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Monica Gori: «Voglio vedere i bambini felici»

 L’inclusione sociale dei più piccoli attraverso neuroscienze e robotica


L’inclusione sociale è uno dei valori che anima il lavoro di Monica Gori, responsabile del gruppo di ricerca U-VIP dell’IIT, dove l’acronimo sta per Unit for Visually Impaired People, ovvero un team che studia e sviluppa tecnologie per le persone che hanno il senso della vista compromesso. Gori, infatti, è convinta che le neuroscienze, insieme alla tecnologia, possano dare gli strumenti utili alle persone con disabilità per migliorare la qualità della loro vita. Il braccialetto sonoro ABBI, per esempio, come descritto su Oggiscienza, è nato per consentire ai bambini non vedenti di migliorare la percezione spaziale, sociale e motoria fin dai primi anni di vita.

«Per me l’inclusione sociale significa abbattere le barriere e permettere ai bambini di sentirsi parte della società, a partire dall’ambiente scolastico, fino all’interazione quotidiana con gli altri – dice Gori – è fondamentale potere dare un supporto che permetta a tutte le persone di sentirsi parte dello stesso ecosistema nonostante la presenza di disabilità o di problematiche legate allo sviluppo. Se c’è inclusione, allora ci sono bambini felici di essere parte della società».

Lo studio delle disabilità, infatti, è parte di uno studio molto più generale di quelle che sono le diversità nell’essere umano. Diversità che sono più evidenti, sebbene spesso trascurate, nell’infanzia. «Il mio gruppo all’IIT ha condotto studi psicofisici e psicologici dello sviluppo del bambino, i quali hanno dimostrato una diversa situazione sensoriale – spiega Monica Gori – prima degli 8-10 anni i bambini non possiedono la capacità di integrare le modalità sensoriali, e così utilizzano un canale sensoriale preferito per apprendere determinati concetti, come per esempio la visione per lo spazio, l’udito per il tempo e il tatto per le dimensioni dell’oggetto».

Sulla base di queste scoperte, Gori ha proposto nel 2017 un progetto alla commissione europea dal titolo WeDraw per lo studio e l’individuazione di un nuovo metodo di insegnamento della matematica, la quale è una disciplina per cui la vista è tradizionalmente il senso principalmente usato. Nel nuovo metodo tutti i sensi si sarebbero dovuti considerare. WeDraw è stato selezionato come primo dalla Commissione europea su 92 proposte presentate all’interno della call dedicata alle tecnologie digitali per l’istruzione. Dopo due anni di lavoro, il metodo è stato realizzato coinvolgendo oltre 200 insegnanti in Italia, Regno Unito e Irlanda, e oltre 100 bambini.

«WeDraw ci ha dato la possibilità di definire un nuovo approccio pedagogico interattivo e attento alle reali abilità dei bambini. Le tecnologie di WeDraw consentono agli insegnanti di progettare attività educative il più possibile adatte alle esigenze specifiche dei loro studenti, anche quando sono presenti disabilità, come quella visiva», spiega la coordinatrice.

Grazie al metodo WeDraw sono stati sviluppati quattro giochi educativi, in cui angoli, frazioni, trasformazioni di oggetti tridimensionali sono associati a suoni, vibrazioni e movimenti del corpo. I ricercatori hanno dimostrando che il loro uso può migliorare la comprensione dei concetti matematici nei bambini di età dai 6 ai 10 anni.

I giochi educativi realizzati da WeDraw sono: “RobotAngle”, che affronta il concetto di angolo e permette di giocare con le loro operazioni, e sarà presto disponibile in Italia attraverso un’app da utilizzare con una Lavagna interattiva multimediale (LIM) e liberamente fruibile sul sito della casa editrice De Agostini Scuola; “Cartesian Garden”, dedicato alle caratteristiche del piano cartesiano; “Spaceshape” è dedicato agli oggetti bidimensionali e tridimensionali e alla loro rotazione all’interno di uno spazio virtuale; un quarto gioco è dedicato alle frazioni ed è stato provato da numerosi bambini durante eventi pubblici come il Festival della Scienza di Genova e BergamoScienza.

I ricercatori hanno validato le tecnologie sviluppate in WeDraw a livello psicofisico e pedagogico, sviluppando test specifici con bambini della scuola primaria (dai 6 ai 10 anni di età) e anche con bambini con disabilità visiva al fine di valutare le loro abilità motorie, aritmetiche e geometriche. E’ risultato, ad esempio, che il gioco Spaceshape migliora la comprensione delle frazioni e delle trasformazioni dal 2D al 3D particolarmente nei bambini di 7 anni. Per i bambini disabili visivi ha rappresentato una nuova opportunità per imparare, divertendosi, concetti astratti attraverso l’uso dei sensi diversi dalla vista, in particolare tatto e udito.

I risultati del progetto weDraw potranno avere un impatto molto positivo sulle tecniche e i processi di insegnamento e apprendimento nelle scuole, poiché il nuovo metodo multisensoriale potrà, da una parte aumentare le possibilità di istruzione per gli alunni con speciali (dis) abilità e, dall’altra, facilitare l’integrazione dei bambini a scuola, soprattutto in quelle aree geografiche prive di scuole specializzate.

Il consorzio weDraw è stato composto da: IIT- Istituto Italiano di Tecnologia, InfoMusLab dell’Università di Genova (in qualità di co-coordinatore della tecnologia), De Agostini Scuola Editore, Istituto David Chiossone, University College London (Regno Unito), Dublin Trinity College (Irlanda), Learn TPM Limited (Regno Unito), Vision Buisness Consultant (Grecia), Ignition Factory (Francia).

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