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L’inclusione sociale passa soprattutto dalla pratica dello sport

Per la rubrica “Invisibili o Supereroi?” arrivata alla quarta puntata abbiamo intervistato Francesco Bocciardo, un giovane campione di nuoto paralimpico che vive una vita normalissima tra allenamenti, lavoro e amici

Nato con una Diplegia Spastica, una patologia che gli impedisce il movimento di entrambe le gambe. Da bambino si avvicina al nuoto, che vale come terapia “la passione per il nuoto è nata grazie agli sforzi dei miei genitori, in particolare mio padre, che fin dai 3-4 anni, su consiglio della mia fisioterapia mi ha fatto fare sport”; da quel momento in avanti ha scelto di coltivare la sua passione a livello agonistico.  Molto spesso, infatti, praticare sport può essere un motivo per superare certi limiti e scoprire i propri pregi e difetti, come il nuoto per Francesco.

Atleta in tre paralimpiadi ed altrettante competizioni europee e mondiali, Francesco ci spiega che la chiave del successo sta nel lavoro costante ed avere un team di professionisti in grado di supportarlo e valorizzarlo. “La preparazione deve essere completa, sia dal punto di vista fisico, atletico, mentale e nutrizionale; durante le gare più importanti bisogna stare attenti, ascoltare il proprio corpo e ripensare alle 3-4 settimane precedenti in cui lo scarico è fondamentale”.

Come tutte le persone che praticano sport, Francesco ha una vita scandita tra allenamenti, vita privata e lavoro: “la mia giornata tipo inizia alle 5:30 o alle 6:00 di mattina, a seconda della disponibilità della vasca. Alle 6:30 o alle 7:00 sono in acqua, dalla quale esco solitamente un paio di ore dopo per andare al lavoro. Tornato a casa trovo ad accogliermi la mia ragazza Camilla, andiamo a dormire e la giornata ricomincia. Nel weekend, se non sono impegnato con gare o altro, esco con gli amici oppure mi godo un weekend da qualche parte”, racconta.

Quasi tutti gli sport paralimpici hanno in comune la classificazione degli atleti per rendere eque le competizioni sportive; nel caso del nuoto ci sono tre tipi di classi in base alle varie tipologie di disabilità, i quali vengono assegnati a seguito di una visita medica e di vari test in vasca. Ad ogni atleta viene data così una classe provvisoria che può essere confermata o cambiata al termine delle gare. Le tre classi o classificazioni funzionali sono: s1/s10 disabilità fisiche, s11/s13 disabilità visive, s14 disabilità intellettivo-relazionali.

L’inclusione sociale passa soprattutto dalla pratica dello sport, nel caso di Francesco è il nuoto, uno sport che in qualche modo è molto più simile a quello dei normodotati perché non ha bisogno di particolari ausili o tecnologie. Per questo gli abbiamo chiesto di regalare un messaggio a giovani con o senza disabilità che si affacciano al mondo dello sport: “Il consiglio che mi sento di dare a un ragazzo, con disabilità o no, è quello di darsi la possibilità di mettersi in gioco. Lo sport ti cambia la vita, con prospettive che non ci si può nemmeno immaginare coinvolgendo oltre chi lo pratica anche chi gli sta accanto.”.

Nella conversazione gli confidiamo che da persona con disabilità, che pratica soprattutto il nuoto, in un’epoca dove lo sport per persone con disabilità era ancora visto come un modello riabilitativo e non come sport professionale, noto che con le Paralimpiadi di Londra nel 2012 ci sia stato un cambiamento dal punto di vista del linguaggio comunicativo non solo dello sport, ma anche nella vita delle persone con disabilità. “Le Paralimpiadi Estive di Londra 2012 sono state per la prima volta trasmesse sulla Rai in Italia e questo stato veramente un cambio dal punto di vista qualitativo, per la prima volta si sono iniziate a parlare in Italia non come sport riabilitativo, ma sport professionale”.

Le riflessioni di Francesco fanno comunque meditare sul fatto che ci sono ancora troppi stereotipi sul mondo della disabilità. “Il primo cambiamento da compiere è di tipo sociale; si pensa spesso che la persona con disabilità debba essere soltanto aiutata o accudita, mentre, al contrario, una persona con disabilità deve fare tutto quello che può”, ed aggiunge “bisogna essere dei rivoluzionari in qualche caso, ossia l’idea che i soggetti che devono essere aiutati o accuditi possono essere indipendenti. Ciò è un atteggiamento innovativo e in qualche caso straordinario”.

Affinché questo possa accadere Francesco ci spiega che bisognerebbe avviare una serie di politiche sull’abbattimento delle barriere per permette a tutte le persone di praticare sport. “Non vuol dire che tutte le persone con disabilità devono fare sport agonistico, ma lo sport può diventare uno strumento per essere più indipendenti ed inseriti nella società”.

L’autonomia di una persona con disabilità dipende molto spesso dalla ricerca scientifica e dallo sviluppo tecnologico, che giocano un ruolo fondamentale nella vita delle persone con disabilità. “Oggi ci sono sempre più sport praticati dai diversamente abili anche grazie al progresso tecnologico. Le nuove tecnologie permettono di far avere una vita più indipendente a tutti, in particolare alle persone con disabilità che possono raggiungere obiettivi impensabili anche solo qualche anno fa.”.

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