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Una strategia di sviluppo sostenibile per ridurre le diseguaglianze

Intervista al Professor Enrico Giovannini

Il Professor Enrico Giovannini è il Direttore Scientifico dell’ASviS – Alleanza Italiana per Lo Sviluppo Sostenibile. È stato anche Ministro della Repubblica nel Governo Letta e nel Governo Draghi. Economista e statistico, ha ricoperto la carica di Chief Statistician dell’OCSE e Presidente dell’ISTAT.

ASviS e IIT hanno messo a punto un programma di collaborazione anche per il Festival dello Sviluppo Sostenibile in corso in tutta Italia ed è l’occasione per parlare con il Professor Giovannini di sostenibilità e futuro.

“La sostenibilità tiene acceso il futuro” è il messaggio chiave del Festival dello Sviluppo Sostenibile che ASviS organizza dall’8 al 24 Maggio in tutta la penisola. Professore, come questo slogan si cala nella nostra realtà?

Tutte le indagini d’opinione ci mostrano come le persone, e in particolare i giovani, siano preoccupati del futuro, tanto che è in aumento la domanda di supporto psicologico. Le persone sono preoccupate per l’emergenza climatica, subiscono ancora gli strascichi asociali della pandemia, sono colpiti od osservano la crisi energetica. Tutti fattori che rendono molto complesso il loro procedere. Come si diceva con una battuta, “il futuro non è più quello di una volta”. I più recenti rapporti delle Nazioni Unite dimostrano come questi eventi ci abbiano sospinto indietro rispetto agli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Nell’Odissea, quando i compagni di viaggio di Ulisse, in prossimità di Itaca, aprono l’otre che avevano ricevuto in dono, scatenano i venti contrari che risospingono la nave al punto di partenza, l’isola di Eolo. Questa è la fotografia della situazione allo stato attuale, condizionata anche dallo shortermismo, cioè la ricerca di vantaggi nel brevissimo termine, tendenza molto radicata nella nostra società. Infatti, non siamo tutti d’accordo nel voler cambiare oggi, sopportando i costi del cambiamento, per avere un futuro migliore. La partita si sta facendo dura anche perché sono entrate in campo forze robuste che, attraverso le lobby o con fake news, sostengono che il tentativo di trasformazione verso un futuro sostenibile è troppo costoso. Quindi lo slogan “la sostenibilità tiene acceso il futuro”, che ha nello spot messo a punto per il Festival una sintesi emozionante, è un grande invito a tutti a mobilitarsi per tenere acceso il futuro. Noi sappiamo, anche attraverso diverse analisi ed esperienze passate, che quando il futuro fa paura le persone sono pronte a tutto pur di essere rassicurate, rinunciando alle democrazie e affidandosi a personalità forti.

Qual è lo stato d’avanzamento dei lavori nel nostro Paese per l’attuazione dell’Agenda 2030?

In alcuni campi sono stati fatti dei passi in avanti significativi, come sull’economia circolare, campo nel quale molte imprese italiane sono diventate leader mondiali. Su educazione e salute vi è stato un progresso costante ma poi la pandemia ci ha fatto arretrare. Sulle energie rinnovabili siamo indietro: per questo, il PNRR e altri investimenti dovrebbero produrre un’accelerazione indispensabile. Attendiamo poi anche il PNIEC (strumento con cui gli Stati Membri identificano politiche e misure per il raggiungimento degli obiettivi energia e clima al 2030 N.d.R.) per capire quale sarà la strategia del Governo sul futuro del sistema energetico. Vi sono evidenze negative per quanto riguarda gli ecosistemi marini e gli ecosistemi terrestri. Il tema delle disuguaglianze è una pressante negatività, non da oggi, tant’è vero che, dal biennio 2012-13 quando esplose la crisi dei debiti sovrani, non abbiamo più mostrato significativi miglioramenti. Abbiamo bisogno di migliorare notevolmente su diversi obiettivi, da considerare tutti insieme attraverso una governance più robusta delle politiche pubbliche, che renda le politiche settoriali più coerenti: per questo chiediamo al Governo di varare la nuova strategia nazionale di sviluppo sostenibile, già predisposta e che deve essere solo approvata dal Comitato Interministeriale per la Transizione Ecologica.

L’International System Change Compass è una metodologia di valutazione per stabilire la coerenza delle politiche di sviluppo sostenibile. Ce ne può parlare?

