Intervista ad Alessio Del Bue, coordinatore della linea di ricerca “PAVIS – Pattern Analyisis and computer VISion” di IIT
Nome: Alessio
Cognome: Del Bue
Luogo di nascita: Savona, Italia
Ruolo: PI, PAVIS – Pattern Analyisis and Computer Vision
Di cosa si occupa il tuo team di ricerca? Sviluppiamo sistemi di intelligenza artificiale focalizzati sullo studio di interpretazione delle immagini e di audio le cui applicazioni possono essere svariate: analisi del movimento umano, identificazione di oggetti e altro.
Pensavi di fare questo mestiere da piccolo? Proprio questo mestiere no, perché ai tempi non si sentiva parlare così tanto come oggi di scienziat* e ricercatori e ricercatrici. Però ho sempre aspirato ad un lavoro in cui io potessi esprimere le mie idee e le mie capacità per qualcosa di utile alla società.
Quella volta in cui avresti voluto mollare tutto e fare altro: Non ne ricordo una, perché nei picchi massimi di stress a cui può portare il nostro mestiere, l’idea è piuttosto quella di rallentare un po’ il ritmo, ma mai mollare. L’entusiasmo secondo me è una caratteristica essenziale per chi fa ricerca, perché il percorso è costellato di insuccessi dai quali non dobbiamo farci fermare. Nei momenti difficili mi aiuta ricordare che il nostro lavora, rispetto a tanti altri, è stimolante e permette di esprimerti quasi al 100%, un vero privilegio. Non esagero nel dire che l’attività svolta dai PI quando scrivono i loro progetti o articoli scientifici è un lavoro creativo a cui ognuno di noi si dedica con tutto se stesso analogamente a quanto fa un’artista con le proprie opere.
“Publish or perish”. Quanto influenza le tue giornate e le tue scelte lavorative la pressione della pubblicazione? Alla base di questo discorso e del meccanismo di pubblicazione in generale, c’è l’esigenza di misurare la qualità del lavoro di tutti e tutte noi. Questo implica la necessità di scegliere un unico strumento di misura da applicare a tutta la comunità scientifica, portando con sé i difetti e i limiti dello strumento. Il meccanismo non virtuoso che può innescarsi è pubblicare tanto a discapito della qualità delle singole pubblicazioni, ma devo dire che in questo momento storico è forte anche la risposta della controparte, di chi cioè lavora a ricerche mirate che potenzialmente avranno un grosso impatto sulla società, che possono essere d’aiuto concreto in determinate casistiche, a discapito del numero di paper. Questo atteggiamento è quello che adottiamo noi in IIT in ambito AI.
Quando hai capito che stavi andando nel verso giusto? Forse quando ho realizzato che non avevo più timore sulle mie prospettive future.
Qual è il tuo prossimo obiettivo? Vogliamo sviluppare software, sistemi di intelligenza artificiale che riescano davvero ad avere un impatto sulla società. Ci stiamo provando adesso con il nostro progetto europeo MEMEX, in cui abbiamo pensato ad un’applicazione inedita per l’AI: lavoriamo con comunità a rischio di esclusione, migranti. Si tratta di un progetto molto sfidante perché ci troviamo ad applicare norme da computer scientist ad un ambito non quantificabile, molto eterogeneo.
Qual è l’aspetto più difficile del tuo mestiere? Il PI coordina un gruppo di ricercatrici e ricercatori che sono in primis persone ognuna con il proprio carattere e le proprie peculiarità. Per me riuscire ad avere il team coeso ed allineato verso un obiettivo comune è tra le attività più impegnative. Sembra paradossale, ma anche nella più rosea delle situazioni come è un progetto ben scritto e ben finanziato, la vera differenza la fa la motivazione di chi lavora con me.
Il ricercatore senior si deve curare anche di molti aspetti burocratici come condizione necessaria. Apparentemente è un aspetto che difficilmente si concilia con l’attività di ricerca. Come la vivi? È una cosa necessaria che devo fare. Cerco quindi di sbrigare questi aspetti il prima possibile per potermi poi dedicare ad altre attività nelle quali sento di poter dare un contributo più significativo.
Chi dovrebbe investire di più nella ricerca rispetto a quanto fa oggi? Più che chi dovrebbe investire in denaro, mi piacerebbe spendere una parola per l’argomento su cui secondo me dovremmo investire più tempo per cambiare mentalità, e questa è l’AI che spesso viene vista come strumento oscuro o come strumento che può risolvere tutti i problemi. Molte aziende che investono in ricerca non hanno ancora tutte le informazioni corrette per poter scegliere l’ambito in cui investire consapevolmente. Su questo punto credo che proprio noi ricercatori dovremmo evidenziare quali potrebbero essere i benefici nell’investire in AI, ma essere anche onesti e indicare quali sono i limiti.
Si parla abbastanza di scienza al di fuori dei laboratori e del mondo accademico? Se ne parla, ma credo bisognerebbe implementare lo sviluppo di nuovi strumenti di fact checking come sta fecendo ad esempio Twitter.
Da chi hai ricevuto l’insegnamento più importante durante il tuo cammino? Il primo insegnamento l’ho ricevuto quando sono andato negli Stati Uniti per la tesi presso il Siemens Corporate Research. Lì mi è stato fatto capire chiaramente che senza impegno e dedizione, non si ottengono risultati in un lavoro come il nostro. È stata una doccia fredda per me, giovane e abituato a muovermi in un mondo in cui mi sentivo abbastanza protetto, ma questa esperienza mi ha aperto gli occhi.
Cosa diresti oggi al giovane te? Capisci cosa ti provoca forte entusiasmo e vai in quella direzione perché solo così la fatica sarà gestibile e potrai dedicarti con tutta la forza necessaria. Credo che fare ricerca non sia un lavoro come tanti altri e per avere successo in questo lavoro, tutto deve essere eccezionale. Inoltre, mi consiglierei di investire sulle cosiddette capacità di base perché mi sono accorto che sono veramente utili per avere solide fondamenta cui costruire la carriera, come programmare e saper comunicare i propri risultati ad un pubblico di specialisti ma anche generalista.
Lavorare in diversi Paesi è fondamentale per un ricercatore? Sì, ma credo che sia importante in generale conoscere diversi contesti lavorativi non per forza all’estero, non fossilizzarsi in un solo ambiente di lavoro e apprendere da questi delle nuove caratteristiche che potranno essere utili in futuro.
Puoi migliorare un aspetto della ricerca in generale. Quale scegli? Vorrei si riuscisse ad attribuire il corretto valore intrinseco di ogni pubblicazione o progetto e non tralasciare questo aspetto in favore di personaggi di spicco, con maggior visibilità. Un altro aspetto che mi interesserebbe migliorare è il finanziamento alla ricerca. Il percorso che porta ad ottenere i finanziamenti è molto competitivo e spesso ottengono i finanziamenti il 3-4% delle proposte e non penso che sia possibile che di tante idee, formulate da eccellenze in ambito della ricerca, solo un numero così risicato sia meritevole. Questa sproporzione di fatto, va a discapito del progresso.