Intervista a Darwin G Caldwell, Founding Director di IIT e coordinatore della linea di ricerca Advanced Robotics (ADVR) di IIT
Sei uno dei Direttori Fondatori di IIT, selezionato attraverso un bando internazionale agli inizi della storia dell’Istituto. Quando ti eri candidato per quella posizione, l’IIT esisteva solo come progetto, era una sorta di “appuntamento al buio” con il futuro. In più lavoravi in UK. Cosa ti aveva convinto a proporre la tua candidatura?
Quella che hai appena fatto è la stessa ultima domanda che Roberto Cingolani mi fece al colloquio per l’assunzione nel 2005. Stavo per andare via e Roberto disse “Perché qualcuno di un paese anglosassone dovrebbe venire in Italia?”, io mi rivolsi al panel e risposi: “Perché non farebbero mai nulla di simile all’IIT nel Regno Unito!”, e oggi credo che non lo farebbero in molti posti. È una cosa che dico spesso: quando è nato, l’IIT era qualcosa di enorme, credo quasi di unico al mondo. Si potrebbe dire che è un po’ come il Max Planck Institute o simili, ma il modo in cui era organizzato e pensato era davvero unico. Quello che mi aveva attratto era proprio l’ambizione dell’IIT. Ciò che Roberto voleva creare era un qualcosa di veramente dinamico sulla scena mondiale, qualcosa che avesse un impatto immediato. Era previsto che dovessimo andare dall’essere nulla all’essere sulla cima del mondo. Non potevamo aspettare 50 o 100 anni per raggiungere questo obiettivo, dovevamo realizzarlo in 5 o 10 anni. Questa era la dimensione, questa era l’ambizione: passare in un brevissimo lasso di tempo da l’essere inesistente a essere leader mondiale.
La prima volta che hai visitato l’edificio di via Morego a Genova, quali sono state le tue prime impressioni e aspettative?
La prima cosa che si dovette fare era quella di trovare le chiavi. Seriamente, quando siamo arrivati in IIT il primo giorno, l’edificio era chiuso. C’ero io, con Jean-Guy Fontaine. Era il maggio del 2006. Eravamo venuti per firmare i nostri contratti e quando siamo saliti fino all’edificio, abbiamo trovato l’edificio chiuso, e non c’era modo di aggirarlo. Furono Collobiano e Cingolani che andarono a cercare le chiavi. Mentre eravamo lì in attesa, Jean-Guy andò a ripararsi all’ombra, e io mi misi al sole. Ricordo di aver pensato che la differenza tra un britannico e un mediterraneo è che il secondo sa che domani ci sarà il sole mentre il primo che domani pioverà! Quando entrammo l’edificio era solo un guscio, solo una serie di stanze e uffici che venivano utilizzati per riscuotere le tasse. Da lì a poco avremmo iniziato a pianificare come rimodellare lo spazio; molte cose vennero suggerite, alcune furono implementate, altre no. Mi ricordo che nel periodo natalizio del 2006 arrivò l’energia elettrica; nel luglio 2007 le scrivanie vennero montate in 2 settimane; a settembre c’era la rete internet. Durante i primi sei mesi tutti noi Direttori Fondatori intervistammo i nuovi candidati. Ho assistito a colloqui di lavoro su discipline che non erano mie. All’inizio, ricordo che l’ambizione era quella di puntare a uno staff di 500 persone. L’ultimo piano non doveva nemmeno essere utilizzato per lavori scientifici, ma avrebbe dovuto ospitare un incubatore. Da allora la crescita è stata pazzesca. Oggi siamo probabilmente quattro, cinque volte superiori a quanto previsto nello scenario più ambizioso. Nessuno si aspettava che l’IIT avesse il successo che ha avuto. L’Italia non aveva la reputazione di essere in grado di offrire risultati così ambiziosi, ma IIT lo ha fatto. Nel giro di cinque anni, tutti vennero a visitare l’Istituto, perché tutti volevano essere parte di quel successo. Penso che dovremmo essere incredibilmente orgogliosi di ciò che è stato effettivamente realizzato in quel periodo. Poiché onestamente credo che nessuno, al di fuori di Morego, si sarebbe mai aspettato che l’IIT accadesse.
