PI Profiles: Davide De Pietri Tonelli

Intervista a Davide De Pietri Tonelli, coordinatore della linea di ricerca di neurobiologia dei mIcroRNA di IIT

Nome: Davide

Cognome: De Pietri Tonelli

Luogo di nascita: sono cresciuto a Milano, anche se i mei genitori sono emiliani. Quindi geneticamente sono emiliano, ma la mia epigenetica certamente è milanese.

 Ruolo: dirigo la linea di ricerca di neurobiologia dei mIcroRNA, nella sede IIT di Genova Morego (Neurobiology of miRNA).

Di cosa si occupa il tuo team di ricerca? Il mio gruppo di ricerca si concentra in particolare sui piccoli RNA non codificanti, come i microRNA: minuscole molecole che regolano la produzione della maggior parte delle proteine e che oggi sappiamo essere fondamentali per la neurogenesi e in generale per vita e la salute umana. Non a caso, la loro scoperta è valsa il Premio Nobel per la Medicina 2024. Ho iniziato questo tipo di studio nel 2004, quando ero postdoc nel laboratorio di Wieland Huttner, al Max Planck Institute di Dresda, e mi sono appassionato alla regolazione molecolare della neurogenesi, il processo che porta alla nascita di nuovi neuroni dalle cellule progenitrici, o staminali, del cervello. Queste cellule si auto-rinnovano e generano altre cellule differenziate – come neuroni o astrociti – attraverso un equilibrio finissimo. Quando questo equilibrio si rompe, possono insorgere patologie gravi come Alzheimer, Parkinson o persino tumori cerebrali.

Pensavi di fare questo mestiere da piccolo? In realtà sì, da che ho memoria. Anche se, a tratti, sognavo di diventare chef o astronauta.

 Se non avessi fatto questo lavoro, cosa ti sarebbe piaciuto fare? Probabilmente avrei fatto lo chef!

 Quella volta in cui avresti voluto mollare tutto e fare altro? Sono stato un nuotatore di fondo e da lì ho imparato la resilienza mentale. È quella forza che ti fa superare i momenti difficili. Inoltre, sono un inguaribile ottimista: credo che anche dalle sconfitte si possa sempre imparare e crescere, come persona e come professionista.

“Publish or perish”. Quanto influenza le tue giornate e le tue scelte lavorative la pressione della pubblicazione? Non troppo, ma riconosco che la ricerca ha bisogno di tempo e tranquillità: bisogna potersi addormentare pensando alle domande e possibilmente svegliarsi con le risposte. Oggi, purtroppo, il sistema è troppo frenetico e non sempre compatibile con i tempi della scienza.

Quando hai capito che stavi andando nel verso giusto? Forse non lo so ancora del tutto. Il mio obiettivo è creare un impatto reale sulla vita e sulla salute delle persone. Le scoperte che restano chiuse nei cassetti non servono a nessuno. In IIT ho trovato il luogo giusto per trasformare le idee in realtà: quando ci riuscirò, allora saprò di aver imboccato la strada giusta. 

Qual è il tuo prossimo obiettivo? Studiare come i microRNA e altri RNA non codificanti – come i piwi-interacting RNA, che abbiamo scoperto essere abbondanti nelle staminali neurali– possano diventare biomarcatori diagnostici e, persino, nuovi bersagli terapeutici per le malattie neurodegenerative e i tumori cerebrali. Stiamo anche collaborando con l’Agenzia Spaziale Italiana per analizzare i livelli di questi RNA nei biofluidi degli astronauti, per capire come il volo spaziale influenzi il loro corpo. Può sembrare lontano dalla neurobiologia, ma, in realtà, il viaggio nello spazio provoca effetti molto simili all’invecchiamento, come la perdita di massa muscolare o ossea. Dopotutto, da bambino sognavo di fare l’astronauta, forse sto davvero realizzando quel sogno, in un modo diverso.

Qual è l’aspetto più difficile del mestiere? La ricerca non è solo un lavoro, è una passione. Ti regala enormi soddisfazioni ma chiede tanto, anche sul piano personale. Ho cambiato città più volte — da Milano alla Germania, poi a Genova — e non ce l’avrei mai fatta senza il sostegno della mia compagna, altrettanto resiliente, e della mia famiglia.

 Il ricercatore senior si deve curare anche di molti aspetti burocratici come condizione necessaria. Apparentemente è un aspetto che difficilmente si concilia con l’attività di ricerca. Come la vivi? È una parte inevitabile. Non sono né un contabile e né un avvocato, ma la ricerca richiede anche capacità gestionali e rispetto delle regole. Sono ben consapevole che i fondi provengono dalle tasse dei cittadini o dalle donazioni di enti come AIRC, per questo è giusto rendere conto di ogni euro speso.

Chi dovrebbe investire di più nella ricerca? Lo Stato. La ricerca di base non può reggersi solo su privati o donazioni. L’Italia investe ancora troppo poco rispetto agli altri Paesi europei. Se si creano le giuste premesse, i privati arriveranno, ma, senza una base solida, restiamo indietro.

Si parla abbastanza di scienza al di fuori dei laboratori e del mondo accademico? Sempre di più, per fortuna. Il pubblico è curioso e i social oggi offrono spazi straordinari per la divulgazione. Dopo la pandemia, molti giovani si sono avvicinati alle discipline STEM e le iscrizioni sono in aumento. Serve, però, ancora tanto lavoro: la comunicazione scientifica è fondamentale per una società moderna e consapevole.

 Da chi hai ricevuto l’insegnamento più importante durante il tuo cammino? Dai miei genitori ho imparato il valore del lavoro e della dedizione, senza aspettarmi risultati immediati e dal mio mentore, Wieland Huttner, ho imparato il rigore scientifico e l’importanza di mantenere una visione chiara e profonda, anche quando lo schema non è immediatamente visibile.

Cosa diresti oggi al giovane te che termina il suo dottorato? Non preoccuparti del futuro. Segui le tue idee, cerca il laboratorio migliore al mondo per realizzarle e, quando ti senti pronto, diventa indipendente il prima possibile, in accademia o nel privato. Magari in Italia, dove oggi ci sono molte realtà competitive che hanno un disperato bisogno di giovani talenti.

Lavorare in diversi paesi è fondamentale per un ricercatore? Sì, è un’esperienza che arricchisce, ti fa conoscere culture diverse e, soprattutto, rafforza l’autostima. Lavorare in Germania mi ha fatto capire che il mito del “fuori sono tutti più bravi” è falso: ci sono ricercatori eccellenti ovunque. La differenza è nel sistema, che in altri paesi è più organizzato e stabile.

Puoi migliorare un aspetto della ricerca in generale. Quale scegli? Restituire tempo ai ricercatori. Oggi siamo schiacciati da burocrazia e valutazioni continue. La scienza ha bisogno di lentezza, di spazi per pensare, per osservare e per lasciar maturare le idee.

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