Intervista Alberto Diaspro, PI della linea di ricerca Nanoscopy & NIC@IIT di IIT
Alberto quando inizia la tua vicenda professionale in IIT?
Inizia nel 2008 dopo un incontro dedicato alle neuroscienze con Fabio Benfenati e Giulio Sandini. Sono loro che mi raccontano che il robot è catalizzatore di ricerche e le neuroscienze sono una parte importante perché, sintetizzo il concetto, per insegnar loro a ragionare serve comprendere i meccanismi di funzionamento del cervello.
Benfenati mi coinvolge in questa avventura, perché al Dipartimento di Fisica avevamo sviluppato gli studi per realizzare la microscopia ottica a fluorescenza in superisoluzione ottica, alla nanoscala. Siamo nel 2008 e la superisoluzione ottica riceverà il Nobel nel 2014, assegnato a S.Hell, W.E.Moerner e E.Betzig. Benfenati, contando sull’esperienza del nostro laboratorio tra i più avanzati del settore, pensa di realizzare in IIT un microscopio a super risoluzione ottica. È questo il momento migliore per il mio laboratorio dove fanno ricerca Paolo Bianchini e Giuseppe Vicidomini, oggi ricercatori in IIT, e Ilaria Testa, una delle ricercatrici in microscopia ottica più affermate al mondo. Benfenati mi apre le porte di IIT ma è poi, parlando con Roberto Cingolani, che condivido con lui il progetto di far crescere un gruppo che si occupi di nanobiotecnologie che per me significava occuparmi di nanofisica a tutto campo.
Si trattava di sviluppare qualcosa attorno al miliardesimo di metro, un’opportunità allettante per chi si occupa di nanofisica e uno stimolo decisivo per entrare in IIT.
Varcata la soglia dell’IIT quali erano le tue aspettative?
Ti do una risposta che può sembrare strana ma è un pensiero che avevo allora e che mi ha accompagnato per tutta la carriera ed era quello di poter dare le gambe ad una promessa che avevo fatto ad una nonna: capire quali sono i meccanismi del cancro, più in generale dei disordini patologici, su scala molecolare. Per comprenderli, e quindi cercare di essere utile, pensavo di utilizzare un metodo abbastanza naturale ovvero stare sotto la luce e quindi usare un microscopio ottico che usa sia lente che luce e sotto la quale stiamo quotidianamente per scandagliare il vivente: la superisoluzione per poter accedere alle singole molecole e potere sviluppare questi studi.
Nel primo periodo d’attività in istituto verso quali obiettivi si orientano i tuoi studi?
Nei primi anni mi sono posto tre obiettivi.
Il primo era quello di rendere in pratica il mandato che mi aveva consegnato Cingolani nel 2009: costituire un gruppo di ricercatori internazionali che formassero una squadra di studi avanzatissimi in nanofisica, oltre i miei interessi specifici che riguardano la nanoscopia ottica. Questo gruppo si amplierà molto e oggi molti PI di IIT interpretano benissimo quella nostra impostazione.
Altro versante del mio impegno nei primi anni in IIT era vincere una scommessa con Cingolani. In IIT veniva utilizzato un microscopio elettronico tra i più avanzati al mondo. Vedendo su una parete immagini di mitocondri e ribosomi ad un livello di dettaglio estremamente fine, lanciai una sfida al Direttore Scientifico: “scommettiamo che io ti farò vedere queste cose anche al microscopio ottico?”. Scommessa vinta con soddisfazione di entrambi.
Terzo obiettivo di quel periodo era quello che chiamiamo outreach, cioè far conoscere quello che realizzavamo in IIT. In quegli anni, infatti, a Genova e non solo, era difficile incontrare qualcuno che sapesse pienamente cosa stesse avvenendo nel nostro Istituto. Penso solo alla creazione dei posti di lavoro, dai duecento di allora ai duemila di oggi, era importante far sapere che a Genova vi era una struttura dove, competendo, potevi trovare una collocazione professionale. Per far conoscere IIT a livello locale ma anche nazionale (l’ambito internazionale era coperto dalle pubblicazioni scientifiche) ideai con il supporto dalla Camera di Commercio di Genova e di Alessandro Cavo i “caffè scientifici”, dove le ricercatrici e i ricercatori dell’IIT raccontavano alle persone la loro attività nei laboratori. Allora come oggi queste attività sono condotte dai nostri ricercatori con l’orgoglio di chi può raccontare con entusiasmo e partecipazione il senso e i risultati del lavoro di ricerca.