Hai fatto parte di questa crescita. È sempre stata una sensazione positiva?
John Assad una volta mi disse: “Perché dovrei partire quando ho una posizione stabile nel Regno Unito per venire in Italia?” e io gli risposi “L’ambizione dell’IIT è tale che se non riesci a fare in modo di avere successo e costruire una bella carriera, hai fatto qualcosa di sbagliato. Anche se l’IIT chiudesse dopo cinque anni, le opportunità in quei cinque anni sarebbero tali che dovresti essere in grado di fare cose così straordinarie da rendere il tuo CV notevole”. Questo è quello che dico ancora oggi ai miei dottorandi e ai miei post-doc: nel periodo in cui sarai qui potrai crearti un CV che farà invidia a qualsiasi ricercatore al mondo. Molti degli attuali Principal Investigator hanno iniziato come studenti di dottorato e si sono fatti strada. Giorgio Metta ha iniziato come dottorando di Giulio Sandini. Nick Tsagarakis era il mio studente di dottorato prima dell’IIT, ma era il mio studente di dottorato, Claudio Semini era uno studente di dottorato, Arash Ajoudani era uno studente di dottorato, e ce ne sono molti, di più forse soprattutto nella robotica. Oggi questi sono i migliori ricercatori del mondo. Non posso parlare molto per le altre aree, ma per la robotica, se si guarda il numero dei PI che sono si sono distinti è incredibilmente alto. E penso che dipenda tutto dalla formazione che hanno ricevuto. In generale molte istituzioni possono assumere persone molto qualificate, in IIT siamo stati in grado di usare queste persone per formarne altre. Nella robotica all’IIT abbiamo una delle più alte concentrazioni dei migliori ricercatori al mondo. Ancora una volta, penso che dovremmo essere incredibilmente orgogliosi di ciò che è stato realizzato in così poco tempo. Penso che quello che abbiamo fatto lo abbiamo fatto davvero molto bene.
Il Dipartimento di Robotica Avanzata era in origine un piccolo laboratorio a metà piano dell’attuale edificio del CCT di via Morego che tu dirigevi. Oggi, 20 anni dopo, quel Dipartimento si è evoluto in diverse linee di ricerca, dove i Principal Investigator indipendenti conducono i propri studi di ricerca con i propri gruppi; alcuni di loro hanno anche lanciato delle start-up. Ricordi dei momenti o delle decisioni cruciali che hanno dato forma a questo processo?
Genova non è la città più attraente al mondo in cui venire e l’IIT era un nuovo istituto; quindi, convincere persone brave a venire all’IIT è stato difficile. La cosa che dovevi fare era attirare le persone dentro l’edificio. Una volta entrati nell’edificio e potendo vedere cosa c’era, le persone iniziavano a capire. Ti darò un esempio. Nel 2009 ho partecipato ad ICRA e ad IROS, le due grandi conferenze internazionali sulla robotica; eravamo 20 persone provenienti dal Dipartimento di Robotica Avanzata e i colleghi incontrati alle conferenze pensavano che l’IIT fosse l’Indian Institute of Technology. Due anni dopo, siamo andati a un evento simile; ho detto che ero dell’IIT e loro hanno commentato “Oh, sei dell’IIT”. Due anni dopo, siamo nuovamente andati ad un evento simile e le persone hanno iniziato a chiedere se potevano venire a lavorare in IIT. Nel giro di tre anni siamo passati dal non essere riconosciuti alla gente che diceva: “possiamo venire all’IIT?”. Ecco la velocità con cui siamo cresciuti e la rapidità con cui è cresciuta la nostra reputazione. Penso che sia stato fantastico. Ciascuno dei nuovi robot che abbiamo costruito ha essenzialmente creato un punto di riferimento. Avevamo il robot Coman, poi il quadrupede HyQ, poi l’umanoide Walkman, poi l’HyQReal. Quindi, ogni due anni circa, producevamo un nuovo robot. E ancora, ricordo che in una delle conferenze stavo parlando con qualcuno del DLR tedesco, uno dei leader mondiali. Mi ha semplicemente guardato e ha detto: “Come si costruiscono robot così velocemente?”. Sono tedeschi, fanno le cose alla tedesca, sono molto efficienti, tutto è molto professionale. L’IIT li ha semplicemente scioccati, ogni robot migliorava sempre di più. Per me è stato il segno che eravamo arrivati sulla scena mondiale. Utilizzo il DLR abbastanza spesso come punto di riferimento. Erano i migliori al mondo. Ricordo di aver avuto una conversazione con un’altra persona del DLR e lui mi disse “Sì, ci avete superato un paio di anni fa”. Forse era stato solo gentile con me, ma mi piace pensare che siamo davvero alla pari con i migliori. E sono molto felice che sia vero.
