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“Time’s Kid of the Year”: un segnale per diffondere l’importanza della ricerca?

Intervista a Camilla Coletti, coordinatrice del 2D Materials Engineering Lab di IIT e di IIT Graphene Labs

Il TIME ha, per la prima volta nella storia editoriale del magazine, nominato il “Time’s Kid of the Year” 2020, Gitanjali Rao, una ragazzina di 15 anni del Colorado che da diversi anni si distingue come innovatrice e scienziata, appassionata di tecnologia e dal 2017 conosciuta per grandi scoperte, come uno strumento per rilevare il piombo nell’acqua potabile contaminata, o ancora uno strumento per affrontare la dipendenza dagli oppioidi, o un altro ancora per rilevare il cyberbullismo nella rete.

È l’ultimo di tanti riconoscimenti ricevuti, nel 2019 è per esempio entrata nella lista Forbes 30 Under 30.  Il TIME l’ha scelta tra 5mila candidati, statunitensi tra gli 8 e i 16 anni. 

Camilla, la scelta di questa nuova figura da parte del TIME potrebbe, secondo te, essere un importante segnale di riconoscimento della scienza e della ricerca come strumento di conoscenza fondamentale per i giovani e che vanno educati sin da piccoli?:  il fatto che la prima Time’s Kid of the Year sia una ragazza di 15 anni che da anni opera nel campo STEM come inventrice e divulgatrice è sicuramente un segnale positivo dato dal giornale per sottolineare l’importanza della scienza, soprattutto in questo periodo così difficile per la nostra società. I giovani sono il nostro futuro ed è estremamente importante educarli ad essere curiosi ed “appassionati di conoscenza”, al non fermarsi alla superficie ma al voler “ricercare” ed approfondire. Anche se devo ammettere che personalmente non amo particolarmente l’idea del premio under 18, comprendo pienamente l’importanza per i teenagers di riconoscersi o essere ispirati da modelli positivi, e la volontà del Times di rendere la voce dei giovani “forte e ascoltata”.  Il fatto che sempre più giovani intraprendano lo studio di discipline STEM è una delle basi che ci permetterà di costruire una società e un futuro migliori.

Forse in un periodo di grande difficoltà della comunicazione della scienza dovuto all’emergenza sanitaria questo riconoscimento può essere la strada da perseguire per dipanare questa difficoltà in futuro? Penso che le difficoltà di comunicazione scientifica di oggigiorno non debbano essere viste in maniera prettamente negativa. Mi spiego: la ricerca scientifica è improvvisamente (e finalmente!) riconosciuta centrale, è un main topic, se ne parla tanto. E quando l’attenzione su di un tema è tanta può accadere che delle informazioni siano veicolate in maniera poco chiara. Ma nel 2020 il ruolo della scienza è riconosciuto essere fondamentale. Basti pensare che lo State of Science Index 2020 mostra che l’immagine della scienza è in ascesa a livello globale: l’89% degli intervistati si fida della scienza e lo scetticismo decresce per la prima volta in 3 anni. A completare il quadro, il 92% degli intervistati a livello globale ritiene che le misure messe in atto per contenere la pandemia globale dovrebbero seguire la scienza, rivelando un’ulteriore dimostrazione di fiducia nei confronti della stessa. Per tornare a noi, il premio Time’s Kid of the Year 2020 riconosce l’importanza che nel mondo d’oggi ha una formazione di tipo STEM. Ma il premio di per sé (che quest’anno è stato assegnato ad un’inventrice che opera in campo scientifico ma il prossimo potrebbe essere assegnato a ragazzi che si adoperano con successo in altri campi) non sarà la soluzione per colmare le difficoltà di comunicazione che in alcuni casi la scienza ha incontrato, lo vedo piuttosto come un premio “figlio del 2020”: un anno in cui è diventato improvvisamente chiaro come la ricerca può salvare l’umanità.

