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“AI first”, l’energia della nostra scienza

Intervista al Direttore Scientifico di IIT, Giorgio Metta

Anche quest’anno, come ormai consuetudine, hai incontrato i Principal Investigator di IIT per fare il punto sulle loro ricerche. Quali sono gli elementi innovativi emersi che vorresti sottolineare?

Gli incontri dei PI di IIT sono sempre fonte di grande ispirazione, per me come direttore scientifico, ma anche per i ricercatori e le ricercatrici che hanno l’opportunità di dedicare qualche giorno a riflettere su una visione d’insieme della scienza e della tecnologia dell’Istituto. Sicuramente un aspetto che è emerso durante l’incontro è il ruolo sempre più importante delle tecnologie per l’elaborazione e la gestione dei dati, siano essi biologici, provenienti da strumenti di misura dei materiali, robot o altro. Il supercalcolo, l’IA, i sistemi di storage di dati e la loro gestione, sono elementi trasversali e ricorrenti che hanno caratterizzato il nostro meeting e che saranno parte integrante del nuovo piano strategico IIT.

Da Direttore Scientifico puoi osservare e percepire l’evoluzione del lavoro che si conduce nella nostra Fondazione. Come si disporrà IIT nei prossimi anni?

Il piano scientifico di IIT dal 2024 al 2029, come anticipato, sarà caratterizzato da un elemento fondamentale trasversale a tutte le discipline: l’intelligenza artificiale. “AI first” sarà il motto del nostro piano che sarà un po’ la “nostra elettricità” in grado di far funzionare tutte le attività di ricerca. IIT si propone, con queste tecnologie di affrontare le grandi sfide del nostro tempo: la salute dell’uomo e quella del pianeta, healtcare ed eartchcare, il prendersi cura delle esigenze dell’essere umano e del nostro mondo sarà prioritario.

Seppur non centrale negli interventi al meeting, la situazione del sistema mondiale, segnata da conflitti e conseguenti crisi economiche globali, non può lasciare indifferenti i nostri scienziati che vivono da sempre in una dimensione internazionale. Qual è la tua e la loro reazione verso una fase di regressione nelle relazioni umane che sfocia in conflitti bellici?

Davanti a tali problematiche non esiste una reazione adeguata. Ognuno interiorizza e reagisce in modo molto personale. Certamente l’approccio mio e del nostro personale parte dal metodo scientifico e dalla razionalità che non vacilla tutto sommato neanche davanti a situazioni di questo tipo. Dobbiamo purtroppo riconoscere che esistono spiegazioni molto umane per quello che sta succedendo. Anche se non è parte dei nostri studi, la scienza si occupa di analizzare e costruire modelli per spiegare, almeno entro certi limiti, la politica e gli “umani affari” anche quando questi sfociano in un conflitto. Detto questo, la scienza può aiutarci sia mostrando un messaggio positivo di collaborazione globale, sia per quanto dicevo pocanzi rispetto a comprendere le ragioni dei conflitti.

Ad Aosta, nei nostri laboratori, si sequenza il genoma per prevenire le malattie e quindi in estrema sintesi per migliorare le attese di vita dell’uomo.

La scienza e la ricerca è una scelta obbligata se l’obiettivo è la crescita, lo sviluppo e la salute di un paese. Se la ricerca avesse il supporto finanziario che alcune nazioni dedicano ai conflitti, l’umanità forse avrebbe più strumenti per combattere le vere guerre in atto: quella contro le malattie neurodegenerative, contro i tumori, contro il cambiamento climatico e la scarsità delle risorse naturali. I conflitti non fanno che acuire la gravità dei problemi, la ricerca e l’innovazione creano opportunità, lavoro, fanno crescere il livello culturale di un paese e permettono di migliorare la qualità della vita delle persone colmando divari economici e sociali.

Il nostro Presidente della Repubblica nei saluti di fine anno agli italiani ha sottolineato il valore della ricerca che si è evidenziato nei vaccini contro il COVID. Serve una catastrofe per comprendere il valore della ricerca?