Così in questi primi anni di attività IIT entrò nella mente e nel cuore della gente.
Tu conosci molto bene sia il mondo della ricerca universitaria sia quello dell’IIT. Possono convivere questi due modelli?
Il rapporto tra IIT, Accademia e CNR è una relazione che è migliorata con il tempo. All’inizio dell’attività IIT veniva vissuta come un’istituzione che sottraeva a queste altre istituzioni fondi e persone. Si trattava, però, dell’esito di informazioni imprecise. I fondi ottenuti da IIT non erano e non sono fondi sottratti ai finanziamenti della ricerca, ma provengono da sorgenti diverse. La presenza di un centro di ricerca quale IIT ha permesso però alle università di trovare un canale per la collocazione di ricercatori con percorsi eccellenti che si sono formati negli atenei. Le università, per motivi che non sta a me giudicare, non hanno la possibilità di assorbire le persone con alto potenziale che hanno formato e quindi, poter contare su di una istituzione come IIT che, con fondi altri rispetto a quelli tradizionalmente stanziati per la ricerca pubblica, può offrire opportunità per il lavoro di ricerca, credo sia un’opzione che nel tempo è stata compresa. Così come si sono smussate le asperità su altri temi, dalle retribuzioni ai criteri di valutazione dei ricercatori. La Fondazione offre agli atenei un grandissimo servizio che viene ricambiato. La formazione per i dottorati di ricerca si amplia grazie a IIT, a sostegno dei programmi universitari.
Torniamo ai tuoi studi e alle tue ricerche. Il tuo gruppo ha raggiunto risultati eccellenti anche a livello internazionale, quanto IIT ha contribuito al vostro successo?
IIT è stato un sostegno incanalato su due elementi qualificanti. Il primo ha riguardato il reclutamento dei ricercatori con la libertà di individuare i migliori, il secondo ha permesso di offrire a costoro la possibilità di lavorare in laboratori che consentivano l’operatività immediata. IIT è al fianco dei ricercatori con un sostegno totale, e questo valore fondamentale l’ho potuto vivere anch’io quando, arrivando in IIT, ho trovato in laboratorio due persone come Matteo Mangano e Mattia Pesce, il primo lavorava in magazzino, il secondo era un tecnico di laboratorio. Inoltre, potevamo contare sull’entusiasmo e la partecipazione degli amministrativi tutti. Tutte queste persone, pur non avendo un ruolo diretto nel lavoro di ricerca, erano fondamentali per garantire al laboratorio un percorso organizzato sostenuto da supporti tecnici totalmente disponibili e appassionati. I laboratori di IIT offrono un supporto umano tecnologico unico. Un ricercatore che entra in queste strutture deve solo mettere in campo la sua bravura ed essere uno degli elementi che compongono un quadro dominato dall’armonia. L’Istituto chiede ai ricercatori, oltre a concretizzare le loro idee, di mettere in atto un circolo virtuoso che prevede la ricerca di base, la ricerca applicata e il trasferimento tecnologico. Nel caso del mio gruppo, per esempio, partiamo dalla microscopia applicata, apriamo il Nikon Imaging Center e il circolo virtuoso si conclude con la creazione di una start up, Genoa Instruments, per dare la possibilità ai giovani ricercatori, dopo anni di lavoro in IIT, di sviluppare le loro capacità in un processo industriale.
Una domanda provocatoria per un genovese doc. Perché un ricercatore dovrebbe venire a sperimentare nel capoluogo ligure?
