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Speciale – IIT, una comunità vivace e produttiva

Intervista a Liberato Manna, PI della linea di ricerca NanoChemistry di IIT

Libero, quando inizia il tuo percorso in IIT?

Il mio percorso in IIT è iniziato all’incirca nei primi mesi del 2006, quando insieme a vari altri ricercatori mi è stato chiesto un aiuto per organizzare nuovi laboratori di ricerca presso la costituenda sede di IIT a Genova, e per dare una serie di consigli strategici su quali direzioni l’Istituto dovesse intraprendere. All’epoca lavoravo a Lecce (e prima ancora negli USA), ed in pochi mesi ho capito che quella struttura che stavamo costruendo a Genova, ovvero l’Istituto Italiano di Tecnologia, era un qualcosa di veramente grande e attrattivo, una sfida enorme per l’Italia. Da lì è maturata l’idea di spostarmi a Genova non appena la struttura fosse stata in grado di partire, con gli strumenti pronti. Nel frattempo, si sono susseguiti tanti eventi e il desiderio di lascare l’Italia. La vera decisione di spostarmi a Genova è poi maturata nel corso del 2008, ed è stata molto sofferta perché avevo delle alternative di carriera come tornare in California oppure andare in Olanda.

Alla fine, la scelta è stata l’IIT. I laboratori sono partiti in maniera effettiva solo all’inizio del 2009, e da allora è stato sempre un lavoro frenetico, a tratti anche esilarante, che mi ha assorbito quasi totalmente.

Com’è cambiato, se è cambiato, il modo di fare ricerca in questi anni?

In questi anni il modo di fare ricerca dentro IIT è cambiato molto. La Fondazione è rapidamente diventata una istituzione di ricerca di punta, con una struttura solida, degli uffici molto competenti che supportano il ricercatore in ogni fase del lavoro, e con un ambiente multidisciplinare costituito da circa cento gruppi di ricerca. Negli anni, anche su mia iniziativa che si ispirava a modelli di altri centri di successo, si sono costituite delle facilities di ricerca centralizzate, aperte a tutti i ricercatori di IIT (e anche esterni), che hanno permesso una notevole razionalizzazione e ottimizzazione delle attività. L’IIT è diventato un centro in grado di richiamare scienziati anche dall’estero, soprattutto per chi è ad uno stadio più avanzato della ricerca (ovvero quando si è abbastanza maturi per coordinare un proprio gruppo), grazie anche a delle condizioni di lavoro (spazi, fondi, libertà di ricerca) che difficilmente in altri posti possono essere garantiti contemporaneamente.

E così siamo diventati una comunità vivace e produttiva che lavora molto bene sia da punto di vista della ricerca di base di quella applicata, e per il trasferimento tecnologico.

Dalla creazione del tuo team ad oggi: quali differenze sostanziali hai notato tra i giovani ricercatori che lavorano insieme a te?

Il mio gruppo è in continua evoluzione ed è soggetto ad un ricambio continuo. Così come agli inizi, anche adesso non sempre è facile reclutare persone a livello di dottorandi e postdoc, in quanto la competizione internazionale è forte, molti giovani italiani di valore preferiscono andare all’estero e il sistema Italia purtroppo non è abbastanza attrattivo nei confronti degli stranieri con competenze. Tuttavia, questo non mi ha impedito di fare ricerca di alto livello e di mantenere una squadra efficiente e capace di raggiungere risultati scientifici adeguati. In più momenti ho aggiustato il tiro delle attività di ricerca, come è ovvio. Nel mio gruppo ho solo giovani ricercatori, in quanto le persone che assumo, dopo alcuni anni maturano e cercano opportunità altrove. È una palestra a tutti gli effetti, un gruppo dove ti confronti e affronti problemi interessanti e impari il mestiere della ricerca. Dopo questo percorso, sei pronto per la tua strada, in un altro posto, come dovrebbe sempre accadere in una realtà dinamica. La composizione del gruppo è sempre estremamente varia e questo rende la nostra vita lavorativa quotidiana stimolante e piacevole. I ragazzi che lavorano con me sono sempre motivati e impegnati, perché il messaggio che gli trasmetto è che tutto quello che fanno lo fanno per sé stessi, per la loro carriera, e non per me. Io sono solo un loro allenatore, un mentore, un suggeritore, e anche una sorta di levatrice, parafrasando e modificando un po’ il messaggio di Socrate, che cerca di tirare fuori da loro le cose migliori. 

Quale sarà il futuro di IIT e su cosa punterete come gruppo di ricerca?

Se il modello IIT potesse crescere ed espandersi, sarebbe un bene per il Paese. Ma non spetta a me deciderlo. È solo un auspicio. Ci sono varie sfide che ci attendono. In IIT stiamo lavorando per integrare le tecniche di intelligenza artificiale per migliorare i nostri esperimenti ed analizzare meglio i nostri dati, c’è in programma di costruire un laboratorio di sintesi robotica, c’è uno sforzo continuo di integrare sempre di più le varie anime di IIT (robotica, materiali, scienze della vita, scienze computazionali) e poi chiaramente la sfida vera è quella di sviluppare dei prodotti e delle tecnologie che davvero aiutino il nostro paese.

Come gruppo di ricerca stiamo puntando in varie direzioni, che però hanno come denominatore comune la parola “energia”. Dagli studi fondamentali (ad esempio la scoperta di nuovi materiali), fino a quelli più applicativi (come la produzione di idrogeno) abbiamo sempre in mente il loro utilizzo in processi di conversione energetica.

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