Cerca
Close this search box.

Luca De Biase: «Perché è necessario conoscere la Media ecology»

I media digitali hanno conquistato un ruolo gigantesco nella vita economica, sociale e culturale. Hanno moltiplicato le possibilità ma anche generato rischi importanti


Non si può imparare a cogliere tutte le opportunità offerte dai media digitali senza coltivare la consapevolezza dei loro aspetti controversi. Le loro conseguenze sulla cultura, la politica, l’economia sono complesse e ambigue. Perché i media non sono tecnologie come le altre: creano l’ambiente nel quale si sviluppa la vita delle persone, delle comunità, delle società. Per un futuro socialmente sostenibile, un approccio ecologico ai media è una sorgente inesauribile di consapevolezza.

Dopo alcuni decenni, la digitalizzazione della vita sociale ed economica non è più una prospettiva futura ma una realtà ben presente. I cambiamenti introdotti dalle tecnologie digitali nelle comunicazioni, negli scambi di beni e servizi, nelle relazioni civiche, hanno imposto adattamenti profondi alle aziende, alle comunità, alle famiglie, alle persone e persino alle istituzioni. Chi ha saputo cavalcare il cambiamento ne ha tratto enormi vantaggi. Chi non è stato capace di comprendere quello che stava succedendo si è impoverito. La polarizzazione delle conoscenze di chi ha capito i media digitali, imparando a modellarli, e chi non li ha capiti, subendone passivamente le caratteristiche, è diventata una nuova, pesantissima forma di diseguaglianza. Intere industrie, dalla musica all’editoria, dal turismo al commercio, dal credito alla finanza, si sono trovate spiazzate.

In questo contesto, è indispensabile coltivare le competenze digitali per migliorare le proprie capacità professionali, sociali e civiche, imparando a comprendere questi cambiamenti e ad agire di conseguenza. Tanto più che oggi la trasformazione, già veloce, appare in accelerazione: perché da una parte si è formato un ecosistema dei media controverso, inefficiente, talvolta pericoloso, oltre che ricco di possibilità, che richiede grandi capacità e profonda consapevolezza per lavorare e vivere in modo produttivo e sensato; dall’altra parte si affaccia all’orizzonte una nuova ondata innovativa – sospinta da intelligenza artificiale e big data, robotica e internet delle cose – che sembra destinata a provocare sconvolgimenti di portata analoga a quelli generati dalla prima ondata.

Nella pubblicistica si trovano approcci molto contrastanti per affrontare tutto questo. C’è un campo degli ottimisti a oltranza, che vedono la trasformazione come un fatto tecnologico destinato inevitabilmente a generare progresso, ricchezza e maggiore libertà. C’è un campo dei pessimisti che invece legge nella trasformazione soltanto il rischio di distruzione di posti di lavoro, di banalizzazione culturale, impoverimento delle relazioni sociali. In realtà, rischi e opportunità coesistono e possono essere interpretati nella direzione migliore o peggiore soltanto pensando olisticamente i progetti che si vogliono sviluppare.

Il discernimento ha bisogno di un quadro interpretativo condivisibile. La media ecology aiuta a leggere le relazioni tra i fenomeni mediatici, a rifuggire dalle banalizzazioni come dalla paralisi dell’incoscienza. I media sono come ambienti nei quali si sviluppa la cultura ed evolvono seguendo una dinamica complessa come quella di un ecosistema. Agire in un ecosistema significa rispettare la diversità, immaginare l’evoluzione dei fenomeni, leggere le conseguenze dei gesti individuali sull’insieme. La qualità della vita e il valore economico, in un ecosistema dei media attaccato dall’inquinamento culturale e dalla ignoranza tecnologica, riemerge solo nella progettazione consapevole dell’innovazione.

Luca De Biase è giornalista e direttore della Summer School in Media Ecology e Comunicazione Digitale (Camogli, 9-22 giugno > www.school-of-communication.itPhoto credit: Giacomo Maestri

Condividi