Genova è un luogo ideale per accogliere ricercatori di tutto il mondo e, senza sminuire altre località del nostro paese, la mia città offre una condizione climatica unica. Qui possiamo godere di giornate di sole che ci fanno sentire in California, in una nostra dolcissima Silicon Valley. Possiamo guardare il mare guardando le onde mosse dal vento e farci venire nuove idee. Genova, dal punto di vista dell’accoglienza naturale, offre un’opportunità unica. I nostri ricercatori che negli anni hanno lavorato con noi hanno approfittato dell’offerta naturale di questi luoghi andando ad abitare sulle colline, mentre altri hanno deciso di godere delle temperature miti lungo la costa, diversi tra loro si sono immersi nella vita del centro storico di Genova – il più abitato e vissuto d’Europa sia come dimensione sia per il numero di abitanti. Le nostre ricercatrici e i nostri ricercatori possono contare su un ventaglio variegato di scelte residenziali. Se poi vogliamo allargare la nostra analisi al luogo di lavoro, e quindi a Morego, molte persone venti anni fa si sono domandate perché non abbiamo deciso di organizzare IIT a Quarto in una bellissima villa. La scelta di venire a Morego è pragmatica, perché ci permette di utilizzare una struttura già predisposta ad ospitare laboratori e uffici e dove non dovevamo quindi sottostare ai vincoli architettonici per organizzarci, ci ha permesso di iniziare immediatamente con le attività di ricerca. Poi, quando si è cominciato a frequentare Morego quotidianamente, ci si è accorti che anche questo era un luogo gradevole tra le colline dell’entroterra. Pensa che diversi nostri ricercatori sono riusciti a raggiungere Genova scollinando attraverso i sentieri che da Morego vanno verso il mare. IIT ripaga la città mettendo a punto start-up che creano lavoro, organizzando relazioni con le realtà industriali del territorio: penso, per esempio, alla collaborazione con il mercato ortofrutticolo e con altri importanti soggetti imprenditoriali. Tra IIT e il territorio si è creata progressivamente una sinergia molto positiva.
In questo nostro pianeta, divorato da una deriva ambientale senza pari e dalla tendenza a risolvere problemi di vario genere con conflitti armati, quale può essere il ruolo dello scienziato?
Il ruolo del ricercatore e dello scienziato è decisivo e può essere solo quello di adoperarsi per portare alle persone le proprie considerazioni scientifiche e i propri risultati, cercando di far comprendere che dando fiducia alla ricerca si può progressivamente mitigare i problemi ambientali, ma non certo risolverli. Lo scienziato potrà proporre materiali che si adattano all’ambiente realmente biocompatibili, cercherà di trovare risposte per ridurre la richiesta energetica al pianeta, mitigare il problema della carenza d’acqua per evitare la siccità. Il nostro ruolo è quello di continuare a sviluppare ricerche di altissimo livello senza mai dimenticare quanto sosteneva Galilei: la ricerca va comunicata alle persone con la massima onestà intellettuale.
Permettimi di concludere con una domanda leggera dedicata alla nostra comune passione per il cinema. Ce ne saranno tanti ma, qual è un film che può rappresentare questi venti anni di IIT?
È una risposta difficile perché come dici i film potrebbero essere tanti, ma immediatamente ho pensato a “Ritorno al Futuro”, alla DeLorean che è il veicolo che permette ai protagonisti, Doc e Marty, di viaggiare nel tempo. I protagonisti vivono nel nostro tempo dove il plutonio permette una capacità energetica enorme ma nell’epoca nella quale i due tornano osservano che durante un temporale un fulmine ha centrato un campanile e che da quell’energia si è potuto dare gambe ad un’idea, utilizzando l’unica energia disponibile in quel periodo storico.
Tutto ciò crea un parallelismo interessante con IIT, istituzione che deve continuare a fare ricerca ma al tempo stesso non deve dimenticare le cose fatte e, con la memoria del passato, continuare a progredire. La buona idea si può sviluppare con modalità differenti come racconta “Ritorno al Futuro”.