Intervista a Cecilia Laschi, Professoressa alla National University of Singapore
Nel 2015 Robohub l’aveva nominata tra le donne più influenti nella robotica insieme a Barbara Mazzolai, con cui condivide un’amicizia da molti anni, dimostrando il primato dell’Italia in un settore innovativo come quello della robotica soffice. Cecilia Laschi, docente in aspettativa alla Scuola Superiore Sant’Anna, è da novembre 2020 Professoressa alla National University of Singapore, nel Dipartimento di Ingegneria Meccanica. Il 28 luglio sarà tra le relatrici dell’evento “Artificial Intelligence and Robotics in the perspective of social challenges” che IIT ha organizzato nell’ambito dell’evento speciale G20.
Da qualche mese ti sei trasferita dall’Italia a Singapore, quale è l’approccio della società e della politica verso la robotica e l’intelligenza artificiale, due discipline così attuali e sempre più strategiche nel panorama internazionale?
Complessivamente Singapore è più avanti nella trasformazione digitale. Si fa molto uso delle tecnologie digitali in tutti gli aspetti della vita quotidiana, dagli acquisti, ai trasporti, al tracciamento adesso in tempo di pandemia. L’intelligenza artificiale e la robotica fanno parte di questo scenario e le politiche nazionali comprendono importanti investimenti in ricerca, formazione e innovazione in questi settori. Singapore è il 2° paese a livello mondiale per densità di robot, cioè per numero di robot per abitanti, utilizzati in ambito industriale manifatturiero. Anche la robotica di servizio è in crescita e i robot cominciano a essere utilizzati in alcuni settori; per esempio, sono usati dalla polizia per azioni di monitoraggio e controllo, sono usati in strutture cliniche per la riduzione dei contatti e la disinfezione, durante la pandemia, e sono usati in alcuni ambiti medici. Molto sentito è il problema dell’invecchiamento della popolazione e dell’assistenza agli anziani, per il quale si cercano soluzioni robotiche.
La robotica e l’AI, come dimostrano anche i relatori che parteciperanno all’evento, possono essere impiegate in diversi contesti, dalla scoperta dello spazio alla musica. Secondo te quale potrà essere il settore di applicazione più promettente per la robotica bioispirata?
La robotica bioispirata è un settore molto ampio che si basa sull’utilizzo di soluzioni ispirate dalla natura per sviluppare robot, o loro componenti, di varia natura. Ecco che la soluzione bioispirata può essere in un attuatore, quello che fa muovere il robot, o in un sensore, o nel comportamento più o meno intelligente del robot. Questo si riflette in un’ampia varietà di ambiti applicativi. In linea generale, le soluzioni bioispirate si riferiscono ad abilità che la natura ha perfezionato con l’evoluzione per dotare gli esseri viventi di comportamenti efficaci ed efficienti in ambienti complessi, quali quelli del mondo reale. Le soluzioni bioispirate possono contribuire quindi alla robotica di servizio, all’utilizzo di robot nei nostri ambienti tipici, fuori dalle fabbriche. Il mio sogno è vedere robot che, come gli esseri viventi, riescono a sopravvivere in un ambiente naturale, procurandosi l’energia di cui hanno bisogno, imparando ed evolvendosi, imparando da soli, per svolgere compiti che però non siano limitati gli obiettivi tipici degli esseri viventi e dell’evoluzione, e cioè la nutrizione e la riproduzione, ma che possano essere di aiuto all’uomo, come il monitoraggio e la salvaguardia di tali ambienti. Credo che in ambito marino, per esempio, robot ispirati alle specie marine abbiano un enorme potenziale per monitorare e risanare l’ecosistema.
Il G20 quest’anno è dedicato a 3 P- People, Planet e Prosperity – un trinomio che riprende concetti che tu e Barbara Mazzolai avete da sempre associato alla robotica soffice, non ultimo la proposta nel 2018 di un progetto Flagship per l’Unione Europea dove la sostenibilità economica, sociale e ambientale erano al centro. Tre anni dopo la vostra visione è ancora molto attuale, ce la puoi raccontare?