Cosa stanno facendo l’Europa e l’Italia per riconoscere l’importanza della scienza e scardinare alcuni cliché tipici della ricerca e del mondo accademico (gender per esempio). L’Unione Europea riconosce che la ricerca è il fondamento del progresso economico e sociale. Per questo motivo l’EU ha gradualmente aumentato negli ultimi anni i fondi dedicati alla ricerca e all’innovazione scientifica. Basti pensare che i finanziamenti per ricerca e innovazione sono aumentati del 23% in Horizon 2020 (2014-2020) rispetto al settennio precedente (è il trend è simile per Horizon Europe). Se parliamo di gender gap possiamo apprezzare gli sforzi che negli ultimi anni l’Europa sta facendo su questo topic che è riconosciuto essere a “cross-cutting issue”, un problema trasversale. È notizia recente che la Commissione Europea darà alle istituzioni pubbliche che vogliono qualificarsi per il programma di finanziamento Horizon Europe un anno di tempo per definire e accordarsi su piani d’azione per la gender equality. Purtroppo ad oggi l’Italia è ancora fra gli ultimi stati europei per quanto riguarda la percentuale di donne scienziate ed ingegnere, secondo Eurostat nel 2018 erano in Italia il 34% (la media Europea è del 41% con una virtuosa Lituania al 57%). Uno dei problemi è sicuramente attrarre studentesse in aeree STEM, ma non basta incentivare le iscrizioni femminili in facoltà scientifiche. Sappiamo che le non pari opportunità di carriera e il poco adiuvante impianto socio-economico portano molte donne ad interrompere il proprio percorso accademico. Le donne al vertice in ambito accademico in Italia sono ancora troppo poche (la percentuale femminile decresce drammaticamente via via che aumenta la seniority). C’è ancora strada da percorrere, e per questo auspico un numero sempre maggiore di interventi da parte dell’Europa e del governo italiano volti a scardinare la disparità di genere.

So che sei entrata a far parte di una nuova iniziata messa a punto da The Graphene Flagship denominata The Diversity in Graphene, vuoi raccontarci di cosa si tratta? Diversity in Graphene è un’evoluzione della precedente iniziativa Women in Graphene (lanciata all’interno del progetto bandiera Graphene) che ne amplia i contenuti e lo scopo. È una piattaforma per discutere e cercare soluzioni a problematiche relative a qualsiasi disparità che si possa incontrare nel mondo della scienza, come ad esempio genere, etnia o religione. L’obiettivo ultimo è quello di promuovere la parità di genere e l’inclusione di minoranze all’interno del progetto Graphene. Sono molto orgogliosa di questo ruolo, spero di poter contribuire nel mio piccolo al processo di crescita verso una società scientifica sempre più inclusiva.

 Nel tuo ruolo di mamma, qual è l’importanza che dai all’educazione della scienza e della ricerca avendo i tuoi figli entrambi i genitori scienziati? Ai nostri bambini Elettra e Ludovico, di 8 e 5 anni, io e mio marito cerchiamo di insegnare ad essere curiosi e appassionati. Inevitabilmente, hanno respirato l’aria di laboratorio sin da subito (la prima uscita di mia figlia a pochi giorni dalla nascita è stata proprio per raggiungere l’istituto dove lavoro). Alla loro tenera età hanno già esfoliato grafene partendo da una matita e fatto nanoparticelle d’oro partendo dal succo d’ananas, ma la cosa importante è che l’hanno fatto divertendosi! Ritengo che sia importante che a tutti i bambini e ragazzi sia data la possibilità di potersi innamorare della scienza. Proprio per questo negli ultimi anni mio marito Valerio ed io siamo stati attivi nelle scuole grazie ad un progetto (di cui è capofila Valerio) che è stato prima finanziato dal MRS Foundation (Grassroots) e poi da associazioni locali per far conoscere le attività degli scienziati e le nuove frontiere della scienza a studenti e docenti delle scuole superiori. È importante che a tutti i ragazzi sia data l’opportunità di approcciarsi al mondo della ricerca, conoscerla ed innamorarsi di essa.

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