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Portare la conoscenza a chi serve

Intervista a Francesco Nicassio, Coordinatore del Center of Genomic Science di IIT a Milano (CGS-IIT@SEMM)

Francesco il centro che dirigi di che cosa si occupa?

In questo centro si studia il genoma. Noi cerchiamo di imprigionare le informazioni che son racchiuse nel nostro genoma e comprendere come queste informazioni sono codificate e come controllano l’espressione genica, e quindi la funzione di una cellula. Il nostro impegno è dedicato a capire i meccanismi di base tuttora oscuri ma soprattutto cerchiamo di applicare questa conoscenza ai meccanismi alterati nelle patologie. Essenzialmente quelle tumorali. Queste patologie sono di fatto dipendenti da meccanismi alterati di controllo dei geni. Questi ultimi possono essere mutati nel loro DNA oppure può mutare il modo con il quale vengono regolati. Questo meccanismo si riscontra in modo più frequente rispetto alla mutazione stessa dei geni.

Stiamo scoprendo che le modalità con cui l’espressione genica viene modificata sono numerosissime e probabilmente rappresentano la chiave per spiegare l’evoluzione della specie. Se noi confrontiamo un numero di geni che sono presenti nel nostro genoma, estremamente complesso, di esseri umani con quelli di organismi più semplici non troviamo in noi più geni. I mattoncini che costituiscono la cellula sono praticamente gli stessi. Tra un umano, un topo, un verme, una mosca il numero di geni è grossomodo uguale. Cosa ci rende più evoluti, più complessi, più complicati?

La nostra conoscenza sempre più approfondita del genoma ha permesso di comprendere che oltre i geni codificanti le proteine noi possediamo altre molecole di RNA che vengono prodotte da altre regioni del genoma che non hanno la funzione di codificare le proteine bensì controllano l’espressione dei geni. Questo meccanismo, che segnala quanto RNA produco da un gene e quanta proteina produco da quel gene, non è un sistema on/off ma un meccanismo fortemente modulato. I livelli di controllo della modulazione aumentano in proporzione con la complessità dell’organismo.

Quindi l’uomo, rispetto a esseri meno complessi, non ha sviluppato più geni ma una modalità più raffinata per controllare questa espressione di geni. Si tratta di una deduzione essenziale perché la capacità di controllare e di selezionare con precisione cosa serve, in che momento, in quale cellula, permette di costruire funzioni più complesse.

Persino l’evoluzione del cervello si può mettere in relazione a questi meccanismi di controllo dell’espressione genica via via più evoluti e sofisticati, e sono parte integrante della fisiologia dell’uomo. Inoltre, questa complessità può essere trasferita anche allo studio del cancro. Spesse volte, il cancro è caratterizzato da una de-regolazione dell’espressione genica e gli elementi che conducono a questo stato possono essere numerosi.

La nostra ricerca cerca di comprendere quali, tra questi, sono coinvolti nella insorgenza o nello sviluppo della patologia ma anche di comprendere quali altri elementi noi possiamo sfruttare per correggere le alterazioni del cancro. Il nostro lavoro di ricerca sui meccanismi di regolazione del RNA è quindi duplice: da una parte ci permette di risolvere la complessità della patologia umana e dall’altra trovare nuove strategie per correggerne le alterazioni.

Quali strategie avete messo in campo, oltre queste, per raggiungere gli obiettivi della ricerca?

Una strategia che stiamo perseguendo vuole individuare quali sono le molecole di RNA coinvolte nella regolazione dei geni, e come possiamo sfruttare i loro meccanismi di azione per correggerne l’espressione. Attualmente la tendenza è quella di sfruttare proprio le molecole di RNA per correggere l’espressione genica.

È stata messa a punto, ad esempio, una terapia dove la molecola stessa di RNA è il target terapeutico. L’RNA quindi può diventare il bersaglio da colpire per la produzione di farmaci convenzionali o sperimentali ma può divenire esso stesso il farmaco. L’esempio più eclatante è il vaccino anti-Covid. In questo caso l’RNA viene utilizzato come terapia.

La pandemia con il suo carico drammatico ha almeno permesso di fissare l’attenzione su questa opportunità terapeutica, sullo sviluppo della quale vi sono importanti volontà d’investimento.

Questo, come sottolinei, è il futuro della ricerca in questi ambiti ed è anche parte sostanziale del tuo lavoro. I risultati della tua ricerca da chi vengono utilizzati?

Innanzitutto i risultati della nostra ricerca vengono messi a disposizione di tutta la comunità scientifica, momento fondamentale per l’attività di uno scienziato, in coerenza con i principi della nostra Fondazione. Se poi riusciamo ad individuare qualche opportunità di immediato sviluppo si possono creare delle interazioni con l’industri, per sviluppare un nuovo farmaco o indicare una strategia terapeutica.

Il mio compito è quello di portare la conoscenza a chi serve. Gli aspetti produttivi e commerciali esulano dal mio campo d’azione.

Queste fondamentali ricerche hanno bisogno di robusti finanziamenti. Come il tuo laboratorio viene sostenuto?

Innanzitutto da IIT, che rappresenta la risorsa più importante. Ci offre una infrastruttura umana e tecnologica che ci permette di lavorare in modo fluido. Poi i contributi in questo ambito giungono da Fondazioni come AIRC e CARIPLO, che hanno finanziato spesse volte il mio laboratorio con un consistente e continuo impegno promuovendo la ricerca d’eccellenza. AIRC, in particolare, ha sostenuto diversi progetti e anche i giovani ricercatori ed ha contribuito a creare una rete tra vari centri di ricerca. Purtroppo non vi sono molte altre iniziative in Italia simili a AIRC.

Come inizia il tuo rapporto con IIT?

Sono in IIT dal 2012. Credo che la mia vicenda sia paradigmatica per chi vuole far ricerca nel nostro Paese. Ero un ricercatore che già aveva condotto degli studi scientifici e mi venne proposto di entrare nel laboratorio di IIT a Milano dal coordinatore di allora, Bruno Amati. Si trattò di una opportunità inaspettata. Mi preparavo a condurre un’esperienza da ricercatore indipendente, già sapendo che in Italia non ci sarebbe stato spazio per questo. Pensavo quindi di andare all’estero. Lasciavo l’Italia per mancanza di opportunità e non perché intravvedevo un percorso formativo. IIT mi ha offerto di fatto un’occasione e nel giro di pochi anni ho stabilizzato un gruppo di ricerca che ha ottenuto buoni risultati qualitativi e quindi i finanziamenti di AIRC. Ho potuto fare così un’esperienza scientifica ed umana importante e, quando Amati ha lasciato IIT, Roberto Cingolani mi ha offerto la posizione di coordinatore che ricopro tuttora. Ho affrontato una sfida nuova ma, anche grazie all’ottimo clima che si respira in IIT, ai positivi rapporti con i colleghi, sto continuando a lavorare con assoluta soddisfazione mantenendo e condividendo quei principi di onestà morale e intellettuale che caratterizzano il nostro Istituto.

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