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Un laboratorio da COP26

Intervista a Fabrizio Pirri, coordinatore del Center for Sustainable Future Technologies di Torino di IIT

COP26 a Glasgow ha acceso i riflettori sulla ricerca di nuovi parametri produttivi che riducano l’impatto ambientale creato dalle emissioni di sostanze inquinanti nell’aria. Gli scienziati saranno i protagonisti di quest’immane sforzo concentrato sull’individuazione di tecnologie ecocompatibili.

All’IIT di Torino questo è un impegno profuso da tempo come ci ricorda Fabrizio Pirri, coordinatore del CSFT@PoliTo – Torino.

Oggi la tecnologia è matura per produrre un quantitativo di energia rinnovabile sufficiente per alimentare la rete elettrica. Il progetto “mission innovation” che è parte del COP26 ha come obiettivo che un numero consistente di Paesi Occidentali entro il 2030 possano utilizzare il cento per cento dell’energia elettrica prodotta da sorgenti rinnovabili. Questo intervento prevede un rinnovo delle reti elettriche e una loro maggiore integrazione con le reti di distribuzione gas, che presto trasporteranno idrogeno e metano green. Inoltre, essendo l’energia rinnovabile non continua si dovranno aggiungere alla rete una serie di tecnologie di stabilizzazione intervenendo su procedimenti che permettano d’immagazzinare l’energia quando quest’ultima raggiunge dei picchi che non sono utilizzabili per poi recuperarla quando si verificano delle “valli”. Questi interventi si concretizzano nello sviluppo di metodi di stoccaggio elettrico: batterie e supercapacitori, metodi di stoccaggio chimico, idrogeno o metano green. L’idrogeno prodotto da energia rinnovabile, non solo attraverso gli eccessi della rete ma anche attraverso un’attività produttiva dedicata basata su energia rinnovabile, farebbe in modo che una parte della richiesta mondiale di energia potrebbe essere soddisfatta da questo gas. Sicuramente vi saranno delle attività e dei contesti in cui l’idrogeno non potrà essere utilizzato ma in questo caso l’impiego di combustibili green, metano o combustibili sintetici prodotti dagli scarti a base carbonio, permetteranno un impatto nell’ambiente di zero emissioni di CO2. Questa è la direzione da intraprendere e sulla quale stiamo lavorando. Ma per raggiungere obiettivi significativi serve che la politica intervenga per normare l’utilizzo di queste fonti di energia, diminuendo l’impostazione solamente impositiva che si materializza nell’imposizione fiscale addossata sul comparto energetico e supportando le aziende che intendono intraprendere una riconversione delle loro attività produttive verso la filiera della transizione ecologica. Se la politica comprenderà che le imprese sono disposte a produrre ed a utilizzare fonti energetiche rinnovabili e combustibili green e se queste ultime divengono profittevoli, anche perché alleggerite da opprimenti prelievi, sicuramente faremo un grande passo avanti verso il miglioramento dell’ecosistema”.

Il lavoro dei tuoi ricercatori nel centro che dirigi è quindi finalizzato a sviluppare nuove tecnologie a impatto ambientale zero?

Certo. Il centro di Torino è nato nel 2017 con l’obiettivo di studiare la transizione energetica verso la “zero carbon economy” che significa presidiare e studiare quelle tecnologie che permettono la bassa emissione di CO2 o di catturare la CO2 e trasformarla in molecole chimiche ad alto valore aggiunto tra cui i combustibili. Negli anni recenti, valutando la crescente attenzione del sistema economico verso l’idrogeno, abbiamo convertito una parte dei laboratori potenziandoli in modo da poter presidiare le tecnologie di produzione e stoccaggio dell’idrogeno e il suo utilizzo nei dispositivi denominati fuel cell. Oggi il centro lavora su tre direttrici: la prima è quella della produzione, stoccaggio e utilizzo in fuel cell dell’idrogeno, la seconda è concentrate sulla cattura della CO2 e sulla sua valorizzazione in chemicals ad alto valore aggiunto. La terza direttrice di ricerca è un’area che nel nostro Paese continua a rimanere inspiegabilmente in un cono d’ombra: lo stoccaggio elettrico. In un sistema produttivo complesso ed in continua mutazione noi avremo bisogno anche di efficienti apparati per lo stoccaggio elettrico. Dovremo lavorare più che sulle batterie, scarsamente sostenibili del punto di vista ecologico e dei materiali strategici, sui supercapacitori.

Mi sembra di capire che i supercapacitori rappresentino una forte opportunità per la costruzione di un percorso green.

È così. Infatti i super capacitori possono essere già realizzati con tecnologia verde, le batterie per contro sono costruite con materiali non ecosostenibili e di difficile reperibilità. I supercapacitori sono in grado di adattarsi a condizioni di contorno non stabili e possono essere utilizzati (in stoccaggio e prelievo di energia) anche in condizioni non ottimali dal punto di vista degli agenti esterni. Una parte del rapporto tra i produttori di energia e utilizzatore di energia dovrà sempre più essere affidato ai supercapacitori, i quali assomigliano sempre più ad una batteria in termini di prestazione. Il nostro laboratorio si è concentrato su questa nicchia della ricerca. Nei prossimi mesi sarà attiva una dry room che realizzerà pacchi supercapacitori a livello industriale.

IIT ha un rapporto consolidato con l’Università. Un buon esempio di collaborazione tra due enti molto importanti protagonisti della ricerca del nostro Paese

I rapporti con il Politecnico di Torino sono ottimi. Una parte consistente dei laboratori oggi estesi su circa 3000 m2 e quelli che si stanno mettendo a punto per altri 1500 m2 sono realizzati con questa istituzione. Gli spazi gestiti dal parco tecnologico, nel quale siamo, sono in parte utilizzati dal Politecnico e in parte utilizzati da IIT in sharing. Il mio sogno è quello di ampliare questi spazi finanziando l’operazione con i fondi del PNNR e sviluppare ulteriormente con POLITO, e spero anche con UNITO, i nostri programmi di ricerca. Vorrei riuscire nei prossimi due anni a mettere a punto tre linee pilota. Oltre la dry room in grado di “impacchettare” supercapacitori a livello preindustriale. Una linea pilota che sia in grado di prototipare e testare elettrolizzatori per la produzione d’idrogeno e una linea che sia in grado di realizzare e testare fuel cell per l’utilizzo dell’idrogeno nella produzione di energia elettrica. Questa linea pilota sarà in grado di realizzare e testare anche i parenti stretti delle fuel cell, i sistemi per la riduzione della CO2.

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