Non credo che serva la catastrofe, perché anche a seguito di disastri – ne possiamo contare molti quali quelli naturali o quelli causati dall’uomo, spesso il passo non cambia. Serve un’azione convinta e razionale. Serve coraggio. Le scelte non possono essere fatte sulla base di convinzioni ideologiche. Questo (forse) andava bene nel secolo passato quando non c’erano i mezzi per modellare i complessi sistemi a supporto delle decisioni. A questo punto abbiamo un’alternativa: è necessario investire per dotarci di sistemi di modellistica per il clima, per la biologia, per l’ingegneria ed evitare gli errori. Il modello mi dice che cosa fare per intervenire contro il cambiamento climatico, come combattere le malattie, come costruire edifici che non crollano. Il decisore ha il dovere di investire in questa scienza per la qualità del nostro futuro. Un clima che cambia, una sanità che non funziona, le infrastrutture che crollano devono essere evitate.

Uno dei temi del meeting ha riguardato la sostenibilità dei nostri progetti di ricerca. Si tratta di uno snodo cruciale per il futuro, non solo di IIT, ma di tutti noi. Come hai detto “Cura del pianeta e cura della salute” è uno slogan importante, ma può essere anche la filosofia generale di IIT. Quale visione è emersa in questo ambito dai nostri ricercatori nel corso degli incontri?

L’essere umano risulta centrale nella visione di IIT ma prendersene cura non basta, bisogna pensare anche al pianeta che lo ospita e che fornisce le risorse per la sua sopravvivenza. Durante l’incontro è emersa proprio questa attenzione delle diverse linee di ricerca dell’istituto e l’occasione ci ha permesso di tracciare le linee guida volte alla armonizzazione e alla sinergia dei diversi approcci scientifici tutti volti al miglioramento della vita delle persone e del mondo in cui viviamo. Consideriamo che gli studi di epidemiologia mostrano un legame stretto tra clima e malattia. Non solo stiamo “rovinando” il pianeta ma contemporaneamente peggioriamo anche la nostra salute.

Il trasferimento tecnologico è centrale nella nostra strategia di sviluppo. Come questa attività continuerà ad essere il nostro propellente vitale?

Il trasferimento tecnologico è una delle vocazioni statutarie dell’Istituto e verrà razionalizzato e potenziato. Nel nostro incontro la doppia missione si è sottolineata per affermare ancora una volta che nel “modello IIT” convivono due anime. Come mischiamo le discipline, allo stesso modo mischiamo anche la nostra curiosità con la voglia di sviluppare tecnologie utili a prenderci cura di noi e del nostro pianeta. Faremo nei prossimi anni tantissima “cultura” del trasferimento tecnologico per ispirare giovani e meno giovani a cimentarsi nel mondo dell’impresa o a fianco di essa.

 I supercalcolatori che hai citato, anche a proposito dello sviluppo delle applicazioni sulla intelligenza artificiale, sono forse il simbolo più immediato dell’idea di velocità. Una parte della nostra società, anche quella imprenditoriale, chiede di rallentare per permettere all’umano di prendersi cura di sé. La ricerca può tenere conto di questa istanza senza declinare?

L’utilizzo di macchine sempre più veloci ed efficienti aiuterà gli esseri umani ad avere più tempo in assoluto. La velocità sarà quella della macchina e non quella della nostra vita. Per il futuro immagino un mondo nel quale l’umano, grazie a strumenti quali robotica e IA possa essere più efficiente ottimizzando il proprio tempo: pensiamo ad esempio a un laboratorio che studia nuovi farmaci dove il ricercatore o la ricercatrice progettano il nuovo composto al computer e mandano i dati un sistema robotico che crea in laboratorio quanto studiato al calcolatore, acquisendo dati e sottoponendoli ad algoritmi di AI si otterranno risultati che, dopo la validazione umana, contribuiranno alla conoscenza globale, accelerando così tutta la filiera della ricerca scientifica. Siamo all’inizio di un cambiamento e, grazie alle tecnologie ora in crescita esponenziale, il nostro utilizzo del tempo cambierà. Forse quello che dobbiamo fare è stabilire ora come utilizzare questo tempo e le tecnologie “veloci”, ragionando anche sugli aspetti sociali, culturali, etici. Quello che decideremo come società in questi anni influenzerà il nostro modo di vivere e convivere con gli avanzamenti tecnologici in futuro. Andiamo incontro a problemi noti e a problemi ancora parzialmente sconosciuti, come la mancanza di forza lavoro, che potremmo affrontare anche grazie all’utilizzo delle tecnologie già citate, il cui utilizzo è ancora tutto da definire. Credo che come Istituto Italiano di Tecnologia sia, in parte, anche nostro dovere fornire soluzioni e approcci volti al miglioramento della condizione umana nel rispetto dei principi di sostenibilità sociale, ambientale ed economica.

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