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“Una ricerca che emana luce”

Intervista a Maria Rosa Antognazza, Technologist della linea di ricerca “Nanomaterials for Energy and Lifescience” di IIT

Si riscontra sempre un’incredibile versatilità nei composti organici che, basati sul carbonio, sono il fondamento della vita biologica.

Ce lo dimostra, in questo caso, Maria Rosa Antognazza dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT). Fisico di formazione e vincitrice di un finanziamento dell’European Research Council (ERC) – il cui progetto ha avuto ufficialmente inizio il 1 marzo 2019 con una durata complessiva di cinque anni – Maria Rosa Antognazza ha lavorato principalmente sui polimeri coniugati.
“I dispositivi elettroluminescenti come gli Organic Light Emitting Diodes (OLED), con cui si realizzano i televisori e i display, sono appunto a base di materiali organici, in particolare di polimeri coniugati”.

 

In generale, i polimeri sono macromolecole formate dall’unione di molecole più piccole, dette monomeri, e le loro proprietà dipendono dalla loro struttura e dalla natura dei singoli componenti. Esistono quindi diverse tipologie di polimeri e quelli coniugati sono una di queste.
Si tratta di materiali plastici molto particolari che, a differenza della plastica utilizzata ad esempio per fabbricare bottiglie (polietilene), hanno la capacità di generare carica elettrica e condurre corrente.

 

Vengono spesso utilizzati in optoelettronica – la materia che studia i dispositivi elettronici che interagiscono con la luce – per la realizzazione di led, transistor e celle solari.
Nel caso dei led, vengono usati come dispositivi emettitori (emettono luce), mentre nel caso delle celle solari, assorbono la luce e producono corrente elettrica.

 

Lo studio delle celle solari e dei fotorivelatori a base di polimeri coniugati è stato la base da cui è nata un’idea, che si è in seguito concretizzata nel progetto vincitore dell’ERC.
Questo studio è stato il nucleo originale da cui è partita l’idea di utilizzare i polimeri coniugati come fotorivelatori artificiali, per stimolare l’attività delle cellule nel nostro organismo.

 

Il nostro organismo possiede un solo tipo di cellule sensibili alla luce: i coni e i bastoncelli presenti nel nostro occhio. D’altro canto, tutte le altre cellule presenti nell’organismo animale non hanno questa sensibilità, in altre parole non interagiscono con la luce. Esse possono essere stimolate mediante stimoli chimici, farmacologici o elettrici. La funzione dei fotorivelatori artificiali è di trasformare lo stimolo luminoso in stimoli elettrici e biochimici che possano essere raccolti, processati e utilizzati dalle cellule dell’organismo.

Negli ultimi vent’anni si è assistito a uno sforzo intensissimo da parte della comunità scientifica, per sviluppare metodi ottici in grado di stimolare le cellule. Diversamente dagli altri, il metodo ottico non è invasivo, perché non richiede un farmaco o un elettrodo che vada fisicamente a stimolare la cellula. In secondo luogo, è estremamente preciso, perché focalizzando il fascio di luce, è possibile stimolare le singole cellule e perfino organelli. Il metodo ottico consente anche di cambiare la frequenza dello stimolo in modo semplice, utilizzando laser a frequenze diverse. Inoltre è una tecnica in linea di principio reversibile, per cui è possibile decidere quando sottoporre e quando sottrarre la cellula allo stimolo ottico, contrariamente al metodo farmacologico, per il quale una volta somministrato, il farmaco non può essere rimosso.

 

Ma se le cellule non sono sensibili alla luce, come possono essere stimolate otticamente?
Una possibile soluzione per rendere le cellule sensibili alla luce, consiste nella modifica del DNA mediante trasfezione virale, cioè attraverso l’iniezione di molecole sensibili alla luce. Questa scienza si chiama optogenetica, proprio perché si basa sull’uso degli stimoli luminosi e sul trasferimento genico. Tale tecnica presenta tuttavia dei problemi per l’utilizzo nell’uomo, perché – come sappiamo bene di questi tempi – la modifica del DNA, per quanto controllata, pone importanti problemi di sicurezza. Ci sono studi sugli animali, ma applicazioni cliniche di questo tipo di tecnica sembrano ancora abbastanza lontane.

