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“Uniti nella diversità per una crescita sostenibile”

Intervista a Donatella Sciuto, Rettrice del Politecnico di Milano

Professoressa Sciuto, complimenti per la sua elezione a Rettrice del Politecnico; alla seconda votazione e con un numero di consensi imponente. Un riconoscimento importante da parte dei suoi colleghi. Come pensa di rispondere a questa invidiabile dimostrazione di fiducia?

Come ho scritto nel mio messaggio di ringraziamento ai votanti, l’elezione è stata una grande emozione, del tutto inaspettata al secondo turno.  Rispondo a questa dimostrazione di fiducia con rispetto e con grande senso di responsabilità nei confronti di tutta la comunità politecnica, a partire dagli studenti e dalle studentesse al personale e agli Alumni. Mi preparo ad affrontare un percorso che sarà certamente impegnativo, ma, ne sono certa, ricco di soddisfazioni. Il Politecnico ha nella sua comunità una grande forza ed è per me un onore servirlo. 

Donna, ingegnere, Rettrice. Su questo trittico si sono soffermati i commenti di molti osservatori evidenziando, inconsapevolmente, quanto nel nostro Paese la parità di genere sia ancora una notizia. Immaginiamo, nel suo percorso professionale delle asperità particolari. Come ha superato questi ostacoli?

Le sfide sono state tante, ma quasi tutte di carattere scientifico. Mi sono sentita più spesso sminuita perché troppo giovane che non perché donna. Giovane alla laurea e giovane nel compiere i diversi passi della carriera accademica. Giovane e donna nella stessa frase fanno fatica a starci! Ma fortunatamente al Politecnico di Milano ho incontrato un ambiente favorevole al talento indipendentemente dal genere. In passato, mi sono trovata spesso ad essere l’unica donna nei diversi ambienti scientifici nazionali e internazionali che ho frequentato, dovendo dimostrare di essere più brava dei miei colleghi solo per essere ascoltata, ma mi sono abituata presto a gestire la situazione.

Il Politecnico di Milano è stato segnalato anche da analisti internazionali come uno dei migliori atenei al mondo. Da cosa deriva questa valutazione?

Credo che sia il frutto di duro lavoro e di politiche lungimiranti, di un’apertura internazionale di rilievo e di una ricerca di prim’ordine. Durante la campagna elettorale ho avuto modo di confrontarmi con i tanti colleghi, con gli studenti e con chi ha lavorato dietro le scrivanie e nei laboratori. Ho potuto apprezzare la ricchezza dei loro contributi, la capacità progettuale e la creatività della cultura politecnica. Credo che siano proprio l’impegno e la passione di questa comunità i fattori principali che portano il nostro Ateneo ad essere valutato bene nei ranking. Non a caso, il titolo del mio programma è “Uniti nella diversità per una crescita sostenibile” e l’ho introdotto con questa bellissima frase di Umberto Eco: “L’università è l’unico luogo in cui si può applicare correttamente un approccio unificato alla diversità”.

Il Politecnico di Milano è testimone di una grande storia radicata nell’identità europea. Questa è la base per una crescita sostenibile ancora più ambiziosa per il futuro, per formare studenti, professionisti e ricercatori di altissima qualità, per affrontare le grandi sfide tecnologiche, culturali e sociali in modo responsabile, per ridurre le disuguaglianze e proseguire nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile.

Il passaggio dal periodo dell’istruzione universitaria al mondo del lavoro è, per molti giovani, un salto nel buio con offerte molto al disotto del loro livello d’istruzione. Non è così per i laureati del Politecnico di Milano che continuano ad essere ricercati per ricoprire ruoli rilevanti nelle organizzazioni industriali, da quelli tecnologici fino a quelli gestionali. Quanto di tutto ciò è dovuto alla qualità dei piani di studio e alla interpretazione delle nuove tendenze socioeconomiche della nostra società?

