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Nanomedicine per la cura dell’ictus

La collaborazione tra IIT e l’Ospedale Galliera per sviluppare farmaci intelligenti contro l’ictus


Le possibili future nanomedicine per l’ictus hanno oggi la forma di dischi nanometrici in grado di circolare nel sistema sanguigno come delle micro-navicelle, per individuare coaguli di sangue pericolosi, e di sciogliergli, curando possibili trombi cerebrali. L’invenzione è stata descritta sulla rivista scientifica internazionale ACS Nano ed è stata realizzata grazie alla collaborazione interdisciplinare tra l’IIT e l’Ospedale Galliera di Genova. A capo del team ci sono due italiani con esperienze professionali all’estero: Paolo Decuzzi, responsabile del Laboratorio di Nanotecnologia per la Medicina di Precisione dell’IIT a Genova, e il dr. Massimo Del Sette, direttore della S.C. Neurologia presso l’Ospedale Galliera di Genova. Lo studio è preclinico e la sua sperimentazione sull’uomo richiederà altri anni e finanziamenti, ma è un primo passo promettente per lo sviluppo di un farmaco intelligente e di facile utilizzo anche durante le prime fasi del soccorso.

In Liguria si contano circa 4000 casi di ictus all’anno (11 al giorno), ed in tutta Italia circa 150 mila, con conseguenze spesso molto debilitanti per i pazienti: dall’emiparesi, ovvero l’impossibilità a muovere metà del corpo, all’afasia, disturbi della vista, dell’equilibrio o della coordinazione motoria. L’ictus, infatti, è dovuto alla rottura o occlusione improvvisa dei vasi cerebrali da parte di un trombo, interrompendo l’apporto necessario di ossigeno e nutrimento alle cellule cerebrali, le quali subiscono così un danno. In generale, due terzi degli ictus si verificano in persone di oltre 65 anni di età, con una maggiore percentuale nelle donne rispetto agli uomini.

Ad oggi, l’unico farmaco utilizzato in clinica per il trattamento dell’ictus è l’attivatore del plasminogeno tissutale, detto tPA, che ha l’effetto di rompere il trombo (trombolisi). Purtroppo, questo farmaco può essere usato solo nel  10% dei pazienti affetti da ictus, per difficoltà nella selezione dei pazienti e  possibili effetti collaterali, primo fra tutti l’emorragia cerebrale o in altre sedi corporee.

Le nanoparticelle realizzate dai ricercatori di IIT sono state pensate per intervenire direttamente sui coaguli del sangue. Questi dischetti, infatti, sono in grado di “caricare” su di loro stesse il farmaco trombolitico, di viaggiare nel sistema cardiovascolare lasciandosi trasportare dal flusso sanguigno, fino a raggiungere il coagulo e rilasciare solo lì il farmaco.

Dagli studi preclinici condotti presso l’IIT di Genova, i vantaggi delle nanoparticelle discoidali rispetto al farmaco convenzionale sono: la maggiore efficacia nel disciogliere più rapidamente il trombo in modo da facilitare la ricanalizzazione dei vasi occlusi; la minore tossicità in modo da permettere l’uso di questa terapia trombolitica su un maggior numero di pazienti con probabili minori rischi emorragici senza rischi; la maggiore permanenza nel sangue, in modo da potere rimuovere trombi secondari e più piccoli.

I ricercatori hanno analizzato le caratteristiche delle nanoparticelle, la loro stabilità, tossicità e interazione con le cellule del corpo. In seguito, hanno studiato la capacità di trasporto del farmaco da parte delle nanoparticelle, ovvero quanto farmaco poteva essere veicolato in base alla dose minima richiesta dalla terapia e se il farmaco fosse ancora stabile e funzionante dopo il legame con le nanoparticelle. Per fare questo, i ricercatori hanno ricreato in vitro esperimenti che mimassero le condizioni della patologia.

In particolare, attraverso un chip microfluidico hanno ricreato le condizioni reali in cui le nanoparticelle si sarebbero trovate all’interno del circolo sanguigno. Nel chip microfluidico i fluidi possono viaggiare alla stessa velocità alla quale viaggerebbero in vivo e all’interno di canali piccoli tanto quanto i canali sanguigni umani. All’interno di questi chip è stato formato un coagulo, che è diventato il target per le nanoparticelle cariche di farmaco. Confrontando l’effetto del farmaco con e senza nanoparticelle, i ricercatori hanno scoperto che le nanonavicelle erano più veloci a sciogliere i coaguli rispetto al farmaco libero. Inoltre, hanno osservato che le particelle sono grandi abbastanza da rimanere intrappolate a livello del coagulo, potendo  così rilasciare il farmaco più lentamente nel tempo. Al contrario, il farmaco libero è troppo piccolo, sfugge e viene facilmente degradato prima che possa agire dove è necessario.

Il gruppo di ricerca ha quindi testato le nanoparticelle in modelli preclinici, dimostrando ulteriormente l’efficacia delle nanoparticelle nel sciogliere i coaguli, anche con concentrazioni di farmaco più basse rispetto alle dosi convenzionali.

I risultati, quindi, hanno dimostrato non solo che le particelle funzionano meglio del farmaco libero, poiché si legano al coagulo e non disperdono il farmaco in altre parti dell’organismo, ma anche che con dosi inferiori a quelle attualmente usate in clinica si potrebbero ottenere risultati simili riducendo tutti gli effetti collaterali del farmaco.

L’obiettivo ultimo della ricerca, che continuerà nei prossimi anni, è realizzare una particella che possa essere iniettata direttamente in ambulanza in pazienti con sospetto ictus. In questo modo sarà possibile ridurre i tempi di intervento, diminuire il numero di pazienti affetti da disabilità e ridurre i costi sanitari  e sociali associati con la gestione di pazienti con disabilità permanenti anche gravi.

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