 

La tecnica alternativa è proprio l’oggetto di studio del progetto ERC.
Il progetto vuole fornire una tecnica ottica che consiste in una piattaforma di dispositivi in grado di stimolare otticamente l’attività delle cellule, in particolare i processi di adesione e comunicazione cellula-cellula (aggregazioni di cellule che contribuiscono alla formazione di tessuti e organi), di differenziamento (quando una cellula assume una determinata struttura e si specializza in una precisa funzione) e di crescita e i processi metabolici, che sono alla base della fisiologia di diversi modelli cellulari.

 

Si tratta cioè di rendere le cellule sensibili alla luce mediante una tecnica ottica – che prevede l’utilizzo di materiali fotoattivabili – senza dover ricorrere a modifiche genetiche.
Vogliamo interfacciare i polimeri coniugati, utilizzati per fare celle solari e fotorivelatori, con le cellule, in particolare con cellule staminali. Il dispositivo di polimeri coniugati viene realizzato sotto forma di film sottile, su cui vengono poi coltivate le cellule che subiranno un effetto provocato dalla stimolazione ottica dello stesso dispositivo.

 

Oggetto di studio è anche un’altra piattaforma, che si basa sull’utilizzo di nanoparticelle.
Si tratta comunque di materiali polimerici sensibili alla luce, ma sono sotto forma di nanoparticelle. In questo caso è più facile pensare a un uso in vivo, perché idealmente le nanoparticelle potrebbero essere iniettate nel tessuto di interesse. Viceversa, il dispositivo sotto forma di film sottile richiederebbe un impianto più invasivo. Ciò nonostante, l’utilizzo delle nanoparticelle presenta un problema aggiuntivo: controllare in modo preciso la loro localizzazione, una volta iniettate.

 

Trattandosi di ricerca di base, obiettivo del progetto è lo studio in vitro e non in vivo.
Naturalmente siamo interessati anche alla possibile applicazione in vivo, ma già avere una piattaforma di dispositivi utili per gli studi in vitro, sarebbe di estremo interesse, perché aiuterebbe a capire quali siano i meccanismi fisiologici di cellule ancora poco comprese. Un esempio di studio con molti quesiti tuttora irrisolti riguarda gli astrociti, le cellule che partecipano alla trasmissione sinaptica del segnale nel cervello. Per questo aspetto il progetto si avvale della collaborazione con l’istituto CNR-ISOF di Bologna ed il gruppo della Dott.ssa Valentina Benfenati.

 

Oltre alla comprensione dei meccanismi dei sistemi cellulari, una piattaforma di dispositivi in grado di stimolare otticamente i tessuti consentirebbe anche un controllo più rapido ed efficiente dei processi cellulari.
I protocolli esistenti per certi studi in vivo, come quelli sulle staminali, non sono sempre efficienti, perché richiedono tempo e sono costosi e di non rapida implementazione.

 

Benché queste tecniche forniscano indubbiamente nuovi mezzi per la diagnostica, in futuro, se utilizzati in vivo, potrebbero essere utilizzate anche a scopo terapeutico.
Utilizzare la luce in vivo è molto complicato, perché significa trasferire la tecnica da un campione di laboratorio a un corpo umano. La tecnologia è già disponibile, come le fibre ottiche ultrasottili e ultraflessibili, ma sarà necessario sviluppare tecniche di impianto per l’uso in cronico e non solo in acuto. Uno degli obiettivi più concreti potrebbe essere la realizzazione di un dispositivo che favorisca la proliferazione di cellule epiteliali, perché il tessuto è esposto e quindi più semplice da trattare.

 

Lo scopo del progetto è soprattutto quello di realizzare dispositivi biocompatibili e utilizzabili in qualsiasi laboratorio di biologia.
Abbiamo già dimostrato che la maggior parte di questi materiali sono altamente biocompatibili e quindi molto ben tollerati in vivo. Inoltre, basterà accoppiarli a un semplicissimo microscopio a fluorescenza, dove già ci sono le sorgenti di luce necessarie per poter fotoattivare i materiali che utilizziamo.

 

Un progetto multidisciplinare – coinvolge chimici, fisici, bioingegneri e biotecnologi – e di ampio respiro, che si concentra sull’utilizzo di materiali fotosensibili, al fine di stimolare otticamente le cellule per svelarne i meccanismi fisiologici. Una ricerca che emana luce, potenzialmente in grado di smascherare alcuni di quei microcosmi misteriosi e impenetrabili.

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