Quanto è stato importante il “trasferimento tecnologico”?
La robotica è una disciplina ingegneristica e l’ingegneria consiste nel realizzare le cose che le persone desiderano. Pertanto, il trasferimento tecnologico è una parte essenziale di qualsiasi tipo di disciplina ingegneristica. Come ricercatore pubblichi i tuoi articoli scientifici, vinci premi, ottieni rispetto internazionale, ma c’è qualcosa di speciale nel produrre cose che fanno la differenza. La crescita della robotica è stata sorprendente negli anni. Quando ho ottenuto per la prima volta il mio lavoro come docente, molti anni fa, probabilmente ho ottenuto l’unico lavoro disponibile nel Regno Unito per i cinque, sette anni seguenti. Ora ci sono 50 posti di lavoro pubblicizzati ogni giorno. Nella robotica le opportunità sono immense. Le opportunità di lavoro, le opportunità di carriera, il potenziale cresce e le candidature crescono ogni giorno. Quindi, chiunque venga all’IIT, ciò che sta realmente facendo è gettare queste enormi basi, che possono essere utilizzate per lanciare la propria carriera. E questa è la cosa fondamentale per i giovani, l’IIT è questo enorme trampolino di lancio per il futuro, sia che si tratti di una carriera accademica, o di una carriera industriale, la quale può essere all’interno di grandi aziende oppure hanno anche l’opportunità di farlo da soli. Un buon numero dei nostri ragazzi se ne sono andati e hanno creato le proprie startup. L’IIT sta ancora imparando cosa sia il trasferimento tecnologico; sappiamo cos’è la buona scienza, ora stiamo imparando cos’è il buon trasferimento tecnologico. Per accedere al trasferimento tecnologico è necessario portare la tecnologia ad un certo livello di preparazione. Dopo 10 anni ho creato nel mio Dipartimento i laboratori di Robotica Industriale, che sono diversi dagli altri perché non devono produrre articoli scientifici, ma devono risolvere problemi con e per le aziende, e avere laboratori congiunti con loro. Il loro scopo è quello di fornire risultati alle aziende.
Quale pensi che possa essere – dopo 20 anni di esperienza – l’insegnamento che l’IIT, e le generazioni più giovani, dovrebbero considerare per il futuro?
L’IIT ha avuto un ottimo inizio. È diventata una delle istituzioni più importanti al mondo. Ora siamo più in linea con il modo in cui operano i centri di ricerca internazionali. Ciò che dobbiamo fare è continuare a lavorare insieme. Il grande vantaggio dei grandi dipartimenti originali era la capacità di creare grandi progetti, poiché erano intrinsecamente trasversali ai domini. Potevi realizzare progetti enormi perché potevi riunire persone diverse. Ciò che non era possibile era cooperare facilmente con altri gruppi, come i robotici con i neuroscienziati o con gli scienziati dei nuovi materiali. Il team building sarà fondamentale per il futuro. Credo che una squadra sia migliore di una serie di individui. Una volta ho avuto un professore in visita all’IIT. Inizialmente era ostile all’IIT, come molti lo erano all’inizio, ma dopo 5 anni è venuto a trovarmi ed è stato molto positivo. Ricordo che entrò nell’ascensore, si fermò, e uscì dall’ascensore e disse: “È fantastico, è meraviglioso. L’IIT è l’America con un tocco italiano”. L’IIT era un luogo felice, non era solo un luogo dove le persone lavoravano, ma anche dove le persone costruivano amicizie. È stato questo uno dei punti di forza che ci hanno permesso di costruire l’IIT così rapidamente.