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PI Profiles: Chiara Bartolozzi

Intervista a Chiara Bartolozzi, coordinatrice della linea di ricerca “Event-Driven Perception for Robotics” di IIT

Nome: Chiara

Cognome: Bartolozzi

Luogo di nascita: Rapallo (GE), Italia

Ruolo: PI, Event-Driven Perception for Robotics

Di cosa si occupa il tuo team di ricerca? Ci ispiriamo alla biologia per dotare i robot di una migliore percezione. Utilizziamo il cosiddetto “approccio neuromorfo”, in cui le componenti di percezione sensoriale e di calcolo lavorano sulla base dei principi computazionali dei sistemi neurali.

Era questo il lavoro che avresti voluto fare da piccola? Non ho mai avuto le idee chiare. A scuola mi piacevano tutte le materie: amavo quelle umanistiche, ma anche quelle scientifiche. È stato difficile sceglierne una e iscrivermi a ingegneria.

Se non facessi questo lavoro, cosa ti sarebbe piaciuto fare? Qualcosa che fosse legato all’arte, all’architettura o al restauro di monumenti.

Quella volta in cui hai desiderato abbandonare tutto e dedicarti ad altro: Alla fine del mio Dottorato di Ricerca ero esausta e ho pensato: “Non lavorerò mai più nel mondo accademico!”

“Publish or perish”. In che modo la pressione della pubblicazione influenza le tue giornate e le tue scelte professionali? La pressione è molto forte e non migliora la qualità del lavoro. Al contrario, ostacola gli approcci più esplorativi.

Quando hai capito che stavi andando nella giusta direzione? Sto davvero andando nella giusta direzione? In ambito scientifico non puoi, non devi mai esserne sicuro.

Qual è il tuo prossimo obiettivo? Lavorare su dispositivi protesici.

Qual è l’aspetto più difficile del tuo lavoro? Fare da mentore e formare le persone orientandole verso la giusta direzione, sia dal punto di vista scientifico sia a livello di carriera.

I ricercatori senior devono necessariamente gestire diversi aspetti burocratici. Apparentemente, questo non sembra adattarsi bene con l’attività di ricerca. Cosa ne pensi? Ho rinunciato a fare ricerca in prima persona, sono troppo impegnata in questioni gestionali. Attualmente mi occupo dell’orientamento della ricerca e di supervisionare il mio team.

Chi dovrebbe investire di più nella ricerca rispetto a quanto avviene oggi? Il governo e le industrie italiane. Le aziende che finanziano la nostra ricerca sono grandi imprese e multinazionali e gli investimenti italiani non sono così ingenti.

La gente parla di scienza fuori dai laboratori e dal mondo accademico? Non proprio. Solo in eventi dedicati.

Chi ti ha dato i consigli più importanti durante il tuo percorso? Il mio tutor di Dottorato. Ancora oggi è per me un mentore, sia a livello lavorativo sia personale.

Cosa diresti alla giovane te che sta concludendo il Dottorato di Ricerca?Scegli un post doc in un laboratorio ben consolidato con una forte mentorship e una visione chiara.

Per un ricercatore è essenziale lavorare in paesi diversi?Dovrebbe essere obbligatorio.

Se potessi migliorare un aspetto della ricerca, quale sceglieresti? Mi piacerebbe migliorare il processo di selezione e poter contare su politiche di welfare elaborate ad hoc per sostenere la crescita lavorativa e di carriera anche delle ricercatrici donna. È fuori da ogni dubbio tuttavia che il cambiamento principale dovrebbe avvenire prima a livello di società, solo così le donne verrebbero sollevate dalla cura di casa e famiglia che al momento grava interamente su di loro e costituisce un deterrente per perseguire a pieno la carriera lavorativa.

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