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Decodificare il linguaggio del corpo e comprendere le intenzioni che generano determinati movimenti

Intervista alla Direttrice del Center for Human Technologies di IIT, Cristina Becchio

Non solo la nostra voce, ma anche il nostro corpo è un importante strumento di comunicazione: il movimento è infatti un linguaggio che ci aiuta a socializzare. In alcuni casi, come l’autismo, il linguaggio del corpo presenta tuttavia caratteristiche diverse, che determinano notevoli difficoltà da parte di un bambino autistico nell’interazione sociale. Esiste un modo per decodificare il linguaggio del corpo e comprendere le intenzioni che generano determinati movimenti? Di questo ci parla Cristina Becchio – coordinatrice del Center for Human Technologies e Ricercatore Principale della Linea Cognition, Motion and Neuroscience, IIT – che ha guidato due progetti finanziati dall’ERC: il primo verteva sulla lettura degli stati mentali dall’osservazione dei movimenti; il secondo progetto, nella forma di proof of concept, era atto a studiare la firma motoria dell’autismo.

Su cosa si focalizza la sua ricerca?

La mia ricerca si focalizza sull’azione. Nel mio laboratorio utilizziamo tecnologie di motion capture, le stesse tecnologie che vengono utilizzate per l’animazione digitale: produzioni come avatar sono state realizzate con questo tipo di tecnologia di cattura del movimento. Nel mio lab, usiamo queste tecnologie per ottenere una descrizione quantitativa ad altissima risoluzione dei movimenti nelle tre dimensioni dello spazio e nel tempo. Analizzando tali descrizioni, siamo in grado di fare inferenze circa gli stati mentali, studiare il modo in cui i bambini con autismo si muovono e come questo impatta sull’interazione con gli altri. 

Cosa si intende per descrizione ad alta risoluzione dei movimenti?

La risoluzione è di un millimetro e registriamo con una frequenza di 200 Hz, che vuol dire che in ogni secondo registriamo 200 punti. Siamo, quindi, in grado di descrivere e quantificare delle variazioni davvero molto piccole del movimento. Si tenga conto che le variazioni a cui siamo interessati sono una frazione davvero piccola, dell’ordine del 3%, della variabilità che contraddistingue le azioni umane. La stessa azione viene eseguita da una volta all’altra in modo un po’ diverso; inoltre, individui diversi si muovono con tipi di movimento differenti. In questa variabilità così ampia, noi siamo interessati a piccole variazioni diagnostiche di stati mentali e di condizioni patologiche.

Come è possibile classificare gli stati mentali sulla base di movimenti così variabili?

Proprio per questa vasta variabilità dei movimenti, è necessario l’utilizzo di machine learning e, in generale, di tecniche computazionali avanzate, che consentano di decomporre la variabilità del movimento, capire come e dove (in quali caratteristiche del movimento) l’informazione è codificata e come viene letta. 

Il movimento nei soggetti affetti da autismo è meno prevedibile?

Quello che vediamo a livello di movimento autistico è che abbiamo una modulazione intenzionale che è meno pronunciata della modulazione intenzionale che vediamo nei bambini con sviluppo atipico. Questo significa che le variazioni in relazione all’intenzione di un bambino autistico sono meno evidenti nella parte del movimento, ma sono comunque presenti. Cioè, anche i bambini affetti da autismo differenziano i parametri di movimento in funzione dell’intenzione: per esempio, il modo in cui afferrano una bottiglia per bere è diverso dal modo in cui afferrano quella stessa bottiglia per versare. Il punto è che le variazioni sono meno pronunciate e si esprimono in caratteristiche diverse rispetto a quelle in cui si esprimono nei bambini a sviluppo atipico. Una parte della ricerca del mio lab è dedicata a capire quali siano queste caratteristiche, cioè a decifrare il codice motorio dell’intenzione. Quello che vogliamo capire è come le intenzioni sono scritte nel movimento e come vengono lette da una persona che osservi quel movimento. Se ti muovi in modo diverso, tenderai verosimilmente a leggere in modo diverso il movimento altrui. Ci aspettiamo, quindi, che il codice usato dai bambini con autismo per leggere l’intenzione sia diverso da quello usato dai bambini a sviluppo tipico.

Ci sono stati risultati inattesi, nel corso di questa ricerca?

Nella ricerca di base, il risultato inatteso è la regola. Uno dei risultati inattesi del primo progetto ERC è derivato dal fatto che ci siamo resi conto che l’insieme di tecniche che stavamo sviluppando per decodificare gli stati mentali, in realtà si prestava anche per fare inferenze diagnostiche. Il secondo ERC è nato proprio da questa intuizione, che non era contenuta nel progetto iniziale: cioè, l’idea che queste tecniche, adeguatamente estese, potessero essere utili non solo per caratterizzare uno stato mentale nel movimento, ma anche una particolare condizione diagnostica. In particolare, ci siamo resi conto che potevamo utilizzarle per studiare la firma motoria dell’autismo.

Avete ottenuto risultati di altro tipo, al termine del secondo progetto ERC?

All’interno del secondo progetto abbiamo sviluppato – attraverso la collaborazione con Electronic Design Laboratory (EDL) – un dispositivo indossabile a basso costo, che consente di catturare il movimento, in particolare i profili di accelerazione e di decelerazione. L’obiettivo è quello di sganciare la registrazione della cinematica dai costosi sistemi di motion capture attualmente in uso. Questi sistemi, oltre a essere costosi, richiedono un livello di esperienza e competenza tecnica elevata per essere utilizzati. Il dispositivo che abbiamo realizzato permette di catturare alcune caratteristiche del movimento, che sappiamo essere informative sia rispetto agli stati mentali che alla condizione patologica, al di fuori di un laboratorio e senza bisogno di competenze tecniche particolari. Abbiamo realizzato i primi cento prototipi che stiamo testando. Potenzialmente, il dispositivo potrebbe trovare applicazione in ambiti diversi, dall’epilessia alla riabilitazione neurologica, all’assessment del sintomo motorio in patologie neurodegenerative.

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