Come la realtà estesa e le sue tecnologie cambieranno i musei del futuro
È un segreto che si tramanda dalla notte dei tempi: le belle storie ci catturano.
Le narrazioni sono antiche quanto il genere umano. Grazie a un racconto, le persone entrano in contatto le une con le altre, formando legami. Ogni comunità umana si alimenta di storie proprie, che ha creato, conservato e tramandato. Storie che spesso ruotano attorno a un oggetto, a un segno che proviene dal passato e racchiude qualcosa da scoprire. Quando visitiamo un museo, le opere più carismatiche sanno parlarci. Durante questi momenti di dialogo, possiamo immaginare, scoprire una trama e il piacere di rileggerla in prima persona. E’ così che facciamo un’esperienza della cultura, saldando ogni nuova conoscenza alla memoria.
Siamo menti narrative, sempre pronte ad immedesimarsi, ad inseguire un racconto avvincente, piuttosto che la semplice nozione o la teoria. Per questo i musei hanno bisogno di professionisti capaci di narrare, storyteller che sappiano trovare risposte per gli interrogativi dei visitatori, farli sentire protagonisti, coinvolgerli. Narratori che operano, a differenza del passato, con strumenti sempre più innovativi, spesso ai confini dello stato dell’arte più avanzato della tecnologia della comunicazione, muovendosi, con disinvoltura e consapevolezza, lungo l’ampio repertorio di media e canali che la trasformazione digitale ha generato.
Lo storytelling di ultima generazione coltiva un rapporto stretto con l’innovazione, non esita a ricercare nuove opportunità e spunti creativi nella pluralità delle soluzioni tecnologiche. Ne deriva un aumento della complessità narrativa che ricorda i grandi mutamenti avvenuti nel passato, quando i canovacci del racconto orale, con il diffondersi della stampa, lasciarono il campo ai formati ben più complessi e strutturati della narrazione scritta. Analogamente, le storie immersive e interattive di oggi ricercano nuovi paradigmi, si spingono oltre la tradizionale funzione di mediare tra il mondo fisico e l’immaginazione, ed estendono la realtà percepita di nuove dimensioni digitali, fino a renderla, se necessario, esperienza puramente virtuale.
In questa esplorazione di mondi narrativi da reinventare, l’apripista più intraprendente è sicuramente oggi la realtà estesa (XR, Xtended Reality), un insieme di tecnologie che spazia dalla realtà virtuale a quella aumentata, fino alle soluzioni ibride della realtà mista. Si tratta di dispositivi immersivi che trasformano la visita museale in un’avvincente esperienza in soggettiva, che permette al visitatore di accedere a contenuti digitali creati appositamente per la valorizzazione dei beni culturali e contestualizzati spesso ai minimi dettagli delle opere e dei monumenti. Una progettazione narrativa che si avvalga di queste tecnologie richiede una professionalità molto articolata che sappia tenere insieme un ampio assortimento di soft skill con competenze verticali spesso molto specifiche. Un saper fare in grado di unire il rigore della validazione scientifica alla creatività del lavoro autoriale, ricercando, anche con spirito proattivo, punti d’incontro inediti tra i saperi scientifici, umanistici e tecnologici.
Lo storytelling immersivo mostra un trend di crescita che promette di essere dirompente. Una diffusione guidata da diversi driver, dal forte interesse manifestato dagli operatori culturali all’apprezzamento crescente del grande pubblico, al moltiplicarsi di agenzie creative specializzate nella narrazione immersiva, fino alla spinta dei produttori di visori immersivi che prevedono una crescita del settore dirompente. Secondo le stime degli analisti di IDC, si venderanno nell’arco dell’anno 8,9 milioni di visori AR/VR, con un incremento rispetto al 2018 del 54,1%.
L’impatto innovativo dello storytelling di nuova generazione per la valorizzazione del patrimonio culturale non resterà confinato al momento della fruizione in presenza del museo, ma si estenderà alle fasi della pre-visita e post-visita. Ciò consentirà nuove prospettive di valorizzazione, offrendo la possibilità di dilatare nel tempo l’esperienza del visitatore, coinvolgendolo, prima e dopo la visita al museo, con specifici contenuti digitali, progettati per la socializzazione del vissuto e la condivisione sui profili social.
Le strategie di rete, permesse dalla disponibilità di narrazioni in formato digitale, non si limitano all’engagement dei visitatori ma, più in generale, possono contribuire a riposizionare le istituzioni culturali all’ecosistemi territoriali dell’innovazione, come un punto di riferimento nella narrazione identitaria e valoriale del soft power italiano e del nuovo Made in Italy. Il connubio tra tecnologia digitale e beni culturali può infatti favorire la diffusione di narrazioni dal contesto culturale in altri settori, rivitalizzando la funzione abilitante che il patrimonio culturale italiano ha storicamente svolto nei momenti più floridi dello sviluppo sociale ed economico del Paese. Un ruolo di cross-fertilization che la cultura italiana può riprendere ad esercitare, rendendo più permeabili i confini tra le discipline umanistiche, le tecnologie e i settori economici, generando quella convergenza continua tra innovazione e heritage culturale, che si ritiene debba connotare la via italiana all’industria 4.0. Una sinergia oggi sempre più confinata nel design e nel comparto turistico, ma che in passato ha saputo coinvolgere i settori portanti dell’economia e della società. Un soft power che oggi richiede narrazioni rinnovate, al passo dei tempi e delle nuove pluralità culturali.
Altrettanto promettenti sono le potenzialità dell’applicazione dello storytelling immersivo del patrimonio culturale in un settore cruciale per il futuro delle nuove generazioni: l’educazione. Un settore che oggi incontra difficoltà crescenti nel tenere il passo della trasformazione digitale. La crescente produzioni di contenuti narrativi digitali e immersivi, già scientificamente validati in ambito museale, può rappresentare un patrimonio didattico ad oggi inesplorato, finora confinato e circoscritto alle attività didattiche che il museo ospita al proprio interno. La natura digitale di questi contenuti permetterebbe di renderli facilmente condivisibili con gran parte del sistema scolastico italiano, introducendo una valorizzazione ulteriore del patrimonio culturale. Una sinergia con le istituzioni educative che potrebbe solo favorire quella funzione di abilitatore di rete che l’istituzione museale sta perseguendo nelle migliori pratiche internazionali: da luogo di conservazione e tutela del patrimonio culturale a spazio sempre più pensato per la valorizzazione e la fruizione, fino alle istanze più innovative che la vedono come laboratorio di educazione permanente, luogo di cittadinanza e progettazione civica, vero e proprio centro di ricerca e sviluppo della comunità.
Raffaele Maurici è presidente di Innovation Agency e membro del comitato direttivo dell’Istituto Italiano di Bioetica.Photo credit: ETT Spa