L’Italia, grazie allo sforzo dell’ISTAT, di tutto il sistema statistico nazionale e dell’ASviS, è molto più avanti rispetto ad altri paesi nella misurazione dello stato del Paese sui diversi Obiettivi di sviluppo sostenibile. Quando nel 2010 sviluppammo gli indicatori di Benessere Equo e Sostenibile (BES), ben cinque anni prima rispetto all’Agenda 2030, mostrammo come l’Italia aveva già dei dati su tanti fenomeni che invece non sono misurati o non erano misurati in altri paesi. Dove invece non riusciamo a fare passi avanti, ma non si tratta di un problema italiano bensì internazionale, è nella volontà per riuscire a superare la logica del Prodotto interno lordo (PIL) come misura del benessere. Per decenni questa valutazione ha certamente funzionato, visto che era strettamente correlata con salute, alimentazione e molti altri parametri positivi del nostro sistema sociale. Ora, però, con la crisi climatica, il progressivo danneggiamento dell’ambiente e l’aumento delle diseguaglianze, quel metro di valutazione non regge più. Nel corso di questo mese verrà organizzato al Parlamento Europeo un importante convegno su questi temi. L’obiettivo dell’Unione Europea, magari attraverso la creazione di una commissione di alto livello su questo tema, dovrà essere quello di fare pressione sugli organismi internazionali per sanare un macroscopico errore del passato, quello cioè di assimilare il benessere alla crescita quantitativa della produzione. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Guterres ha inserito il superamento del PIL nell’agenda del Summit sul futuro che ci sarà il prossimo anno. Ma con cosa sostituire questo parametro così consolidato? Abbiamo fino ad ora elaborato degli indicatori che però non hanno una metrica unica, come quella monetaria: ad esempio, ogni volta che tentiamo di calcolare la biodiversità in valori monetari, ci scontriamo con enormi problemi di quantificazione e quindi anche d’incertezza. Quello che si dovrebbe fare è una revisione profonda del Sistema dei conti nazionali con cui si calcola il PIL mettendo al centro il benessere delle persone e del pianeta, non la produzione. Per le persone, il benessere è uno stato fisico e mentale in cui la produzione fisica dei beni è strumentale. Quindi potremmo immaginare un PIL costruito totalmente sui “servizi”, perché come dice l’attuale Sistema dei conti nazionali il valore di un servizio deriva dal cambiamento che la fruizione del servizio produce nel consumatore. Lo star bene è una condizione che può essere generata attraverso servizi o beni, che però sono input intermedi, non finali. Accanto a questi dovremmo inserire il benessere degli ecosistemi, riprendendo quello schema a due pilastri che avevamo elaborato all’OCSE nel 2009 che vedeva da una parte il benessere della persona e della società e dall’altra il benessere degli ecosistemi. In questo modo, si potrebbe rivedere alla radice tutto il processo con cui oggi si calcola il PIL: e l’Unione europea dovrebbe prendere un’iniziativa politica per andare in questa direzione, superando le resistenze di quei paesi che vedono nel cambiamento della classifica uno svantaggio per la loro posizione di potere.

Innalzamento delle temperature e spettro della siccità: come la ricerca può offrire nuovi modelli di sviluppo più sostenibili?

I due temi della lotta alla crisi climatica sono mitigazione e adattamento. Per la mitigazione, e in parte anche per l’adattamento, serve un grande salto tecnologico. La ricerca deve trovare soluzioni per ridurre, ad esempio attraverso l’agricoltura di precisione, l’input di acqua per unità di prodotto. Si tratta di un intervento fondamentale per assicurare un futuro sostenibile per tutti, che però deve essere accompagnato anche da un cambiamento culturale, perché devono cambiare pure le scelte delle persone. Pensiamo alla dieta alimentare che, se è costruita su un massiccio consumo di carne rossa, genera effetti significativi sul cambiamento climatico e sul consumo di acqua. Abbiamo poi un grande problema di adattamento. Secondo l’IPCC, principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici, osserviamo già l’aumento di 1,2 gradi di temperatura e raggiungeremo un incremento di 1,5 gradi nel 2034 anziché nel 2050. In una situazione del genere, oltre che rafforzare gli interventi per la mitigazione è necessario pensare ad investimenti per l’adattamento, più costosi ma anche più praticabili sul piano politico. Anche in questo ambito la tecnologia ci consente di essere più efficienti.

È da poco passato il primo maggio. Mondo del lavoro e sostenibilità camminano insieme?

