genova ma che è stata anche esportata negli Stati Uniti grazie alla collaborazione con Ilaria Capua. Questa mostra unisce la bellezza delle immagini del micro e nanomondo ai metodi di microscopia di frontiera che sono stati necessari per ottenerle e rappresenta un mezzo interessante di divulgazione, possiamo considerarla come un “cavallo di Troia” per avvicinare alla scienza. Parole, musica e immagini esercitano una “magica” forza attrattiva verso il “visitatore” e lo avvicinano a ciò che si nasconde dietro alla realizzazione dell’ ”opera” ottenuta grazie alla scienza e alla tecnologia e alla motivazione sociale che muove ricercatrici e ricercatori.
Tu insegni anche in Università e ti confronti quotidianamente con quelli che saranno gli scienziati della prossima generazione. Esiste una formazione nel campo della divulgazione del proprio lavoro?A parte dei corsi specifici universitari in cui ti insegnano ad esporre quello che fai ai tuoi pari non c’è ancora questa idea di mettersi in gioco con delle persone che non gravitano nel proprio ambito di lavoro. A volte tra studenti, professori e ricercatori tendiamo a parlare in un gergo che ci aiuta poco perché ci fa dimenticare qual era l’essenza delle parole che stiamo usando o della comunicazione tra di noi. Comunque in alcuni casi credo non sia facile, la parte di divulgazione ha a che fare anche con la propria propensione e con il proprio carattere, non è detto che una persona che non riesca a farlo non abbia comunque padronanza dell’argomento. L’esempio più eclatante lo osservo in Università: alcuni studenti rendono benissimo negli scritti altri agli orali. Come dicevo credo sia un aspetto molto legato al proprio modo di essere. Poi tutto si può imparare lavorando sodo.
Per gli eventi di cui sei curatore selezioni attentamente speaker che abbiamo un elevata competenza scientifica e una spiccata dote comunicativa in forma orale.Si, tutte le persone coinvolte devono avere entrambe le qualità ma poi le esprimono in modo diverso. A Palazzo Ducale ad esempio abbiamo avuto Ada Yonath, Premio Nobel per la Chimica nel 2009, che pur avendo tenuto la conferenza in inglese con l’ausilio di un traduttore ha sedotto una platea di 700 persone che l’avrebbero ascoltata per ore; Samatha Cristoforetti che è stata eccezionale nel variare il registro comunicativo a seconda del pubblico di fronte a lei. Recentemente, Ilaria Capua e Mario Tozzi hanno tenuto le persone in uno stato di attenzione non usuale per la sua durata. Una delle chiavi credo sia raccontare qualcosa che effettivamente si fa o che si è realmente vissuto. Poi esistono anche i cosiddetti “unicorni” della divulgazione, come Piero Angela che riescono a farsi vettori del lavoro di altri con la stessa passione e lo stesso trasporto. In questo caso però entra in gioco la preparazione a 360 gradi, che vuol dire conoscere strumenti e modalità di comunicazione diversi, utilizzati in contesti non scientifici e saperli applicare sapientemente.
Come si fa a distinguere tra un bravo scienziato in grado di divulgare o un bravo divulgatore ma pessimo scienziato che può fornire anche informazioni scorrette?È una domanda che mi pongo spesso. A volte il pubblico non ha un’arma per capire se la persona è un millantatore o in buona fede. La seduzione porta su sentieri a volte irrazionali. Si potrebbe insistere sul pubblico chiedendo al divulgatore di turno ogni volta che fa un’affermazione di mostrarne fonti affidabili ed accessibili a tutti in modo da non dare alibi. Purtroppo, ci siamo abituati a leggere i titoli dei giornali e al massimo quelle due righe di sottotitolo ed estrarne già delle conclusioni. Ci vorrebbero interventi formativi a partire dai primissimi anni di scuola per aver una società con più strumenti. Il metodo scientifico è importante ma anche la conoscenza di altri linguaggi e modalità, insomma l’unica vera arma che chi ascolta ha in mano è la propria cultura che sia scientifica o umanistica, oppure, ancora meglio, una armoniosa unione delle due. Certe materie come il greco, la fisica quantistica, il latino, la matematica e l’elettronica aprono la mente e dovrebbero essere studiate da tutti. Tutti dovrebbero convincersi che non esistoni sconti alla formazione del proprio bagaglio culturale e che “i nodi” vengono davvero al pettine. Per comprendere i velocissimi avanzamenti tecnologici penso che lo strumento fondamentale sia il dotarsi di una solida preprazione di base, questo rende flessibili a comprendere le novità.
Recentemente la trasmissione Vita da ricercatore, in onda su Rai Scuola e condotta da Davide Coero Borga, ha dedicato una puntata a scoprire la vita fuori dai laboratori e dalle aule universitarie di Alberto Diaspro svelando passioni e passatempi dello scienziato divulgatore. (link all’episodio 15 di Vita da ricercatore).