Intervista a Letizia Moratti, ex Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e Presidente Fondazione E4Impact
Dottoressa Moratti, quando lei diviene Ministro dell’Istruzione Università e Ricerca nel giugno del 2001 lavora alla riforma del sistema scolastico. Quali erano i punti sostanziali dei nuovi indirizzi?
La nostra scuola era ingessata allo stereotipo che solo attraverso il Liceo Classico si potesse affrontare l’Università. Allo stesso tempo, allora, si percepiva poi una grande richiesta di “nuove” professioni come chimici, fisici e ingegneri. Per questo, maturammo l’idea di una scuola al passo coi tempi con la proposta dell’inglese e dell’informatica fin dai primi anni e che facesse anche “innamorare” i nostri giovani alla matematica, alle scienze. Lanciammo progetti sperimentali e sgravi economici per chi avesse deciso di iscriversi a facoltà di quelle aree tematiche. In parallelo, avevamo anche l’obiettivo fondamentale di avere un’Università che garantisse un approdo al mondo del lavoro.
Con l’istruzione, la ricerca rappresentava un’altra sfera delle sue competenze di grande importanza. Qual era in quel momento la sua visione del sistema della ricerca italiano?
Il quadro che avevamo di fronte non era molto incoraggiante. La ricerca scientifica in Italia sembrava essere bloccata su un binario morto. Per molti era considerata una sorta di “vuoto a perdere”. Io e miei colleghi del Governo di allora eravamo invece dell’idea che si potesse invertire quella tendenza, dando però alla ricerca non solo finanziamenti, ma anche connotati e mission diversi. In primis, l’impegno in ricerche e attività che proponessero non solo idee, ma anche progetti concreti e soprattutto soluzioni per aiutare le imprese, per lanciare start up. Così la collaborazione con il mondo industriale divenne una sinergia fondamentale, anche nell’ottica di attirare investimenti dei privati. La nostra idea era di creare un circolo virtuoso, attrattivo per gli investitori e i talenti provenienti dall’estero.
Assieme all’allora Ministro del Finanze Giulio Tremonti, lei firma nel febbraio del 2004 l’atto costitutivo dell’Istituto Italiano di Tecnologia, si tratta per il mondo della ricerca italiano di una iniziativa innovativa che nasce sulla scorta di simili esperienze internazionali. L’operazione suscita entusiasmo e adesione da parte dei fautori dell’innovazione ma anche scetticismo e critiche dai settori più conservatori dell’Accademia. Qual era la sua posizione e quali erano le sue aspettative per questo importante investimento politico ed economico?
L’impegno prioritario del Governo all’inizio della legislatura era la promozione della capacità d’innovazione nelle imprese attraverso aggregazioni sistemiche sul territorio. L’obiettivo era una maggior competitività delle aree produttive ad alta intensità di export rilanciandole attraverso la ricerca e lo sviluppo di tecnologie, chiave di volta per innovazioni di prodotto, di processo e organizzative. Tra l’altro, questo territorio era da poco rimasto “orfano” dell’industria “pesante” di Stato. Da lì si iniziò a partorire l’idea dei distretti tecnologici a servizio del territorio con una concezione in discontinuità rispetto al passato. Abbiamo dato vita a 11 distretti high-tech e sul piano internazionale vennero siglati numerosi accordi per lanciare iniziative di ricerca di comune interesse. Tali accordi per la prima volta prevedevano la reciprocità di impegni anche finanziari con le più importanti istituzioni di ricerca di USA, Israele e Giappone. Su queste basi iniziammo a pianificare la creazione di un Istituto di ricerca di eccellenza che contribuisse allo sviluppo scientifico e tecnologico del Paese. Oltre all’investimento economico, stabilimmo criteri guida che sono risultati vincenti come la crescita e valorizzazione del capitale umano, l’eccellenza e meritocrazia nella ricerca, la multidisciplinarietà, l’internazionalizzazione, la collaborazione pubblico-privato, la pluralità di fondi e di meccanismi di finanziamento, la valutazione di quanto fatto.
Oggi, dopo venti anni di attività, IIT ha realizzato gran parte degli obiettivi scientifici che erano stati individuati agli albori dell’attività, sostenuti da una proficua azione del trasferimento tecnologico. Nel Paese sono sorte altri centri simili a IIT. Meritocrazia, internazionalizzazione, multidisciplinarietà sono tra gli architravi che sorreggono questo modello. Qualche cosa è cambiato da quel febbraio del 2004. La sua visione e quella dell’Onorevole Tremonti hanno dimostrato nel tempo tutta la loro portata innovativa. Come risponderebbe oggi alle critiche?
Molto banalmente che tutte le novità vanno valutate nel loro concreto, senza pregiudizi e soprattutto, e a maggior ragione per questa esperienza, nel medio-lungo periodo.
Adesso, alla luce di queste esperienze ma anche al cospetto di prospettive economiche poco decifrabili, quale pensa debba essere l’apporto della ricerca?
La sostenibilità economica gioca un ruolo fondamentale. Sfruttare al meglio le risorse a disposizione è un obiettivo che non deve mai venire meno, specie se si vuole continuare ad avere un ruolo chiave nello sviluppo scientifico del Paese. L’IIT ha dimostrato come si possa promuovere in modo eccellente l’innovazione tecnologica e interagire in modo virtuoso con l’industria. Bisogna proseguire su questa strada, puntando a crescere, migliorarsi, ad accettare nuove sfide, essere innovativi, pragmatici e con una visione di prospettiva. Del resto, le nuove sfide per la nostra ricerca sono attualissime e affascinanti: basti pensare alle applicazioni dell’intelligenza artificiale o alla possibilità di ridurre i consumi energetici e contrastare il cambiamento climatico, per non parlare dell’attenzione per la salute.
Un accenno sentimentale in conclusione. Quando venne decisa la creazione dell’Istituto Italiano di Tecnologia la sede non fu stabilita a Roma o Milano ma a Genova, sulla scorta di tutta una serie di considerazioni logistiche e di sviluppo del territorio ampiamente condivisibili. I suoi genitori sono entrambi genovesi. IIT rappresenta per lei, oltretutto, anche un legame con le sue radici?
Certo, ho particolare affetto per tutti i luoghi e i territori che riportano ai ricordi della mia famiglia o della mia giovinezza. È un legame, per Genova come per altre città, che ho sempre voluto non solo mantenere, ma anche coltivare. È anche per questo che l’anniversario dell’IIT rappresenta un ulteriore motivo di orgoglio.