Assolutamente sì. Abbiamo sottolineato per anni che la sostenibilità non è solo ambientale, ma è anche sociale. L’eventuale insostenibilità sociale rende insostenibile la dimensione istituzionale e quindi non consente di far avanzare l’agenda per la transizione ecologica. In questo ambito entra con prepotenza il tema delle diseguaglianze che continuano a crescere, sia quelle di mercato che quelle dovute a politiche redistributive inadeguate. Crescono, e molto, le diseguaglianze di mercato, con una concentrazione della ricchezza e del reddito sempre più elevata e nelle mani di pochi. Ciò è considerato, giustamente, inaccettabile. Non solo perché produce delle ineguaglianze di risultato enormi, ma anche perché genera diseguaglianze di opportunità. Tutti gli studi ci dimostrano che per una bambina o bambino che nascono in una famiglia povera le probabilità di rimanere poveri è altissima. L’ascensore sociale non è bloccato solo per la generazione attuale, ma anche per quelle future. Ciò non è accaduto per caso, ma per precise scelte politiche: con la svolta degli anni ottanta del secolo scorso voluta da Thatcher e Reagan si è scelto un capitalismo degli “shareholder” invece che quello degli “stakeholder”. Come disse Kennedy “se la marea sale salgono tutte le barche ma se alcune sono troppo pesanti rischiano di finire sott’acqua”. Quindi non basta far crescere l’economia per garantire lo sviluppo, si deve riuscire a redistribuire le ricchezze accumulate. Inoltre, viviamo in una continua distorsione della valutazione del debito economico e del debito sociale ben rappresentata giorni fa da un tweet amaro postato dall’economista Olivier Blanchard, ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale: “un giorno, in un angolo di Terra remoto e desolato, un economista incontra una persona e dice: <<ormai il nostro pianeta è invivibile però ti do una buona notizia: il debito pubblico è inferiore al 60%>>”.

Professore, lei è stato Ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili nel Governo Draghi. Cosa rimane a lei e al Paese di quell’esperienza?

È stata un’esperienza straordinaria da tanti punti di vista, anche da quello umano. Ho imparato molto e ho potuto apprezzare le grandi qualità del team che si era creato. Sicuramente una delle esperienze più positive della mia vita. Ho quasi ultimato la stesura di un libro che analizza questa esperienza. Oltre a ciò,  rimangono 104 miliardi d’investimenti in infrastrutture e sistemi di mobilità programmati, all’insegna della sostenibilità, in meno di due anni dal Governo Draghi. Un intervento finanziario notevolissimo che sta cominciando a produrre i suoi effetti. Un intervento sul quale vedo anche continuità da parte del nuovo governo. Ma non abbiamo solamente influenzato il “cosa fare”, per esempio la Salerno-Reggio Calabria di Alta Velocità o l’investimento sui porti, ma abbiamo cambiato il “come” farlo e questo cambio di approccio è stato travasato nel nuovo Codice dei contratti in misura quasi superiore alle mie aspettative. Per essere veloci nelle gare, con Il PNRR abbiamo rilanciato l’appalto integrato che permette di andare in gara sia per la progettazione esecutiva sia per l’esecuzione. Le stazioni appaltanti che hanno scelto questa modalità dovevano utilizzare come base per le gare il progetto di fattibilità tecnico economico, strumento che abbiamo ridisegnato con delle Linee guida che vedono al centro delle diverse prescrizioni la sostenibilità a tutto tondo. Infatti, nella “relazione di sostenibilità” il progettista si deve chiedere qual è l’impatto economico, ma anche quello ambientale che deriva, ad esempio, dall’utilizzo dei materiali e il loro eventuale riuso in una logica di economia circolare, e anche l’impatto sociale, per valutare se l’infrastruttura riduce le disuguaglianze, avvicina comunità. Inoltre, bisogna indicare quali strumenti si mettono in campo per dialogare con le comunità locali per il disegno dell’opera. Secondo i dati ANAC sulle decine di migliaia di gare PNRR il 95% ha scelto questa strada e ora questo approccio è stato posto alla base del nuovo Codice per tutte le gare pubbliche: quindi da ora in poi chiunque voglia andare veloce con un appalto integrato deve seguire questa strada, in cui la sostenibilità è divenuta un fattore dominante nella realizzazione delle nuove infrastrutture.

Qualcuno sostiene che il problema dei rifiuti al livello planetario o dei flussi migratori possa essere risolto, in futuro, distribuendo uomini e cose su altri pianeti. È solo fantascienza?

Nell’Enciclica “Laudato sì”, Papa Francesco sottolinea, con una visione straordinaria rispetto al passato, che l’economia attuale genera sia scarti fisici sia scarti umani. Su questo abbiamo bisogno di fare un “salto” in avanti di grandi proporzioni per modificare in profondità il sistema, anche perché la pandemia e la guerra ci hanno dimostrato che ci vuole un attimo per fare diventare “scarti” tante persone che pensavano di aver raggiunto una certa sicurezza economica. Di fronte a questo rischio ci possono essere due tipi di reazione: o quella dei pochi ricchissimi che si costruiscono bunker in qualche angolo del mondo o prenotano un posto nelle future stazioni orbitali, oppure, e vale per tutti noi, impegnarsi seriamente a cambiare il sistema attuale.

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