I piani di studio sono sicuramente importanti e ancora di più la nostra capacità di indirizzarli correttamente verso i bisogni di crescita delle imprese e del Paese. Bisogni che non si traducono in una formazione specializzata, verticale, bensì in un approccio elastico, a tutto tondo, al passo con i progressi tecnologici, ma senza inseguire le mode del momento. Il nostro compito è quello di fornire le basi per generazioni di professionisti che continuano ad imparare durante l’intero e lungo arco professionale e che traducono questo bisogno di sapere in processi di innovazione. Per questo abbiamo puntato con decisione sull’alta formazione e sul dottorato di ricerca.

Aggiungo che nulla di tutto questo è possibile senza la qualità e l’impegno dei nostri studenti. Mi ha colpito recentemente il post di un nostro studente su LinkedIn che qui riporto, in parte, perché spiega molto bene cosa intendo:

“È il 27 Dicembre e io come tanti altri colleghi ingegneri sono al Politecnico di Milano alle 21 di sera a studiare […] non voglio dire che il sacrificio viene prima di tutto perché non è cosi! […] semplicemente ci tengo a precisare che l’università, qualsiasi sia, è un atto d’amore e almeno per me, essere qui a quest’ora dimostra la mia passione per questa formazione, con pregi e difetti. Quando arrivano i curricula non soffermatevi al voto, alle tempistiche ecc. perché non conta solo la destinazione ma anche e soprattutto il viaggio. Ps. Spendo anche una parola di parte: il giorno in cui arriverà a bussare alla vostra azienda un ingegnere pagatelo quel che si merita e non ve ne pentirete… sono circondato da ‘pezzi da 90’.”.

A proposito di nuove tendenze, lei ha sottolineato che porrà l’attenzione tra l’altro, sulla sostenibilità e sulla riduzione dei consumi energetici. Una sfida che prevede interventi tecnologici ma anche un mutamento di mentalità. Come affronterà questo percorso?

Si tratta di un percorso inevitabile e spero irreversibile. L’attenzione alla sostenibilità è la chiave di volta in un momento di forte transizione a livello globale. Al Politecnico la ricerca, a partire dai processi chimici ai temi energetici, a quelli del costruito… è impegnata da tempo su questo fronte. Pensiamo ai nuovi materiali, al riuso, alla progettazione architettonica, alla ridefinizione degli spazi cittadini…. Si tratta di un percorso iniziato da anni, creando gruppi di lavoro e coinvolgendo gli studenti, al quale vogliamo dare un nuovo impulso fuori e dentro il nostro ateneo.

Negli ultimi due anni abbiamo disegnato l’assetto organizzativo di tutte le azioni che la comunità politecnica ha attivato per supportare il raggiungimento dei diciassette obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile (sottoscritta nel 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU), che hanno portato alla pubblicazione del report SDGs@Polimi e alla partecipazione all’Impact Ranking di “Times Higher Education”. Il documento è un punto di partenza per identificare le azioni e le politiche che noi per primi intendiamo adottare come modello di sostenibilità in tutti gli ambiti in cui operiamo. Questo lavoro definirà il Piano strategico di sostenibilità del Politecnico di Milano, uno dei primi impegni da realizzare collettivamente e che dovrà essere finanziato nelle politiche e nelle azioni.

È mia intenzione attuare i principi di sostenibilità ambientale e sociale nei nostri campus, perché ritengo che un’azione in questo settore abbia un valore formativo per tutti coloro che vivono i nostri spazi. I nostri campus possono diventare un ambiente di ricerca e di sperimentazione di soluzioni ispirate dall’unione di bellezza, sostenibilità e inclusività, promuovendo così buone pratiche che abbiano un effetto misurabile e che possano raffigurare un modello di sviluppo virtuoso.

Il suo predecessore, il professor Resta, ha lavorato molto e con successo al rapporto tra Politecnico, la città, le industrie. Per quanto riguarda la nostra metropoli, per chi ci è nato e ci vive, il Poli è anche la fucina di grandi architetti che hanno lasciato e tuttora propongono dei progetti apprezzati in tutto il mondo. Come crede di continuare questo colto e fruttuoso rapporto con Milano e con il mondo?

