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Speciale – IIT è inventare cose nuove da una tabula rasa

Intervista a Giulio Sandini, Founding Director di IIT e coordinatore della linea di ricerca Robotics Brain and Cognitive Sciences di IIT

Quale è stata la formula che ha fatto nascere IIT e quale è stato il tuo ruolo?

Nel 2004, anno cruciale per la nascita di IIT come lo conosciamo oggi, si sono verificate tre condizioni che sono state determinanti per il futuro dell’Istituto. La prima è che in quell’anno è decollato il progetto europeo RobotCub focalizzato sullo studio dello sviluppo delle capacità cognitive umane attraverso la progettazione e l’utilizzo del robot umanoide iCub (un tema che sviluppavo da anni all’Università di Genova). La seconda condizione è che, nel febbraio di quell’anno, era stato presentato ufficialmente a Genova il progetto di un Istituto Italiano di Tecnologia con gli interventi dei Ministri dell’Economia e delle Finanze e dell’Università e della Ricerca. Infine, nella primavera del 2004, l’allora Ministra dell’Università e della Ricerca Letizia Moratti si avvaleva di un gruppo di esperti, coordinato dal Direttore Generale della Ricerca Luciano Criscuoli, per raccogliere spunti per iniziative di ricerca di interesse nazionale, fra le quali anche la scelta del tema guida del futuro IIT. Al gruppo tecnico della Direzione Ricerca, partecipava, come Presidente del Comitato Tecnico Scientifico per la Ricerca Industriale, il collega Francesco Beltrame che mi chiese di contribuire con una breve riflessione sulle tematiche espresse dal progetto RobotCub nell’ambito della robotica umanoide. Io produssi una paginetta e mezza che piacque al gruppo di lavoro come tema portante di IIT per la possibilità che offriva di coniugare ricerca scientifica e sviluppo tecnologico. Dello stesso gruppo di lavoro faceva parte anche Aldo Romano Presidente del Fondo per gli Investimenti della Ricerca di Base, che propose di affidare lo sviluppo dell’idea a Roberto Cingolani. A Roberto piacque l’idea delle “tecnologie umanoidi” e accettò la sfida di progettare un istituto multidisciplinare ex-novo che potesse contribuire, con finalità complementari a quelle di enti nazionali esistenti, allo sviluppo scientifico e tecnologico nazionale e diventare un centro di riferimento internazionale. Ecco, credo che questi siano stati gli eventi che mi hanno avvicinato a IIT ancora prima che fossi coinvolto ufficialmente. Nei mesi successivi iniziai a lavorare con Roberto e nel luglio dello stesso anno Vittorio Grilli (allora commissario unico di IIT) mi offrì di contribuire  alla stesura della parte robotica del primo piano scientifico insieme a Fabio Beltram della Scuola Normale di Pisa, per la parte relativa ai nanomateriali, e a Lamberto Maffei che allora guidava l’Istituto di Neurofisiologia del CNR di Pisa  che si occupò dell’area delle neuroscienze (Lamberto sarebbe diventato Presidente dall’Accademia dei Lincei nel 2009). Per la verità in quel periodo raccogliemmo anche i suggerimenti di altri colleghi italiani e stranieri che sarebbe troppo lungo elencare ma fu un periodo, per me, irripetibile perché con la guida di Roberto, stavamo impostando le basi scientifiche di un modello di istituto di ricerca nuovo sia per obiettivi sia per organizzazione. Il risultato di questo lavoro venne valutato emendato e approvato da un comitato internazionale formato da rappresentanti dell’economia, dell’industria e della ricerca, e si poté passare alla sua realizzazione.

A quel tempo però ancora non esistevano nemmeno le pareti di IIT

Esatto, in quei mesi si parlava di diverse possibili sedi: dell’ex ospedale psichiatrico di Quarto prima e dei Magazzini del Cotone poi, sedi delle quali dovrei ancora avere le piantine sulle quali si iniziava a fare qualche ipotesi di spazi per laboratori e strumenti. Infine, l’allora Presidente della Regione Claudio Burlando segnalò l’esistenza e la disponibilità di un edificio non più utilizzato da qualche anno dell’Agenzia delle Entrate.  Era un sito abbastanza “curioso” che, oltre agli uffici, aveva ospitato l’archivio cartaceo delle dichiarazioni dei redditi dei cittadini liguri (immensi armadi di metallo su binari e impianto antincendio a gas per evitare, in caso di entrata in funzione, di rendere inutilizzabile l’archivio cartaceo). Sono stato tra i primi ad entrarci con lo scopo di valutarne l’adeguatezza e ci voleva proprio il coraggio di Cingolani per dire “va bene, andiamo!”. È stato per tutti un inizio eroico e basta confrontare le foto di allora e quelle di oggi per capire quando difficile sia stato procedere in parallelo alla ristrutturazione dell’edificio e all’attività di ricerca (iCub entrò per la prima volta in IIT a dicembre 2006 nell’unico piano già accessibile dell’edificio). A quel tempo ero Professore all’Università di Genova dove avevo fondato e dirigevo il Laboratorio LIRALAB che, nel 2004, aveva cresciuto fra i suoi studenti molti degli attuali Principal Investigator della robotica di IIT, a partire da Giorgio Metta. Quando, dopo una call internazionale, mi hanno assunto come direttore per la robotica insieme a Darwin Caldwell, anche lui coinvolto insieme a Nikos Tsagarakis nel progetto RoboCub, ho portato con me diverse persone che ancora oggi sono colonne portanti di IIT sviluppando ed espandendo alcune delle idee del piano scientifico originario. Eravamo pochi e stavamo tutti su una porzione di un piano della sede centrale di Morego ma questo ci diede la possibilità di mostrare l’integrazione tra le diverse discipline che erano alla base del piano scientifico che proponevamo. Dalla robotica in tutte le sue espressioni e le scienze cognitive allo studio dell’apprendimento motorio e della riabilitazione, della percezione, all’interfaccia e interazione umano-robot.

