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PI Profiles: Cristian Ciracì

Intervista a Cristian Ciracì, coordinatore della linea di ricerca “Computational Nanoplasmonics” di IIT

Nome: Cristian

Cognome: Ciracì

Luogo di nascita: Mesagne (Brindisi), Italia

Ruolo: PI, Computational Nanoplasmonics

Di cosa si occupa il tuo team di ricerca? Studiamo a livello fondamentale l’interazione della luce con la materia, sviluppando nuovi modelli matematici che tengano conto di fenomeni nuovi o complessi relativi alla luce, per nuove applicazioni future.

Era questo il lavoro che avresti voluto fare da piccolo? In un certo senso sì, lo era. Ma non lo sapevo. Sono cresciuto nell’area rurale di una piccola città: amavo esplorare, osservare gli insetti e fare piccoli esperimenti. Spesso rompevo i miei giocattoli nuovi, ne recuperavo il motore elettrico e lo utilizzavo per costruire qualcosa di nuovo. All’epoca però non esisteva Internet, né i video su YouTube che ti mostrano come fare qualsiasi cosa. Erano necessari immaginazione ed ingegno per ottenere buoni risultati!

Se non facessi questo lavoro, cosa ti sarebbe piaciuto fare? Da adolescente ho iniziato a suonare la chitarra. Prendevo molto sul serio questa attività: mi esercitavo diverse ore ogni giorno, ero davvero appassionato e lo sono tutt’ora. Volevo essere un musicista professionista, ma amavo anche la matematica; così ho deciso di studiare ingegneria. Durante l’università mi sono innamorato della fisica. Vedere per la prima volta una “derivata” (una funzione matematica puramente astratta per me all’epoca) usata per calcolare come un oggetto si muove nello spazio e nel tempo, mi ha aperto gli occhi. Questo mi ha portato qualche anno dopo a prendere un dottorato in fisica. Ed eccomi qui.

Quella volta in cui hai desiderato abbandonare tutto e dedicarti ad altro: Non credo sia mai successo, anche se a volte mi chiedo cosa sarebbe accaduto se avessi fatto scelte diverse.

“Publish or perish”. In che modo la pressione della pubblicazione influenza le tue giornate e le tue scelte professionali? Nel mio campo c’è un aspetto ancora più difficile e stressante rispetto alla pressione della pubblicazione: ottenere finanziamenti esterni, soprattutto in Italia, dove mancano programmi ricorrenti di finanziamento della ricerca di base.

Quando hai capito che stavi andando nella giusta direzione? Durante il mio primo lavoro di ricerca come postdoc alla Duke University (Stati Uniti), ho capito che venivo pagato per fare ciò che mi piaceva fare. Era un lavoro, ma non lo sembrava affatto.

Qual è il tuo prossimo obiettivo? Fino ad oggi mi sono occupato soprattutto di fisica fondamentale. Ora vorrei mettere in pratica le mie conoscenze ed esperienze per risolvere problemi specifici e avere un impatto più diretto sul futuro della nostra società.

Qual è l’aspetto più difficile del tuo lavoro? A volte ci rendiamo conto che quello che stiamo cercando di realizzare è molto più difficile di quanto ci aspettassimo e inevitabilmente si accumulano una serie di fallimenti, uno dopo l’altro, che suggeriscono a gran voce di rinunciare. Credo che l’aspetto più difficile del mio lavoro sia continuare a lottare proprio in questo momento. È difficile, ma spesso molto gratificante.

I ricercatori senior devono necessariamente gestire diversi aspetti burocratici. Apparentemente, questo non sembra adattarsi bene con l’attività di ricerca. Cosa ne pensi? Capisco la burocrazia. Ma non la burocrazia ridondante e superflua, quella è semplicemente frustrante.

Chi dovrebbe investire di più nella ricerca rispetto a quanto avviene oggi? Sicuramente i governi, ma credo che ogni azienda privata dovrebbe avere un dipartimento R&D; un problema comune, spesso, è la mancanza di una visione a lungo termine.

La gente parla di scienza fuori dai laboratori e dal mondo accademico? Non abbastanza!

Chi ti ha dato i consigli più importanti durante il tuo percorso? Credo sia stato un postdoc che ho incontrato durante il mio dottorato in Francia, che mi ha suggerito di candidarmi per una posizione nel gruppo del Prof. Smith negli Stati Uniti. Due anni dopo saltellavo da solo come un pazzo nel mio appartamento in North Carolina: avevo appena letto che il mio lavoro sarebbe apparso sulla copertina di Science. Dubito che questo sarebbe successo in un posto diverso.

Cosa diresti al giovane te che sta concludendo il Dottorato di Ricerca? Prenditela con un po’ più di calma!

Per un ricercatore è essenziale lavorare in paesi diversi? Assolutamente sì. Penso che vivere in un altro Paese sia essenziale per tutti, non solo per i ricercatori.

Se potessi migliorare un aspetto della ricerca, quale sceglieresti? Penso che un aspetto troppo spesso sottovalutato sia l’impatto di un ambiente di lavoro esteticamente piacevole, con spazi sociali e aree verdi: questo non solo aumenta la produttività delle persone che già vi lavorano, ma anche la sua attrattiva verso nuovi talenti, che a loro volta contribuiscono a un ambiente più stimolante creando così una spirale positiva.

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