Innegabilmente e storicamente il Politecnico è un punto di riferimento per Milano e per la Lombardia. E viceversa molto di quello che siamo è dovuto a un contesto favorevole, anzi direi tra i più favorevoli in Italia e in Europa, che continua a sostenerci, dalle imprese alle istituzioni. Siamo e vogliamo essere un’università europea, ma anche un’università del territorio. Abbiamo Milano nel nostro nome ed il rapporto con la città e la regione è tangibile nella storia che alimenta i nostri progetti.

Credo, in particolare, che la città stia attraversando un periodo di transizione: dalla fortunata fase avviata da Expo 2015 alle difficoltà della crisi pandemica, con uffici in parte svuotati e attività economiche spente, dove il primo dovere civile è quello di fronteggiare la sfida ambientale, la precarietà e le disuguaglianze che minacciano la qualità della vita urbana. Per questo, siamo stati al fianco dell’amministrazione pubblica, Comune e Regione, così come delle imprese in tutte queste fasi e vogliamo continuare ad esserlo verso nuove sfide, a partire dalle Olimpiadi del 2026.

Non dimentichiamo poi che le relazioni con il territorio sono al centro dei progetti di formazione e ricerca specifici attuati nelle nostre sedi del Politecnico a Lecco, Piacenza, Cremona e Mantova. Strutture che hanno potenziato a livello interregionale il dialogo tra amministrazioni e imprese aprendo nuovi fronti anche nell’ambito della responsabilità sociale.

Ci sono dei temi che accomunano il lavoro di Polimi e IIT. Il lavoro per incentivare la ricerca in ambito tecnologico, l’internazionalizzazione, l’attrazione di risorse umane con alto potenziale. Qual è la sua visione in questi che sono passaggi fondamentali per il nostro futuro?

Il Politecnico è un’eccellenza nella ricerca e su temi di punta. Penso all’intelligenza artificiale, alla biotecnologia, alla chimica verde, all’energia, alla mobilità… Abbiamo istituito un Centro di Technology Foresight con il preciso intento di guardare avanti, di anticipare le grandi tendenze di sviluppo. Credo che questo sia il principale aspetto che accomuna il Politecnico al IIT, quello di essere dei precursori in ambito tecnologico e non dei “follower”.

Il tema dell’attrattività è poi fondamentale e su questo dobbiamo puntare, sulla capacità di alimentare una comunità di ricercatori e di studenti che hanno un ruolo attivo nello sviluppo scientifico, sociale e culturale della società in cui viviamo. Sono le persone che determinano la qualità del lavoro che svolgiamo: ogni individuo è dotato di talenti e aspirazioni, di forza e fragilità, e allo stesso tempo deve poter manifestare il proprio potenziale di crescita umano e professionale.

Obiettivo del mio programma è offrire opportunità di crescita, in particolare ai giovani, sostenendo la crescita strutturale del dottorato di ricerca, potenziando il programma di Talent Development per i ricercatori nelle prime fasi della carriera, a cui offrire opportunità di crescita. A questo è necessario affiancare l’attenzione costante alle infrastrutture di ricerca.

Più in generale, e non ultimo, nel contesto globale, le grandi sfide tecnologiche e sociali richiedono una prospettiva multidisciplinare di cui l’università è promotrice. Dobbiamo creare opportunità di ricerca capaci di integrare diverse prospettive disciplinari, includendo indirizzi che oggi sono poco presenti in un ateneo tecnico come il nostro. Penso alle scienze umane o alla medicina, per esempio. Serve quindi la collaborazione con altri enti di ricerca nazionali e internazionali in un’ottica di collaborazione estesa. È finito il tempo in cui ognuno coltivava il proprio orticello. Le sfide sono troppo grandi.

Infine, ricordo gli aspetti legati all’etica della scienza e della tecnologia sui quali ci siamo concentrati in modo particolare in questi ultimi anni. Il progresso non fa sconti e progettare in modo innovativo significa capire per tempo quali saranno le conseguenze di questa corsa che va a ritmi sempre più veloci.

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