La visione per la robotica del futuro non può non partire dal concetto di sostenibilità, che deve rappresentare la linea guida per lo sviluppo della tecnologia. Dovremmo invertire la direzione attuale per la quale i cambiamenti sociali, economici, ambientali sono dettati dalla tecnologia. Dovremmo invece definire uno scenario sostenibile e lo sviluppo tecnologico dovrebbe adattarsi e anzi contribuire a questo. Il concetto di sostenibilità per la robotica è declinato in varie accezioni, che le 3P ben rappresentano: People: dobbiamo ridefinire i modelli sociali e sviluppare robot con capacità di interazione sociale che ne conseguano, così come dovremmo garantire l’accettabilità dal punto di vista etico; Planet: se è vero che un mercato della robotica di servizio sta esplodendo, è ora il momento di pensare a far consumare meno energia ai robot del futuro, rendendoli autonomi energeticamente con tecniche di recupero dell’energia dall’ambiente, a come smaltirli alla fine del loro ciclo di vita, rendendoli riciclabili o biodegradabili, a come metterli al servizio della salvaguardia delle risorse del pianeta; Prosperity: dobbiamo ridefinire i modelli economici e il mondo del lavoro, in modo da trarre vantaggio dal lavoro che i robot possono svolgere e la ricchezza che possono creare, invece di temerli.
Cecilia Laschi, Barbara Mazzolai, Rita Cucchiara, Maria Chiara Carrozza, Barbara Caputo, Agnieszka Wykowska, Cristina Becchio, Alessandra Sciutti, Lucia Beccai e tante altre ricercatrici donne in un settore che non si può più dire prettamente maschile. Credi che il vostro esempio possa essere sufficiente per favorire una maggiore parità di genere?
Credo che la questione della parità di genere sia molto complessa e riguardi molti settori. Sicuramente quelli dell’intelligenza artificiale e della robotica presentano una chiara disparità, per ragioni che è difficile analizzare in maniera esauriente. Altrettanto sicuramente, tuttavia, il modello di ruolo è il contributo più importante che noi possiamo dare.
Pensando alle giovani donne che in questo periodo dovranno scegliere un percorso universitario, puoi raccontarci quando hai capito che la robotica bioispirata sarebbe stato il tuo campo di lavoro e che cosa è stato più importante per te nel tuo percorso?
Per me non è mai stato chiaro prima quello che sarebbe stato il mio settore, e penso ancora a ‘cosa farò da grande’. Nella ricerca i percorsi sono vari e imprevedibili. Al momento della scelta importante che arriva dopo l’esame di maturità non sapevo scegliere, mi piacevano molti percorsi diversi. Sapevo che mi piacevano le scienze e soprattutto la matematica e alla fine mi sono iscritta a uno dei primi corsi di laurea in informatica, a Pisa. Al momento della tesi di laurea, poi, ho conosciuto la robotica, facendo una tesi sperimentale alla Scuola Superiore Sant’Anna con il Prof. Paolo Dario, che poi è stato sempre il mio mentore. Con la robotica ho visto le tecniche di programmazione che avevo imparato diventare qualcosa di fisico, che si muove nel mondo reale. Così ho fatto un dottorato in robotica e iniziato una carriera accademica nella biorobotica, alla Scuola Superiore Sant’Anna. L’aspetto ‘bio’, legato settore della bioingegneria cui il mio Istituto appartiene, mi ha in qualche modo ricollegato il mio originario interesse per le scienze naturali. Il mio messaggio ai giovani che stanno interrogandosi sul proprio futuro è che il proprio percorso si può in buona parte costruire nel tempo e il mio consiglio è di seguire il più possibile i propri interessi, le proprie attitudini e le proprie aspirazioni, pronti a seguire quelle che non ci sono ancora ma che arriveranno in seguito.