Dall’elettronica stampabile e flessibile all’internet delle cose, una passeggiata tra le nuove tecnologie sviluppate al Center for Nanoscience Technology di IIT
All’ombra del più antico edificio di cemento armato di Milano, noto come “il Cremlino (1927)”, nel cuore di Città degli Studi, si trova il centro IIT per le nanotecnologie (CNST IIT – Center for Nanoscience and Technology). Guglielmo Lanzani, che si divide fra qui e il Politecnico, è il direttore di un’orchestra di nanotecnologi provenienti da mezzo mondo. Età media 30 anni, arrivano in bicicletta, inglese e italiano si mescolano mentre indossano soprascarpe e camici per entrare nel laboratorio di microelettronica.
Mario Caironi arriva da Cambridge con il suo grant ERC in printed electronic, ci fa strada. Tornato in Italia ha fatto l’abilitazione risultando tanto eccellente quanto “inadatto” a prendere la cattedra di ingegneria elettronica. L’IIT lo ha potuto richiamare in Italia offrendogli un posto da capo ricercatore e contrattando uno stipendio adeguato alle sue ambizioni, cosa impossibile altrove in Italia.
La prima macchina che si vede entrando è una stampante industriale caricata con un foglio di plastica PET che scorre su un rullo. Serve per stampare micropannelli fotovoltaici utilizzando, anziché silicio, sostanze organiche fotosensibili.
La stampante è stata fornita dalla ditta OMET di Lecco, specializzata nella stampa ad alta tecnologia. Normalmente la OMET stampa dalle etichette alimentari ai grattaevinci. Grazie agli studi di IIT l’azienda ha visto la possibilità di un nuovo mercato in questi micropannelli “solari”, che si potranno incorporare su sensori e piccoli apparecchi di casa e ufficio consentendone l’alimentazione elettrica sfruttando anche la luce artificiale. Una piccola rivoluzione microelettronica per rendere autonomi i tanti dispositivi che fino ad oggi sono stati connessi alla rete o alimentati da batterie. Ora basta una sorta di etichetta di plastica “spennellata di materiale fotosensibile in grado di generare elettricità dalla luce, anche da quella artificiale delle lampadine.
Per dare gambe a questa nuova avventura è nata una start up, la Ribes Tech, costituita da Omet e da alcuni ricercatori IIT che hanno lavorato negli ultimi anni a micropannelli: Antonio Iacchetti e Michele Garbugli, il direttore del Centro IIT Guglielmo Lanzani, Mario Caironi e Dario Natali (professore del Politecnico di Milano affiliato ad IIT). La OMET finanzierà le attività di Ribes e fornirà le macchine da stampa necessarie per la produzione dell’elettronica.
L’elettronica stampata è un nuovo settore in pieno sviluppo, con molte possibili applicazioni. Nelle varie postazioni del laboratorio IIT di Città Studi, dottorandi e postdoc sono intenti nelle varie fasi della sperimentazione di nuovi dispositivi stampabili: microtransistor, fotorivelatori, materiali termoelettrici capaci di recuperare energia dalla dispersione di calore. La sfida – spiega Mario Caironi – è alimentare tutti i dispositivi del mondo in crescita dell’Internet of Things, l’internet delle cose. Non solo di alimentarli con l’energia che si riesce a spremere dal calore disperso o dall’illuminazione interna degli edifici, ma anche di incorporare intelligenza in questi oggetti sfruttando l’elettronica non classica, aggiungendo ad essi nuove funzioni. Una delle applicazioni a cui stanno lavorando in questo laboratorio, per esempio, è una “lastra digitale” per i raggi x, oppure piccoli sensori in grado di misurare la percentuale di ossigeno nel sangue del paziente senza bucare il dito.
Sempre nel centro IIT di Milano vengono ideati transistor organici ingeribili. In realtà si stampano microcircuiti utilizzando sostanze organiche compatibili su supporti come la gommalacca o la cellulosa, per intenderci le stesse utilizzate nelle decalcomanie e finti tatuaggi per bambini. Si tratta di etichette di poco più di un centimetro quadrato appiccicate su una ciliegia, una fetta di prosciutto o una capsula da farmaco. Di fatto sono come minuscole ricetrasmittenti che, penetrando nel nostro organismo prima di essere distrutti dalla digestione, possono sorvegliare parametri chimico-fisici e comunicarli all’esterno. Lo scopo potrebbe essere quello di indicare se il paziente prende regolarmente il medicinale, oppure misurare il ph interno, la concentrazione d’ossigeno, la presenza di batteri resistenti agli antibiotici, in modo che si possano approntare rapidamente terapie personalizzate. La messa a punto di questi device digeribilli avviene in un fitto dialogo con gruppi di medici di IEO, San Raffaele e di altri Ospedali, interessati a sviluppare nuovi sistemi di diagnostica.
Le microetichette in realtà saranno sfruttate molto anche nella ricerca sulla conservazione e la tracciabilità degli alimenti. Inserite nelle confezioni, esse potranno inviare informazioni sulle qualità organolettiche dei cibi, rendendo la data di scadenza più controllata che mai.
Nei laboratori IIT di Milano si passa continuamente da esperimenti di fisica fondamentale alla realizzazione di dispositivi, per il trasferimento tecnologico. Come le misure cosiddette “pump probe che servono a studiare i processi elettronici nel tempo di materiali e semiconduttori, con un dettaglio al femtosecondo (10-15). Per far questo, un laser viene sparato su un bersaglio con una frequenza di 50 femtosecondi, l’impulso raggiunge il bersaglio da studiare più volte con certi ritardi determinati dai diversi percorsi per poi studiare le caratteristiche di riposta alla sollecitazione dei materiali.
Rispetto a un normale dipartimento universitario – fa notare Lanzani – il centro IIT per le nanotecnologie è progettato non sulla disciplina ma sui problemi da risolvere. Che cosa vuole dire questo? Vuol dire concentrare in un unico spazio cervelli e macchine per affrontare determinati problemi dalla ricerca di base alle applicazioni pratiche, fino – quando la ciambella viene col buco, alla brevettazione e alla nascita di una nuova start up.