Poi con la crescita è arrivato anche il trasferimento presso una sede nuova, quella del Center for Human Technologies degli Erzelli

Si, eravamo aumentati in numero e avevamo bisogno di spazio e, anche per cercare di avvicinare fra loro gruppi di ricerca con una specifica attività nello studio di tecnologie umano-centriche, abbiamo deciso di approfittare di spazi a disposizione nell’area di Erzelli per aprire il “Center for Human Technologies CHT@Erzelli nel luglio del 2019. Nel maggio del 2023 verrà inaugurato Center for Robotics and Intelligent Systems” per raccogliere i gruppi più specificamente coinvolti nella robotica. Intorno al 2014 IIT ha riorganizzato l’attività di ricerca di IIT, passando da una aggregazione dei ricercatori fondata su dipartimenti ad una struttura costruita attorno ai “principal investigator” che hanno formato e gestiscono in modo indipendente le attuali 80 Unità di Ricerca. Questo cambiamento ha dato la possibilità ai giovani ricercatori di confrontarsi anche con le problematiche legate alla gestione di un gruppo di ricerca accelerandone la maturazione e l’indipendenza e facilitando l’apertura di nuove linee di ricerca. Come rovescio della medaglia la ricerca si è maggiormente frammentata indebolendo le potenzialità di aggregazione e contaminazione che rappresentano una delle caratteristiche distintive della ricerca in IIT e favorendo, implicitamente, la sovrapposizione delle attività e il conseguente aumento della competizione interna “cattiva” (la competizione “buona” è uno degli aspetti fondanti di IIT). Questi ultimi aspetti non positivi che si sta cercando, nella definizione del nuovo piano scientifico, non solo di mitigare ma di trasformare in un ulteriore punto di forza di IIT.

Cos’è stato per te l’Istituto Italiano di Tecnologia considerando che al momento della sua nascita eri già parte del mondo accademico?

IIT per me è stato il sogno della vita! Ho avuto la possibilità di implementare l’integrazione dei saperi biologici e dell’ingegneria che perseguivo da anni partendo da una tabula rasa. Abbiamo fatto sì che lavorassero insieme persone e discipline che in Università non avrebbero avuto alcun modo semplice di incontrarsi e mescolarsi, questo è stato uno dei punti di forza di IIT. Non tutto il mondo accademico ha apprezzato questa opportunità unica ed è stato grazie alla forza di Cingolani, che ha protetto tutti noi dalle polemiche iniziali, se siamo riusciti a realizzare questo sogno. Oggi, nonostante tutti i cambiamenti che ci sono stati nella struttura dell’Istituto, vediamo ancora i principi fondanti nelle nuove generazioni che guidano le Unità di Ricerca, e ciò significa che siamo riusciti a consolidare la nostra visione iniziale così diversa dall’approccio accademico che perseguiva principalmente (e in larga parte ancora persegue) una organizzazione mono-disciplinare. È stata un’esperienza incredibile e se tornassi indietro forse lo farei anche gratis. IIT oggi è un pensare “cose nuove” e siamo competitivi non solo in Italia ma nel mondo. In questa sua intima mescolanza di saperi IIT è stato certamente un apripista a livello internazionale.

Quali sono le sfide del futuro che aspettano IIT?

Una delle sfide del futuro è sicuramente quella di integrare sempre di più le discipline, e poi, ragionando sugli aspetti tecnologici (ma non solo), dovremmo iniziare a pensare al dopo Intelligenza Artificiale. Il piano strategico che partirà nel 2024 pone l’AI al centro dell’attività scientifica ma dobbiamo provare a intravedere quale sarà la prossima grande svolta. Qualcosa che non può essere racchiuso in un piano di 5 anni ma che abbia un respiro più ampio: la realizzazione di un sistema artificiale in grado davvero di anticipare gli effetti di quello che sta facendo e di quello che fanno gli altri anche sulla base dello sviluppo di materiali “viventi” che si autoriparano e crescono. Un aspetto fondamentale che lega in modo indissolubile la tecnologia “biologica” (del corpo e della mente). C’è ancora molto margine per guardare lontano e ogni tanto sarebbe utile rimescolare coraggiosamente le carte. In questo senso si potrebbe pianificare di estendere l’avventura dell’Istituto Italiano di Tecnologia, programmando l’apertura di altri “IIT” focalizzati su obiettivi diversi e utilizzando l’eredità scientifica e organizzativa che istituzioni quali la nostra consegnano al futuro del nostro Paese.

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